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Cronaca Via Saliceto

Caserme Rosse, oggi la cerimonia in ricordo delle vittime e del prete del lager

71° anniversario del bombardamento aereo Alleato del 12 ottobre 1944 che portò alla chiusura del campo di prigionia dalle Caserme Rosse: una messa e una cerimonia civile

Oggi, nel 71° anniversario del bombardamento aereo Alleato del 12 ottobre 1944 che portò alla chiusura del campo di prigionia, alle Caserme Rosse (alle ore 16, lato est accesso da via di Saliceto 71) presso la residenza anziani di ASP Bologna verrà detta una Santa Messa a ricordo delle Vittime e di Don Giulio Salmi "il prete del Lager" e (alle ore 17,30 nel parco lato ovest con accesso da via di Corticella 147) si terrà la parte civile della cerimonia dove interverranno il presidente del quartiere Navile Daniele Ara, Bruno Sarti rastrellato che dal campo fuggì nell'ottobre del '44, Antonio Rubbi, collaboratore di don Giulio Salmi negli anni successivi al secondo conflitto mondiale e -in rappresentanza del sindaco Merola- il consigliere Claudio Mazzanti.

Negli interventi verranno descritti i progetti di messa in sicurezza dell'Immagina della Madonna del Parco delle Caserme Rosse, donata nel 1995 da don Giulio Salmi, in occasione del 50° della Liberazione della Città a Bologna e delle opere necessarie per il ripristino del verde circostante. Antonio Rubbi annuncerà la richiesta formale di intitolazione della Casa Residenza Anziani di via di Saliceto 71 a don Giulio Salmi, che tale casa aveva immaginato per se e per i rastrellati del 1943-44, per trascorrere nel luogo in cui corsero il pericolo di vita una loro serena vecchiaia.

Caserme Rosse, per “Noi dei Lager” - articolo di Armando Sarti

Caserme Rosse, il Lager di Bologna, venne aperto dai nazisti di prima mattina con una pesante minaccia armata il 9 settembre 1943, 70 anni fa. Un carro armato, forse un Tigre, che aveva il cannone puntato minacciosamente dalla strada sul portale di ingresso di Caserme Rosse,  permise  a pochi militari tedeschi l’occupazione di quella struttura che, fino al giorno prima, era la Scuola Allievi Ufficiali di via di Corticella 147. 
Ai giorni nostri, al campo, si accede facilmente dalla Tangenziale di Bologna, uscita 6 direzione Centro Città, a pochissima distanza dallo svincolo. Attualmente il parco, sempre accessibile a piedi, giorno e notte, non testimonia l’uso pregresso. Tolte alcune lapidi sul portale di ingresso e una piccola immagine sacra di Madonna Addolorata a fianco di un vecchio olmo, nel parco che guarda una costruzione, l’unica caserma rimasta in piedi, nulla lascia trasparire della destinazione a campo di transito e prigionia nel passato. Ora il grande fabbricato superstite a forma di ferro di cavallo è adibito a molteplici usi, fra cui una bocciofila, una scuola materna, un centro diurno per disabili, sedi di associazioni varie, quindi -si diceva prima- nulla testimonia della precedente destinazione.
Il campo di Caserme Rosse (da qui innanzi CR), fu attivo dal 9 settembre 1943 al 12 ottobre 1944. Quel giorno un bombardamento aereo Alleato, con una missione allo scopo dedicata, ne causò la chiusura. Da uno stormo di quadrimotori del 450 Bomb Group U.S. Army  furono sganciate sul campo 750 bombe da 100 libbre a frammentazione (43,5 kg/cadauna per un peso complessivo di 32,5 tonnellate). Il bombardamento (5 missioni su Bologna quel giorno) provocò 400 morti ed oltre 1000 feriti, numerosi morti e feriti anche in CR.
Il campo venne inizialmente utilizzato per la detenzione e la deportazione dei militari italiani, sbandati, poi rastrellati con destinazione Germania. Nel 1944 esauriti i militari nel campo arrivarono i civili rastrellati in Toscana, Marche, Romagna, Emilia. Perché tutto questo concentramento? In prossimità di CR la linea ferroviaria di Cintura da cui era possibile raggiungere ogni scalo ferroviario d’Italia del nord e d’Europa: questa era la “via più facile della deportazione”. Inoltre, nelle vicinanze vi erano e vi sono altre possibilità di accedere ai treni, tra cui le vicine stazioni di Bologna Arcoveggio e di Corticella.

Nell’ottobre 1943 arrivarono da Roma 2000 carabinieri, disarmati il 7 di ottobre, la cui effettiva sorte ci è sconosciuta, come ci è sconosciuta la sorte di altri 400 carabinieri disarmati a Bologna ai primi di agosto 1944 nella Caserma Magarotti, situata nella attuale via dei Bersaglieri, poi condotti a CR. Della vicenda dei Carabinieri del 7 ottobre, il Calendario dell’Arma di quest’anno, al mese di ottobre riporta succintamente quanto accadde nella capitale. La Comunità Ebraica di Roma e Nazionale, in particolare nel mese di ottobre 2012, ha unito al ricordo della deportazione della popolazione ebrea rastrellata e deportata ad Auschwitz il 16 ottobre 1943 con la precedente azione nazifascista contro i Carabinieri Reali, allontanati dalla capitale pochi giorni prima della tragedia del Ghetto, evidentemente perché la loro presenza era di impedimento alla successiva azione predatoria, tant’è che è intento della Comunità Ebraica di collocare quei Carabinieri in una galleria fotografica a loro riconoscente ricordo. 

