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Cronaca

Racket pompe funebri, interrogati gli arrestati: 'Un sistema che va avanti da 30 anni'

Non avrebbero messo in piedi un sistema per controllare i servizi funebri, ma semplicemente accettato e fatto proprio un modus operandi

Si sono dimostrati collaborativi, rispondendo alle domande del gip Alberto Ziroldi e del pm Augusto Borghini le persone arrestate nell'ambito dell'operazione 'Mondo sepolto', l'inchiesta sul racket delle pompe funebri, sottoposte ieri all'interrogatorio di garanzia. Solo uno degli arrestati si sarebbe ìavvalso della facoltà di non rispondere,

L'inchiesta, che vede indagate a vario titolo per "associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, corruzione di incaricato di pubblico servizio, riciclaggio e svariate violazioni connesse alla responsabilità amministrativa degli enti" 65 persone e otto società, ha portato a 30 misure cautelari (nove persone sono finite in carcere, 18 agli arresti domiciliari e per tre società è stato disposto il divieto di esercizio di attività di impresa).

Negli interrogatori, a quanto si apprende, gli indagati avrebbero ammesso le proprie responsabilità, cercando però di alleggerire le rispettive posizioni, specialmente per quanto riguarda l'accusa di associazione a delinquere. In pratica, avrebbero detto ai magistrati di non aver messo in piedi un sistema per controllare i servizi funebri al Maggiore e al Sant'Orsola, ma di aver semplicemente accettato e fatto proprio un modus operandi che andava avanti da 30 anni.

Tra gli arrestati sentiti oggi ci sono le due persone ritenute, dagli investigatori, i vertici del racket, l'amministratore di un'azienda e l'amministratore delegato della società Servizi cimiteriali, partecipata al 51% dal Comune di Bologna. Quest'ultimo, conferma il suo legale Gianluigi Lebro, "ha risposto in modo preciso e puntuale alle domande dei magistrati", anche se, al momento, non ha richiesto la sua scarcerazione, ma intende farlo nei prossimi giorni.

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