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Economia

Imprese 'rosa' in calo in Emilia Romagna

A fine settembre erano 84.611, il 20,4 per cento del totale. La tendenza sui 12 mesi è negativa, determinata dalla flessione delle ditte individuali (475 unità) e contrastata dalla crescita delle società di capitali (372 unità). Si concentrano nei settori tradizionali: commercio, agricoltura e servizi alla persona

Continua la flessione delle imprese femminili in Emilia Romagna. Al 30 settembre 2014 le imprese attive erano 84.611, pari al 20,4 per cento del totale delle imprese regionali. In Italia erano 1.146.472 (pari al 22,2 per cento del totale).

E’ la fotografia scattata dall’ufficio studi di Unioncamere Emilia-Romagna che ha elaborato i dati del Registro delle imprese delle Camere di commercio.
L’occupazione femminile relativamente elevata e un avanzato sistema economico regionale contengono il ruolo delle imprese marginali e dei settori tradizionali e quindi anche la quota di imprese femminili. Solo 4 regioni italiane hanno una quota inferiore a quella nazionale, Trentino-Alto Adige (17,6 per cento), Lombardia (18,7 per cento), Veneto (19,6 per cento) e Emilia-Romagna. Al contrario, le imprese rosa in Molise raggiungono il 29,4 per cento del totale.
Le imprese femminili adottano forme giuridiche meglio strutturate, per aumentare competitività, capacità di innovazione e internazionalizzazione e per fronteggiare la crisi e il blocco del credito, che schiaccia le imprese marginali. In un anno le società di capitale in rosa sono aumentate di 372 unità (+3,1 per cento), quelle non femminili dell’1,1 per cento. Le ditte individuali hanno accusato una flessione dello 0,8 per cento (-475 unità), meno ampia di quella delle non femminili (-2,0 per cento).

Settori di attività economica. Il 21,4 per cento delle imprese femminili è attivo nel commercio al dettaglio e il 5,6 per cento in quello all’ingrosso. Le altre principali divisioni di attività in cui operano sono l’agricoltura (15,5 per cento) e i servizi alla persona (10,9 per cento). Le imprese femminili hanno maggiore presenza relativa nei servizi alla persona (66,0 per cento), nell’assistenza sociale non residenziale (54,5 per cento), nell’industria delle confezioni (48,2 per cento).
Da sottolineare che la modifica, da inizio anno, della definizione delle imprese femminili ha reso impossibile il confronto con il passato per l’aggregato e per i settori di attività, mentre resta possibile per alcune forme giuridiche

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