Tornando al nostro campo, fra i primi militari ad arrivare in CR vi fu l’aviere Luigi Lorenzato, già di stanza all’aeroporto di Peretola, Firenze, fuggì dopo la notizia dell’armistizio. Disfattosi della divisa presso una famiglia contadina, in abiti civili prese il treno in una stazioncina, quando giunse alla stazione di Bologna il 9 venne catturato dai tedeschi e con moltissimi altri sfortunati condotto a piedi fino CR, dove venne rinchiuso.

Lorenzato ha ricordato “nel breve periodo [9-16 settembre ‘43] trascorso a CR sentivo tutti i giorni, spesso, colpi di arma da fuoco, che erano indirizzati verso chi tentava la fuga. Numerosi miei compagni di prigionia persero la vita per mano dei tedeschi mentre tentavano di fuggire. In una occasione avevo aiutato alla fuga un prigioniero. Dopo, con molti altri, fui messo in fila per riconoscere chi aveva aiutato il fuggitivo. Rimasi terrorizzato di essere riconosciuto, fortunatamente i tedeschi mi scrutarono, ebbi un colpo di fortuna e passarono oltre”.

Sempre Lorenzato ha testimoniato: “Nei lunghi mesi trascorsi in Germania subii un trattamento bestiale [a conferma indiretta: ai tempi dell’intervista, dicembre 2006, la compagna mi confidò che se Luigi sentiva parlare in tedesco, per caso, anche davanti la televisione, si metteva a piangere a dirotto]. Persi 20 chili, alla liberazione pesavo 40 Kg. Con i pugni gli aguzzini mi avevano scalzato tutti gli incisivi. Così non sono più riuscito ad usare lo strumento musicale che suonavo nella banda comunale del mio paese [Revello, Cuneo]: il bombardino. Durante i mesi della deportazione subii un trattamento bestiale: poco o nulla da mangiare, un piccolo errore nel lavoro comportava la fucilazione”. 

Al suo racconto Lorenzato aggiunse una testimonianza impressionante: “Nel lager vedevo uomini ridotti a larva, morti od in fin di vita, che venivano condotti con le barelle al vicino forno crematorio, dal camino vedevamo il fumo che di continuo veniva alimentato dai nostri compagni, che più spesso che morti erano ancora in vita quando venivano infilati nella bocca dell’inceneritore”.
Il Lager di Bologna di CR fu, lo comprendiamo da ciò che ci ha raccontato Luigi Lorenzato, l’anticamera di questo inferno nazista in cui innocenti bruciavano vivi senza colpe: non avevano peccati da espiare, erano solo poveri esseri umani sfruttati da una macchina del male assoluto, che in modo infernale eliminava le loro povere membra.

Fra i militari che – dopo l’8 settembre - da prigionieri dei nazisti passarono per CR, ricordiamo Gaetano Marchesini: un abitante della Bolognina (Bologna). Abitava da civile, prima della chiamata alle armi, a poche centinaia di metri da quello che diventerà “il Lager di Bologna” in cui fu rinchiuso. Gaetano Marchesini è morto nel dopoguerra, io non l’ho conosciuto. Suo figlio Amedeo mi ha fornito una sua fotografia in divisa con occhialoni, il suo incarico era di autiere. Sempre il figlio Amedeo mi testimoniava indirettamente: “Mio padre mi ha sempre detto che non si sentiva un eroe durante la guerra: pensava solo a salvare la pelle. Del resto, era stato così per tutti i soldati italiani mandati allo sbaraglio. Come è successo dopo l’8 settembre del tutti a casa, ma da casa sono stati rastrellati e portati nel vicinissimo lager di Caserme Rosse”.  Sempre Gaetano Marchesini, dal suo archivio mi ha fornito una foto di militari bolognesi rastrellati alla Bolognina nell’ottobre 1943 e transitati in CR prima della deportazione: oltre Gaetano Marchesini sono ritratti i commilitoni Gino Dovesi e Roberto Tosti.

Nella conversazione che ho fatto con Amedeo Marchesini è emerso dalla sua memoria un ricordo, un video in bianco e nero del 1966 o del 1967 del cantante Lucio Dalla che marcia fra i ruderi di CR e canta satiricamente “Quand’ero soldato”, canzone con cui aveva partecipato nel 1966 al Festival delle Rose, conquistando ex equo con Carmelo Pagano il primo premio della critica. Nel suo evidente intento, nel video di CR il grande Lucio Dalla già allora, voleva mandare un messaggio di pace e di fratellanza fra i popoli, canzonando lo stereotipo militarista della prima metà del secolo scorso.

