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L'impresa di Barbara fino a Lampedusa: "Volevo capire questa Italia e aiutare Mediterranea"

Barbara Cassioli, bolognese di 32 anni, in tre mesi ha percorso oltre 3mila chilometri in autostop, fidandosi di chi incontrava per inseguire un ideale, devolvendo poi i soldi risparmiati alla Ong

Zaino in spalla e un pezzo di legno con la scritta 'destinazione Lampedusa' in mano, ha percorso 3.611 chilometri in autostop, camminando anche lungo sentieri secondari a piedi e fatto qualche breve tratto in treno grazie al biglietto pagato da chi ha incontrato lungo la strada. Barbara Cassioli,  bolognese di 32 anni, educatrice e assistente sociale, è partita da Livergnano nel Comune di Pianoro con un solo intento: arrivare a Lempedusa senza spendere soldi, contando solo sulle sue forze e l'aiuto di persone sconosciute, per poi devolvere il denaro risparmiato a Meditarranea Saving Humans. Un'avventura durata tre mesi, dal 21 marzo al 21 giugno. L'abbiamo incontrata per capire cosa ha spinto una giovane donna a mollare tutto e intraprendere una simile esperienza.

Barbara, perché questo viaggio?

"Erano circa tre anni che pensavo a questa avventura. Avevo bisogno di scoprire un'Italia diversa da quella che ci viene raccontata, e soprattutto avevo bisogno di alzarmi la mattina e sapere che stavo dedicando le mie energie a una causa che in questo momento storico ritengo fondamentale".

Quale causa? E perchè Lampedusa come destinazione?

"Mi sono sempre chiesta se l'Italia ha la consapevolezza di quello che accade al di là del mare. Il mio è stato come un gesto di resistenza. Mi spiego meglio. Sono italiana, bianca e con un passaporto. Posso girare tranquillamente ovunque, e per questo mi sono voluta mettere nelle mani del prossimo, vedere con i miei occhi se in Italia c'è ancora della bellezza e della bontà nelle persone, da qui  la decisione di partire in autostop. Arrivare a Lampedusa è stata una scelta voluta, un simbolo. Io posso andare dove voglio, quando voglio e come voglio. Se voglio andare a Lampedusa posso farlo, ma al contrario i migranti che arrivano lì vengono bloccati, senza contare tutti quelli che in mare hanno perso la vita. Per questo a Lampedusa, anche insieme ad alcuni amici di Messina, ho lasciato andare  dei manifesti con i nomi di chi è morto nel Meditaranneo, un saluto, un ricordo in loro memoria. Con questa avventura è come se mi fossi voluta immedesimare in un viaggio al contrario, partire per arrivare in un punto senza soldi contando sul prossimo. Ho sempre viaggiato indossando una maglietta con la scritta Mediterranea, spiegando a tutti coloro che mi aiutavano quale era uno dei miei principali obiettivi: devolvere a Mediterranea tutto quello che risparmiavo. I soldi sul conto corrente li avevo, ma era una sfida, o meglio una scommessa. Chiunque mi ha dato da mangiare, mi ha fatto salire in macchina o dato ospitalità sapeva dove sarebbero finiti i soldi che non mi faceva spendere, e tutti lo hanno fatto senza problemi. Anche una compagnia di navigazione che fa la tratta per Lampedusa ha saputo quello che stavo facendo, del mio progetto, e ha deciso di relagarmi un biglietto per arrivare sull'isola. Ho risparmiato e devoluto alla Ong Mediterranea circa 1500 euro, e mentre ero in viaggio ha fatto anche dei salvataggi e poi è stata sequestrata".

Non le sembra azzardato paragonare il suo viaggio a quello di un migrante che, ipotizzando, vuole arrivare a Bologna? Non è strumentale?

