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Cronaca

Bomba del 2 agosto, Bolognesi: "Stragi tutte collegate, svolta con gli atti in digitale"

Il presidente dell'Associazione per le vittime della strage alla stazione di Bologna racconta la sua strage e tutte le battaglie portate avanti in quasi 40 anni

Trentanove anni da quando le lancette dell'orologio della Stazione di Bologna si sono fermate a quelle 10.25 del 2 agosto 1980. Si sono fermate perchè il tempo si è fermato al suono di un boato che ha provocato la morte di 85 persone e il ferimento di altre 200: una valigia-bomba esplose come noto nella sala di attesa della seconda classe provocando la strage con più morti della storia d'Italia e dando vita a uno dei nostri misteri. Anzi, segreti ancora irrisolti. 

«Faccio questa distinzione perchè i misteri riguardano le religioni e invece i segreti si sciolgono con le indagini - spiega Paolo Bolognesi, presidente dal 1996 dell'Associazione tra i familiari delle vittime alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 - E di segreti questa storia ne ha avuti tanti e ancora ne ha da svelare. Intanto però abbiamo ottenuto un'inchiesta sui mandanti e questa è in assoluto la prima volta che accade». 

Qual è il suo legame personale con la strage alla stazione di Bologna? Come si collega con la sua vita e con quella della sua famiglia? «Il 2 agosto 1980 io e mia moglie stavamo viaggiando dalla Svizzera verso Bologna a bordo di un treno, in una cabina letto. Si era sottoposta a un intervento chirurgico e stavamo rientrando a casa, dove ci attendevano i nostri familiari. Meglio, non ci aspettavano a casa, sarebbero venuti in stazione: parlo di mio figlio, di mia mamma e dei miei suoceri. Ci avrebbero aiutato anche perchè la mia consorte, a causa dell'operazione, non deambulava. Quando il nostro convoglio è arrivato a Milano aveva un po' di ritardo. A Parma i minuti erano cresciuti ancora. All'altezza della stazione di Reggio Emilia diverse deviazioni, con un passaggio per Modena e le voci sempre più insistenti su un incidente avvenuto a Bologna, causa di tutti quei disagi». 

All'epoca i cellulari non esistevano. Non c'erano i social e non c'era Internet; le informazioni non erano accessibili e Paolo Bolognesi ha scoperto cosa era successo solo all'arrivo a destinazione, quando era ormai pomeriggio: «A quel punto non si parlava più di incidente, ma di attentato. Ad attenderci lì al binario non c'era nessuno e abbiamo scoperto poco dopo che tra i feriti gravi c'erano anche nostro figlio e i nostri genitori. A qual punto è iniziata tutta un'altra vita» racconta Bolognesi. 

Uno sconvolgimento, ma lei e le altre vittime subito vi siete mossi per far nascere l'associazione di cui è oggi presidente..: «All'inizio fummo molto presi dalle cure per mio figlio, ma appena ci fu la sentenza di appello per Piazza Fontana (nel marzo 1981) con l'assoluzione di tutti gli imputati abbiamo temuto che potesse andare così anche per la strage della stazione. Abbiamo avuto l'idea di unirci per andare a fondo e impedire che fossero commessi altri errori. Da quattro siamo diventati quarantasette e poi, il 2 agosto dell'anno dopo, siamo diventati trecento per cominciare a lavorare insieme a degli avvocati non solo sulle carte processuali, ma anche sulla memoria. Fiorivano intanto iniziative culturali che avevano come tema il dramma delle dieci e venticinque, come anche tante opere letterarie e canzoni». 

Quali meriti da riconoscere oggi all'associazione? «Abbiamo fatto molto per la memoria, ma soprattutto ci siamo adoperati per l'avanzamento delle indagini arrivando a un importante obiettivo, con il processo che in corte di cassazione ha condannato gli esecutori della strage. Un avvenimento che all'epoca è stato eccezionale, un grande risultato. I nostri avvocati erano estremamente documentati su tutto e allora erano faldoni tutti scritti a mano...». 

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Poi la digitalizzazione ha reso tutto più agevole, ma ci sono voluti molto tempo e parecchio lavoro...«La digitalizzazione degli atti è una cosa che perseguivano anche Falcone e Borsellino: un milione di pagine sono una mole che spaventa, ma oggi non è più così e grazie all'informatizzazione dei dati che consente ricerche e collegamenti tra fatti che finalmente si percepiscono come collegati: terrorismo, mafie, reati finanziari, banda della Magliana. Ci siamo finalmente allontanati dal grande depistaggio della pista palestinese, che nasce ancora prima del 2 agosto. Fino a pochi anni fa infatti si pensava alla strategia della tensione come a un insieme di episodi singoli, quando invece è una ragnatela. Sono passati solo due anni da quando la sentenza sulla strage di Brescia fa chiarezza sulla catena di comandi che hano portato che stava sopra Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte. Tutto era collegato e noi lo abbiamo sempre detto».

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Cosa dovrebbe accadere affinche finalmente sia fatta giustizia? «Condannare i mandanti. Avremmo così la verità storica e la verità giudiziaria: noi andiamo avanti passo dopo passo, aspettandoci di tutto. Una grande svolta, una battaglia che ho portato avanti in Parlamento, è stato il riconoscimento del reato di depistaggio. Chi cerca di manomettere la verità adesso lo fa con dei rischi notevoli e pensiamo anche a casi come quello di Cucchi. ». 

Parenti delle vittime di stragi e attentati terroristici, indennizzi e pensioni: li sblocchiamo? «Proprio nel mese di luglio siamo andati a  Roma, all'INPS, ed è successo per la prima volta a 15 anni dalla legge 206: le leggi vengono scritte ma poi vanno anche applicate e oggi l'obiettivo del governo con cui trattiamo è che si determini finalmente un'interpretazione definitiva. Adesso, e incrocio le dita nel dirlo, la questione sta andando verso una soluzione positiva. Proprio in questi giorni ho avuto un incontro con il Ministero del Lavoro alla presenza appunto del presidente dell’INPS e ci siamo lasciati con l’assicurazione che la vicenda delle pensioni ai parenti delle vittime entri nella prossima Finanziaria». 

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A chi dedicherebbe, semmai potesse essere dedicato a qualcino in particolare, questo trentanovesimo anniversario? «Ai sopravvissuti. Ai feriti. Le loro testimonianze sono preziose per la memoria, per non far dimenticare. Vanno nelle scuole, raccontano le loro storie e fanno sì che noi si possa andare avanti»

 

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