Tornando alla vicenda dei carabinieri di cui in apertura si accennava, voglio ricordare, da una testimonianza di Alfonso Fantato del 2009, all’epoca egli era vicepresidente dell’ANEI Sezione di Bologna. Il sergente maggiore di artiglieria Fantato l’8 settembre 1943 era  con il suo reparto nella città di Dubrovnic, in Jugoslavia. I reparti italiani combatterono, ma furono sopraffatti dai tedeschi. Vennero tutti deportati nel lager tedesco VI D, di Dortmund, dove rimase per 20 mesi, fino alla liberazione.

Fantato nel suo ricordo di quei 20 mesi ha uno squarcio di luce –indiretto- su CR. “Ogni qualvolta che entrava nel nostro campo di Dortmund qualche prigioniero italiano cercavo di avvicinarli, per chiedere la loro vicenda personale. Fu in una di queste occasioni che incontrai due carabinieri romani che mi dissero di provenire dalle Caserme Rosse di Bologna. Essi avevano viaggiato con un treno bestiame appositamente allestito, partito pieno di prigionieri dalla stazione di Corticella (Bologna) sulla linea per Ferrara, che si trova  poco più a nord di Caserme Rosse. Il fatto mi incuriosì molto poiché essendo io residente nel capoluogo emiliano speravo di avere notizie dei miei familiari e di quello che succedeva dalle mie parti. Dal racconto dei due Carabinieri emerse il fatto che il comando tedesco si era servito degli appartenenti all’Arma fingendo di affidare loro un compito di polizia nella città di Roma, cosa che si rivelò presto essere un grosso bluff. I due militari avevano partecipato agli scontri del 9 settembre a porta San Paolo contro i tedeschi. Presi prigionieri vennero avviati verso i lager nazisti seguendo un lungo avventuroso viaggio. Partiti con la tradotta militare dalla capitale sul finire di settembre giunsero a Bologna e furono internati presso le Caserme Rosse ove rimasero alcuni giorni. I due carabinieri mi descrissero la dura vita del campo bolognese. Dal racconto emerse un fatto inconfutabile: che ogni tentativo di fuga veniva punito in modo violento, quindi era saggio non tentare di scappare da quel luogo, pena il rischio di perdere la vita.”

Tornando ai 2000 carabinieri disarmati il 7 ottobre 1943 a Roma, di cui si faceva cenno in apertura di questo scritto, nel febbraio 2004 il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, tramite il suo capo ufficio storico ten. col. Giancarlo Barbonetti, così  rispondeva ad una mia richiesta di informazioni:
“Egregio signor Sarti, in merito alla sua richiesta del 9 gennaio u.s., relativa alla commemorazione dei militari dell’Arma dei Carabinieri deportati nei campi di sterminio, Le preciso, al fine di apportare le variazioni ritenute opportune [all’epigrafe che si stava preparando per una lapide commemorativa], che:
- il numero dei Carabinieri in servizio in Roma e nel Lazio disarmati il 7 ottobre 1943, transitati per Caserme Rosse e deportati in Germania è di 2000 circa;
- nei campi di concentramento nazisti morirono 591 militari dell’arma, provenienti anche dall’Italia settentrionale e dai vari fronti di guerra, per cui solo una parte dei citati 2000 trovò la morte nei lager.   Cordiali saluti.  Firmato ten. col. Giancarlo Barbonetti”.
    Voglio qui aprire una parentesi che parla dei Carabinieri del 7 ottobre ’43, ma non di CR, in quanto le due figure che citerò non passarono per le CR, ma ad esse sono legate.

Apro con la testimonianza rilasciata nel 2005 dal Carabiniere Renzo Sassi. “Sono un ex deportato militare; sono il presidente onorario della sezione A.N.C. di Granarolo dell’Emilia [Bologna]. Ringrazio il Comitato organizzatore ed in particolare il suo Segretario Sarti Armando il quale mi ha invitato a questa manifestazione in memoria dei carabinieri deportati dopo l’8 settembre 1943. La Legge 211 del 20 luglio 2000, istitutiva del “Giorno della Memoria”, la Shoah, all’art. 2 prescrive che nelle manifestazioni pubbliche si devono ricordare anche i deportati militari e civili, ma sembra disatteso.

All’8 settembre prestavo servizio a Roma, alla caserma Pastrengo, al Gruppo Squadroni, con il grado di vicebrigadiere appena conseguito: il mattino del 7 ottobre, in violazione agli accordi in base ai quali dovevamo continuare la nostra attività istituzionale in Roma, nella città aperta, venivamo radunati nelle varie caserme della città ed avviati, con carri merci, allo Stalag VII/A di Moosburg con otto giorni di viaggio. Poi assegnati in via definitiva al campo di Rosenheim (Monaco). Sono tornato in Italia il 5 luglio 1945.
Nella notte dal 9 al 10 settembre ho partecipato alla difesa di Roma, alla Magliana, con un reparto di carabinieri a cavallo della caserma Pastrengo con incarico di sostituire la Compagnia Allievi Carabinieri, decimata e comandata dal valoroso Capitano De Tommaso, insignito per quella azione di MOVM (Medaglia d’Oro al Valor Militare). Il nostro intervento risultò insignificante, visto che dovevamo affrontare con moschetti e mitra, la colonna di carri armati tedeschi diretti alla capitale: non ci fu altra soluzione allo sbandamento.