"Non la metterei su questo piano, volevo solo comprendere e capire cosa si prova a viaggiare in certe situazioni, vedere con i miei occhi se le persone si fidano di chi non conoscono. Siamo tutte persone, questo è quello che penso, e lo sconosciuto non deve fare paura. Non c'è differenza nel colore della pelle e quello dello 'sconosciuto' è un tema molto ampio. Credo che ogni persona debba partire dalle proprie zona d'ombra,  e da lì allargarsi. Attualmente consideriamo 'sconosciuto' il migrante di colore, ma anni fa erano gli uomini dell'est, ancora prima le persone del sud che venivano al nord. Credo che tutti debbano farsi un'onesta analisi intellettuale, solo così si possono affrontare i mutamenti e non avere sempre paura a causa di pregiudizi che abbiamo senza fondamenta. Volevo capire se l'Italia avesse ancora tutti i valori in cui credo, e le persone incontrate sì".

Ci racconti delle varie tappe...

"Ho attraversato Toscana, Lazio, Campania, Calabria e Sicilia e le tappe sono state tantissime così come le deviazioni perché puoi calcolare la destinazione ma mai esattamente tutto il percorso quando viaggi in autostop. Prima di partire ho studiato molto, perché in questa avventura volevo approfondire le varie forme di vita comunitaria sparse per il Paese. Volevo capire se fosse possibile vivere insieme agli altri in altre forme,  o se siamo per forza destinati tutti ad avere una trilocale in città con un mutuo trentennale sulle spalle. Volevo approfondire se il lavoro di comunità puo essere la soluzione a forme di disagio abitativo, alla mancanza di lavoro. E per questo ho chiesto ospitalità in  eco-villaggi' toscani. Ero anche alla ricerca di storie di cambiamento, e ho conosciuto persone che sono passate dallo stile di vita urbano a quello rurale, ma anche persone che hanno lasciato un lavoro sicuro ma non stimolante per cercare qualcosa che valorizzasse i loro talenti. Tutto era estremamente connesso al 'senza soldi', cioè: se non posso pagare cosa posso fare? E si scoprono tantissime cose".

Ma lei ha lasciato tutto?

"Sono un'educatrice e un'assistente sociale. Ho un'esperienza decennale e ho sempre avuto solo contratti a tempo determinato, e scaduto l'ultimo ho intrapreso questo viaggio. Ho fatto gli scatoloni, mandato tutto dai miei genitori, e sono partita dall'uscio di casa che ho lasciato a Livergnano, perché non era comunque più sotenibile. Ora ho vari progetti e non penso a quello che farò tra cinque anni, perché ormai la vita e i tempi sono cambiati. Mi focalizzo sul presente, e sul realizzare alcune cose che mi sono arrivate anche grazie a quest'avventura. Vorrei scrivere ad esempio, il viaggio in un libro".

Ha mai avuto paura?

"Mai, e devo dire un paio di cose. Temevo l'autostop prima di partire, non quando ero in viaggio. Nel corso degli anni  ho lavorato con vittime della strada e affrontato situazioni potenzialmente pericolose, sviluppando quindi una sorta di 'fiuto'. A darmi passaggi in auto sono stati sempre uomini, raramente qualche donna, e non ho avuto problemi di alcuna sorta, anzi tutti mi dicevano di stare attenta, di non fidarmi, e volevano capire il perché di questa mia scelta. In Campania ho trovato persone splendide, da Caserta in giù c'è chi mi ha ospitato a casa, fatto mangiare a più non posso e tutti, invece di lasciarmi in un punto, chiamavano autonomamente amici, parenti e conoscenti per sapere se potevano accompagnarmi alla tappa successiva. Non solo, quando non sono riusciti a trovare qualcuno mi hanno pagato il biglietto del treno, tutto inaspettatamente".

Cosa le resta di questo viaggio?

"Ho scoperto che non dobbiamo avere paura di quello che non conosciamo. Ho vissuto esperienze incredibili e incontrato persone che rimarranno per sempre nel mio cuore. Ho capito che bisogna avere un'enorme fiducia in ciò che si fa, e che in qualche modo avrò sempre ciò di cui bisogno perché l'ho provato sulla mia pelle grazie alle persone che ho incontrato. Esiste un filo rosso che è il senso del limite, e ora so che può essere spostato più in là di dove lo abbiamo messo".

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