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Cronaca

Brexit, l'analisi del bolo-inglese Jones: "Non vedo rischi per l'UE"

Stefano Jones: "La vicenda assume alcuni accenti paradossali. Poveri e anziani hanno votato il sogno dei molti finanzieri britannici"

L'Inghilterra è fuori dall'Europa e poco dopo le nove sono arrivate le dimissioni del primo ministro britannico David Cameron (effettive fra tre mesi). Il referendum ha decretato il "leave" e in questi momenti quello che prevale in Europa è lo sgomento e l'incertezza sulle conseguenze di questa scelta. 

E' Stefano Jones, inglese/bolognese al cinquanta per cento, laureato in Comunicazione all'Anglia Ruskin University di Cambridge e oggi esperto in logistica per formazione eventi  a Bologna, a fare per noi un'analisi sul voto del popolo inglese : 

"I cittadini del Regno Unito hanno scelto di uscire dall’UE. O meglio, in larga parte, i cittadini inglesi hanno fatto questa scelta perché in Galles, Scozia e Irlanda del Nord il Remain sembra avere ottenuto molti più voti. I dati ci dicono che la grossa parte dei Brexiters sono da ricercarsi fra gli over 60 e fra coloro che vivono nelle zone più povere del Paese. Va aggiunto che, indipendentemente dal risultato, forse per la prima volta nel Regno Unito, il dibattito politico è stato di scarsa qualità sia in termini del linguaggio utilizzato sia sul fronte dei contenuti". 

"Da una parte, il fronte Brexit guidato dal populismo UKIP di Farageha puntato quasi tutto sul problema immigrazione, quella dei cittadini europei però, principalmente est europei, collegandolo al sistema di benefits britannico, decisamente migliore rispetto alla maggior parte degli altri Paesi europei. Questo focus ha centrato molte delle paure fra le fasce meno abbienti della popolazione britannica, considerato anche un saldo fra emigrati UK in UEe immigrati UE in UK che conta circa 2 milioni di cittadini EU nel Regno Unito".

"Altra questione spinosa e collegata alla prima è la politica europea quasi disperata di enlargement fortemente volute dalla Commissione Europea che ha portato all’interno dell’unione alcuni stati percepiti in larga parte dai cittadini UE (e UK in particolare) come non ancora adatti all’unione stessa. Tuttavia, considerato che i principali reali benefici di questa uscita per lo UK sono legati alla finanza inglese che non dovrà più rispettare le severe regole europee (anche se con Brexit sterlina e banche sono a rischio nel breve termine), la vicenda assume anche alcuni accenti paradossali. Poveri e anziani hanno votato il sogno dei molti finanzieri britannici".

"Sull’altro fronte, pochissimo è stato detto su come sia possibile cambiare e migliorare l’unione, fermandosi esclusivamente sui grandi rischi dell’uscita che peraltro sono abbastanza evidenti. Su questo punto, David Cameron e il governo hanno responsabilità così grandi da fare venire il sospetto che nemmeno questi ultimi avessero una grande voglia di rimanere, come del resto evidente fra molti degli esponenti del partito dei Tories".

"Il governo ha presentato un’infinità di dati sui rischi dell’uscita (molti pessimisticamente esagerati) infondendo una paura sterile che sembra avere impattato più sull’orgoglio britannico che sulla rinomata razionalità di questo popolo. Molti ancora non si sono resi conto del danno economico reale che questa uscita comporterà, oltreché l’enorme mole di contrattazioni sui dazi e sulla circolazione delle persone che potrebbero durare anni e non portare a nulla se non all’applicazione delle regole del WTO. Quest’ultima opzione sarebbe un vero incubo per l’import e l’export britannici, a tutto vantaggio dell’unione".

"Per quanto riguarda l’UE, non vedo i rischi di implosione disgregativa che in molti paventano e anzi, il risultato potrebbe essere opposto di fronte a questa uscita, soprattutto se le prospettive economiche semi-disastrose per lo UK dovessero confermarsi. Lo scenario forse un po’ ottimista potrebbe essere proprio quello di una spinta verso la compattazione dell’UE e allo stesso tempo una volontà più diffusa e concreta di migliorare sensibilmente  la trasparenza, la democraticità e le politiche economiche dell’unione stessa".

"E ora aspettiamoci altri referendum, in Scozia e in Irlanda del Nord più che in Grecia e in Italia…"
 

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