Dalle memorie del nostro capo campo Maresciallo Maggiore Carlo Sabattini, ho appreso del nostro transito alla stazione di Bologna alle ore 04,45 del 9 ottobre, ma io ed i miei compagni di prigionia Brigadiere Gino Censi e Maresciallo Camillo Passiu, non ce ne siamo accorti; ho saputo che un secondo treno su cui viaggiava il collega Tenente Angelo Riccheo, prese la via del Brennero, mentre noi fummo dirottati su Genova, la Francia del sud, la vallata del Rodano, Strasburgo, la foresta Nera e Moosburg, indi Rosenheim.
Ricordo umiliante ed indelebile è stata l’entrata, a testa bassa, del soldato vinto, al quale, dai vari recinti interni separati per nazione, vi erano prigionieri iugoslavi, francesi, polacchi ed altri, i quali al nostro passaggio ci hanno accolti con le parole “Puu! Traditori, vi sta bene”. Nota piacevole, invece, è stata la sosta a Diano Marino, dove la popolazione ha potuto avvicinarsi ai vagoni, rifocillarci e ricevere i  messaggi fatti recapitare alle nostre famiglie. Però il collega di corso Lorenzo Bava, di Genova, ha tentato la fuga, ma ripreso è stato messo al muro, contro un vagone e minacciato di fucilazione, ma per fortuna furono solo minacce.
[In prigionia] Ho lavorato allo sgombero delle macerie con i detenuti, in maggioranza civili e resistenti politici, provenienti dai campi durissimi di repressione di Dachau e Mauthausen, erano sorvegliatissimi; noi da un lato del fabbricato e loro dall’altro; li distingueva l’abito a righe degli ergastolani”.

Così concludeva Renzo Sassi il suo testo letto a CR nel 2005. Quest’anno, attorno al 2 giugno, Festa della Repubblica, a CR è stato allestito uno stand, con ricordi storici del campo e lavori dedicati a CR dagli studenti del Liceo Artistico chierici di Reggio Emilia, tra i lavori dei ragazzi c’è l’Albero della Memoria, dedicato a CR, ma con lo sguardo ad “una nuova Europa di Pace” donato all’Istituto Agrario Serpieri, di Bologna, opera in ceramica artistica di grandi dimensioni di cui pubblichiamo la foto, scoperto il 9 maggio di quest’anno, Festa dell’Europa e giorno della fine della seconda guerra mondiale. A fianco dello stand di CR nello stesso periodo c’era uno stand gestito dall’Anpi di Marzabotto. Fra i frequentatori il presidente della Associazione Familiari Vittime della Strage di Marzabotto Gian Luigi Luccarini. Fra i materiali a disposizione dei visitatori dello stand di CR era presente il libro di Anna Maria Casavola  “7 ottobre 1943 – La deportazione dei Carabinieri romani nei Lager nazisti”.  Luccarini ne ha acquistato una copia. La sera dopo incontrando a CR nuovamente Luccarini, contento mi ha detto: “Armando Stefanelli classe 1921, il Carabiniere citato a pagina 48 del libro di Casavola è vivo ed è un mio parente, gode di buona salute”.

Dal testo di A.M. Casavola, capitolo “Il disarmo e la cattura dei Carabinieri - sulle tracce dei reduci”, pagina 48 “Il Carabiniere Armando Stefanelli dichiara che durante il periodo di prigionia fu sottoposto a lavori forzati presso il campo di Dora [si veda più avanti la testimonianza di Pietro Pierini, che da CR venne deportato a Dora], dove la Germania costruiva i missili V1 e V2, rimanendo rinchiuso in una galleria alla profondità di 100 metri per sette mesi consecutivi, uscendone solo quattro volte per la durata di due ore per volta per l’appello generale e per assistere all’impiccagione di prigionieri ed internati politici. Il 5 aprile 1945 fu trasferito da Dora al Lager di Engel, viaggiò in vagone chiuso con più di novanta persone, per dieci giorni, senza pane ne acqua; al termine del viaggio otto compagni che erano con lui morirono, non ricorda il nome dei morti, nel vagone accanto morì di fame l’appuntato dell’Arma Giuseppe Meughel di Padova. Nel gennaio 1944 a Dora morì il Carabiniere Gorufi, anche lui per fame. La dichiarazione è del 30 novembre 1945. Su questa dichiarazione del Carabiniere Stefanelli, il maggiore Ferruccio Chiesa, comandante della Legione Bologna, di suo pugno annota incredulo: “Nessun altro reduce dalla Germania ha rilasciato dichiarazioni di tal genere”.

Armando Stefanelli che ho incontrato per la prima volta ai primi dello scorso giugno mi ha detto e confermato delle difficoltà incontrate nel dopoguerra al ritorno dal Lager. Nel successivo marzo 1946 Stefanelli si congedò dall’Arma per andare a coltivare la terra. Nel breve colloquio che abbiamo avuto, ho potuto constatare la buona memoria e la buona salute, con una notevole vigoria fisica che ancora oggi ha a 92 anni. Ho chiesto a Stefanelli, alla luce della sua esperienza se oggi avrebbe confermato la decisione di congedarsi dall’Arma. Mi ha risposto che in effetti, forse, oggi quella scelta non l’avrebbe più fatta. In quegli stessi giorni ho informato della esistenza in vita dello Stefanelli il Comandante Provinciale dei Carabinieri di Bologna Col. Alfonso Manzo. L’Arma dei Carabinieri ha subito dimostrato interesse per quel veterano. In quei giorni a Bologna, sabato 15 giugno, era previsto un concerto in favore del Brigadiere dei Carabinieri Giuseppe Giangrande, insignito lo scorso 5 giugno 199° Anniversario di fondazione dell’Arma dei Carabinieri di Medaglia d’Oro al valor Civile, ferito gravemente a Roma il 28 aprile scorso, giorno del giuramento del Governo Letta, davanti a Palazzo Chigi, appunto sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Per una serie di sfortunate coincidenze Armando Stefanelli non è potuto andare al concerto, ma resta forte il segnale di consapevolezza ora acquisita dall’Arma che egli nella dichiarazione rilasciata nel novembre 1945 al Maggiore Chiesa aveva detto la pura, nuda, cruda verità, pur incredibile che fosse all’epoca.
    Armando Stefanelli abita a Bologna, in Strada Maggiore, che fa angolo con via dei Bersaglieri, sede del Comando Provinciale dell’Arma dei Carabinieri. La distanza fra i due luoghi è di non più di 300 metri, quando si dice la coincidenza: i fatti e  gli avvenimenti trovano –chissà per quali vie- fra loro modo di avvicinarci oggettivamente alla verità stessa. 
    Tornando ai 400 carabinieri dell’agosto 1944, di cui si faceva cenno in apertura, di seguito si riporta, da Nazario Sauro Onofri “Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese (1919-1945)” volume I, “Bologna dall’antifascismo alla Resistenza”, Cronologia, 1944, agosto:
“4. Con un’operazione improvvisa i tedeschi arrestano e deportano in Germania alcune centinaia [N° esatto: 400, secondo altra recente fonte giornalistica] di Carabinieri, di stanza nella caserma di via Magarotti [oggi via dei Bersaglieri]. S’ignora tutto di questa operazione”. 
Vi è una testimonianza del prof. Armando Placido Follari di Palermo che raccorda CR, in un dialogo riportato, i primi 2000 carabinieri di Roma e in un aspetto uditivo (colpi di mitragliatrice) che potrebbero ricondursi alle alcune centinaia (o i 400) di Bologna. La testimonianza è dell’ottobre 2011, via e-mail:
“Caserme Rosse di Corticella [più esattamente di Bolognina]. Nella mia mente il triste giorno del 9 agosto 1944, ricorda, la mia cattura da parte dei tedeschi e portato nella caserma di Corticella. Per fortuna, in “quell’inferno” ho trovato don Giulio Salmi, prete di infinita bontà, ma soprattutto di grande intelligenza. Sempre pronto a venire incontro a noi sfortunati catturati, appena venuto a conoscenza della mia posizione di Allievo Ufficiale della Regia Accademia di Modena, mi suggerì di fuggire, al più presto, per non essere fucilato o deportato in Germania. In quei pochi giorni venni a sapere da don Giulio Salmi, che erano stati catturati dai nazisti circa 2000 carabinieri e il fragore che si udiva per i colpi delle mitragliatrici, era dovuto possibilmente, alla eliminazione di chi non aveva accettato di fare parte della repubblica sociale di Mussolini. Riuscito a fuggire dalla parte sud del campo, entrai successivamente nella IX Brigata Partigiana “Santa Justa” di Pino Nucci. Dopo 67 anni, il ricordare quei giorni, nei quali si combatteva anche fra noi italiani, per colpa di Mussolini, m’indigna e mi rattrista”.

Il giorno 12 agosto 1944 il futuro comandante partigiano Otello (Armando  Placido Follari) fuggì da CR. Mentre lui fuggiva vicinissimo a Sant’anna di Stazzema iniziava una storia che avrebbe portato il protagonista a CR: la storia di Pietro Pierini (la cui vicenda è tratta da Rai Educational “Testimonianze dai Lager”).
 “Mi chiamo Pierini Pietro, sono nato il 6 maggio del 1928 a Pietrasanta in provincia di  Lucca [Pierini è deceduto il 7 novembre 2003]. In quel periodo dalle nostre parti si era installato il fronte tedesco e quello americano. Nelle zone della vallata della Versilia c’era il forte della truppa tedesca. I tedeschi fecero sfollare Pietrasanta perchè dovevano passare il fronte, fecero trasferire la popolazione verso la montagna. Sulle Colline, sulle alte colline c’era il paese di Sant’Anna; di Valdicastello e di Montemaggiori, e mio padre, che aveva 5 figli ed era un uomo povero, non aveva soldi per andare a vivere in un caseggiato, quindi fu costretto a portarci in una baracca nell’uliveto della Versilia, in una zona che si chiama La Rocca.

Il 12 agosto all’improvviso ci fu il famoso sterminio di Sant’Anna. Arrivarono i tedeschi all’improvviso e casolare per casolare distrussero tutta Sant’Anna. Nel ritornare da questo eccidio passarono dalla parte dell’uliveto dove noi eravamo nascosti. Mio padre, mio nonno ed altre persone erano nascosti in punti dove non potevano essere trovati dai tedeschi, mentre noi, che eravamo dei bambini, perché io avevo 16 anni e mio fratello appena diciassette, eravamo nella nostra baracca. I tedeschi entrarono nella baracca, ci videro e ci presero dalle braccia di mia madre e ci portarono nel salone del carcere di Pietrasanta.”

Pierini, prosegue, racconta di quei giorni molto duri. “A Lucca ci fu una selezione: scartavano i vecchi, ci portarono con dei camion alle Caserme Rosse di Bologna. Prosegue il racconto di Pierini: “Le guardie di queste Caserme  quando fui carcerato erano tedesche. C’erano dei medici tedeschi che visitavano coloro che arrivavano. Ci facevano andare a petto nudo, e sopra il petto scrivevano [con vernice nera che non si cancellava se non  dopo molti giorni]: 1 Germania, 2 Italia, 3 erano quelli che venivano scartati. Dopo due o tre giorni che eravamo li in attesa della destinazione, arrivò l’ordine di caricarci sopra dei pullman e ci portarono al campo di concentramento di Fossoli. Arrivai a Fossoli assieme a mio fratello…” Pietro Pierini venne deportato in Germania a Dora, a costruire V1 e V2.

Secondo miei calcoli, tenendo conto di diversi elementi, posso dire che Pietro Pierini partì da CR verso la fine di agosto 1944. Pochi giorni dopo a CR è presente il romagnolo Aroldo Spazzoli e famiglia. Aroldo Spazzoli era fratello di Tonino, Renato ed Arturo, uccisi nell’agosto 1944 a Forlì. Tonino Spazzoli aveva salvato la vita ad 11 generali inglesi ed americani, poi -salvati gli Alleati dai tedeschi- lui ed i fratelli furono martirizzati.

Ho appreso da poco tempo di questa storia, dalla recente lettura di “Malacappa, Diario di una ragazza 1943-1945”, di Giancarla Arpinati (curato da Brunella Dalla Casa). Il giorno 6 settembre 1944 si svolse una giornata concitata, raccontata passo passo nel diario. Giancarla è figlia di Leandro Arpinati (il costruttore dello stadio di Bologna “il Littoriale” e molto altro, fascista caduto in disgrazia, sottoposto a confino per 5 anni) e di Norina Guidi (già segretaria del sindaco “del pane” di Bologna Francesco Zanardi).
La testimonianza di Giancarla inizia così: “Millenovecentoquarantaquattro, 6 settembre, mercoledì. Questa non sarà una semplice annotazione ma un racconto completo. Non ce ne sarebbe bisogno, perché non dimenticherò, ma se moriremo tutti vorrei che restasse il ricordo di questa giornata terribile.
Eravamo a tavola [a Malacappa, frazione di Argelato, Bologna] sotto il portico quando è arrivato un bambinetto con un “pezzo”  di carta da consegnare al papà [Leandro Arpinati]. Il Biglietto diceva: “Avremmo piacere di vederla prima di partire. Aroldo Spazzoli e famiglia. P.S. Partiamo stasera. Casermette rosse di Corticella [ovvero le nostre CR]”.
 Il papà si è messo d’accordo con i tedeschi [presenti nella loro azienda agricola] che, dovendo andare al Trebbo [una vicina località], si sono prestati ad accompagnarlo al tram fino a Corticella. La Luisa ed io [Giancarla la protagonista] siamo subito partite in bicicletta.
Sia il papà che noi eravamo carichi di pacchi. Qualcuno doveva  arrivare fino ad Aroldo. […] Dopo circa un’ora siamo giunte alle casermette. Un ufficiale italiano di guardia (ma che cosa c’è mai nel loro cuore?) ed un sudicio milite ci hanno vietato d’entrare. Dovevamo andare a ritirare il permesso al comando di Porta Saragozza.
Quante rovine, quanta desolazione nei bei viali della mia città! L’erba cresce per le strade sconvolte dalle bombe e c’è tanto silenzio, troppo!
Al comando ci hanno detto che per entrare alle casermette non occorrono permessi.
C’era una donna lì al comando in attesa di essere ricevuta, veniva da Zola Predosa [Bologna]. Stanotte in paese è stato ucciso un tedesco e le hanno preso come ostaggio il padre, il marito ed un cognato. Era venuta per avere il permesso di andarli a salutare prima della fucilazione ma temeva li fucilassero mentre lei era li. […] Alle cinque del pomeriggio eccoci di ritorno alle casermette. Il milite non voleva sentir ragioni, bisognava avere il permesso del Comando di Porta Saragozza. La Luisa si è fatta coraggio e si è messa a parlare in tedesco con il soldato che faceva la guardia. Il tedesco non ha fatto obiezioni e ritiratici i documenti ci ha permesso subito di entrare.
Oltrepassato il primo fabbricato orizzontale abbiamo visto una casermetta perpendicolare a questa circondata da  uomini, donne e militi [fascisti].
Subito ho scorto Aroldo che stava lavando una scodella ad una fontana. Gli sono corsa incontro e l’ho abbracciato. Sono accorsi gli altri, una sorella di Tonino, la figlia di lei e Gino, un altro nipote.
La sorella di  Tonino mi è corsa incontro gridando: “Hanno  impiccato il mio fratellino”. Poi si è messa a singhiozzare così forte che non riusciva più a dire niente.
Da circa un mese erano in prigione picchiati, frustati, senza mangiare. Se non ci fossero state le suore ad aiutarli sarebbero certo morti. Ieri avevano avuto notizia di una prossima scarcerazione, poi della deportazione in Germania. Temono d’essere massacrati per la strada, vorrebbero tentare di fuggire. Ma come?
La Franca ha detto che nel caso loro non dovessero tornare noi dobbiamo ricordarci che chi li ha traditi si chiama Alberto Grimaldi. Era il radiotelegrafista, fu arrestato per primo e parlò. Poi per convincere i tedeschi della sua buona volontà si era messo anche lui a tormentare i prigionieri, li batteva e mangiava di fronte a loro tentando anche di mettere le mani addosso alla Franca.
Quando impiccarono il cadavere di Arturo nella piazza di Forlì portarono Tonino a vederlo e gli chiesero se lo riconosceva. “E’ mio fratello, avrebbe risposto Tonino, ma io sono degno di guardarlo, voi no!” E quando torturavano Tonino volevano che la sorella udisse le sue grida.
 Un giorno Gino è stato avvertito dai secondini di stare a guardare dalla spia della cella perché avrebbero fatto in modo di passare di lì con Tonino. Quando sono passati con Tonino in barella Gino lo ha chiamato e Tonino, volta la testa verso la cella, disse: “Io ho finito”. Il giorno dopo lo hanno fucilato.
In partenza per la Germania con loro c’era un ragazzino di quindici anni: il marchese Paolucci di Forlì. Il padre e la madre sono stati fucilati. Insieme al ragazzo c’è un “interprete” che era a casa loro ed è rimasto coinvolto. In attesa di partire c’erano anche venti famiglie compromesse dal Grimaldi tra le quali le donne dei contadini che lo ospitavano e che non sapevano nulla della sua attività di radiotelegrafista. (Oh Tonino come si fidava di lui!). Gli uomini sono stati fucilati.
Sono giunti due autobus di quelli che una volta facevano il servizio Bologna-Imola: con questi raggiungeranno la Germania [più probabilmente Fossoli di Carpi, per poi proseguire con altri mezzi di trasporto].
La signora temeva di essere divisa dai ragazzi.
Avevo  Aroldo vicino e se mi volgevo verso di lui incontravo i suoi buoni occhi così simili a quelli di Tonino e lo sentivo mormorare: “Grazie, grazie”. 
Dovevano raccogliere le loro poche cose per partire. Li abbiamo lasciati. Stavo malissimo, male di testa e vomito. Le gambe non funzionavano più. La Luisa mi spingeva ma pensavo e speravo di morire per la strada.
A  Funo (frazione di Argelato) abbiamo incontrato il papà che con i tedeschi di casa nostra armati fino ai denti venivano a cercarci perché si era sparsa la voce che a Funo [i fascisti] rastrellavano.
Il papà era già stato dagli Spazzoli ma non lo avevano lasciato entrare. Si erano parlati attraverso le cancellate. Veramente come da lontano gli Spazzoli lo avevano visto erano corsi verso di lui dicendogli: “Parli, parli”. Ed il papà, intuendo cosa volevano aveva narrato della guerra e della speranza che finisse presto. Era ciò che volevano udire.
Tonino è morto. Tonino è morto. La parola, l’idea mi rimbomba nella testa.” 
E’ una testimonianza intensa, che scritta il giorno stesso ha portato tutti noi al clima di quel periodo in CR, dove nulla era rispettato: non la vita, non la libertà, non la speranza. Giancarla Arpinati ha portato il 6 settembre 1944: una pagina di storia in CR e ce l’ha fatta vivere –incredibilmente- in presa diretta.

A parte di questo scritto viene pubblicata la testimonianza di Bruno Sarti, prigioniero in CR nel suo ultimo periodo di funzionamento, da cui riuscì a fuggire con scaltrezza, uscendo a piedi dalla porta su via di Corticella 147.
CR ha due eroi che vorrei ricordare. Il già citato Cappellano cattolico don Giulio Salmi, ricordato in precedenza dal prof. Placido Armando Follari ed il dottor Antonino De Biase.

Don Giulio Salmi, classe 1920, venne ordinato sacerdote nel dicembre 1943. Prendiamo da “Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese” (AA.VV), dalla sua scheda biografica:
“Nel febbraio 1944 il cardinale [di Bologna G.B. Nasalli Rocca]  gli chiese di esercitare il suo ministero presso le Caserme Rosse, che i nazifascisti avevano trasformato da caserma militare in centro di smistamento di manodopera coatta da impiegare o nei lavori della Todt sulla linea Gotica, o da inviare in Germania per l’industria bellica. Ottenuto il permesso dal colonnello tedesco Friedmann del comando di piazza, dalla fine febbraio ai primi di ottobre ’44 prestò assistenza religiosa per migliaia di persone ammassate in queste caserme, poste nel quartiere della Bolognina (Bologna) […] superato l’iniziale imbarazzo per la tragica realtà in cui doveva operare, profuse tutte le sue energie, in una totale rinuncia di se stesso, per aiutare una famiglia di oppressi che cresceva di giorno in giorno.  Ai primi pochi “volontari” seguirono nella primavera i 200 carabinieri [una entità che seguiva i duemila dell’ottobre ’43 e che precedeva i 400 dell’agosto 1944], rei di non aver prestato giuramento alla RSI (Repubblica Sociale Italiana) e dal maggio migliaia di uomini, tra cui un gruppo di donne e di sacerdoti, di ogni età e condizione sociale, rastrellati nelle Marche, in Umbria, in Emilia ed in Romagna e soprattutto in Toscana, violentemente strappati ai loro familiari, segnati dalla stanchezza, dalla fame, dalla disperazione, dall’incertezza del futuro, vennero ammassati in questo centro di smistamento in attesa di essere o deportati a Fossoli (Carpi, Modena) o impiegati nei lavori della Todt sulla linea Gotica. All’inizio del suo ministero “il pretino piccolo e magro” non si preoccupò del giudizio che i nazifascisti avrebbero espresso sul suo operato, ma della strada per avvicinare i rastrellati, per ottenerne la fiducia, per far capire loro che volontariamente e liberamente aveva scelto di stare fra i sofferenti. E la celebrazione eucaristica gli consentì di avvicinarli, di rimuovere le loro diffidenze. Le omelie, le confessioni, i colloqui individuali furono occasioni per confortarli, per sostenerli, per trasmettere loro il messaggio “della mia totale disponibilità a servirli secondo l’insegnamento di Cristo”, per infondere in loro il coraggio di opporsi alla sopraffazione, “la speranza di una società più giusta, pur in presenza di una realtà dominata dall’incertezza e dalla morte”. Apprendere che” al di là dei reticolati un intera città era pronta ad aiutarli, ad ospitarli anche a proprio rischio e pericolo” fece ritrovare loro gradualmente la dignità di uomini. […] All’interno del campo, il servizio medico sanitario, diretto dal dott. Antonio [Antonino] De Biase, falsificò molti certificati sanitari, evitando la deportazione di centinaia di persone. Nacque la Pro Rastrellati (Prora) in cui confluirono gli aiuti economici del cardinale, delle parrocchie, della CRI, delle istituzioni civili […]. Le parrocchie, i conventi, lo stesso Seminario, i centri di raccolta degli sfollati, gli ospedali ospitarono, fino alla Liberazione, centinaia di rastrellati evasi dalle Caserme Rosse[…].[Il 25 aprile 1945]Liberata Bologna, in collaborazione con padre [Innocenzo Maria] Casati e del centro S. Domenico, riuscì ad organizzare il trasporto a Firenze di migliaia di rastrellati toscani. Per la sua attività è stato insignito della medaglia d’oro dei comuni di Bologna, Lucca e Capannori (Lucca), della provincia di Bologna e Lucca, in occasione del 50° della Resistenza gli è stato conferito il Nettuno d’oro.” Nel maggio 2004, dopo il primo ricordo dei Carabinieri di CR che si era tenuto nel febbraio dello stesso anno, il Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi ha insignito don Giulio Salmi della onorificenza di Grande Ufficiale della Repubblica.

Si accennava all’inizio di questo scritto di una immagine di Madonna Addolorata in CR, nel parco,  vicino ad un olmo. Essa venne donata dai rastrellati toscani nell’immediato dopoguerra a don Giulio Salmi, che per 50 anni la tenne a Villa Pallavicini (Bologna), luogo in cui abitò e dove si trovano i suoi resti mortali. Questa Madonna il 21 aprile 1995, nel 50° anniversario della Liberazione di Bologna, don Giulio la donò a CR, venne posizionata di fianco all’olmo dove lui distribuiva la posta che proveniva dalla Toscana per i rastrellati, perché lì potesse continuare a ricordare la vita e la morte dei rastrellati, militari e civili, che dal 9 settembre 1943 al 12 ottobre 1944 ebbero la sventura di essere prigionieri dei nazifascisti in questo campo.

Nel solo periodo maggio settembre 1944 in CR erano transitati non meno di 35000 civili, uomini e donne rastrellati, un numero di presenze che fa di CR il luogo più imponente della repressione nazifascista d’Italia. Si ignorano i dati numerici complessivi riguardanti i militari. A 70 anni dai fatti l’Italia deve un grande onore alle Vittime del nazifascismo di CR ed agli eroi che, generosamente e senza paura, provarono di salvare loro la vita.     
 

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