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Trapianto di midollo in età pediatrica: ecco cosa rivela studio Unibo-Sant'Orsola

Il microbiota intestinale dei bambini sottoposti all’intervento presenta caratteristiche correlate all’esito della terapia, rivelano due studi coordinati da ricercatori del Policlinico di Sant’Orsola e dell’Università di Bologna

Il microbiota intestinale – l'insieme di microrganismi simbionti che a migliaia di miliardi abitano l’intestino umano – gioca un ruolo determinante nel decidere il decorso post-trapianto di midollo osseo in pazienti di età pediatrica. A suggerirlo sono due studi coordinati da ricercatori del Policlinico di Sant’Orsola e dell’Università di Bologna, gli unici ad oggi disponibili in questo ambito su pazienti pediatrici.

Gli studiosi hanno osservato come i bambini che sviluppano complicazioni post-trapianto abbiano un microbiota più ricco di batteri resistenti agli antibiotici. Una capacità, questa, che si consolida ed aumenta poi ulteriormente a seguito dell’intervento. La scoperta apre la strada al futuro utilizzo del microbiota come strumento per riconoscere in anticipo i soggetti più a rischio di sviluppare complicazioni e studiare quindi terapie e profilassi personalizzate.

PERICOLO DI RIGETTO

Il trapianto di midollo osseo permette la trasfusione di cellule staminali ematopoietiche, ovvero cellule staminali che danno origine a tutti i diversi tipi di cellule presenti nel sangue. Si tratta di una procedura utilizzata per trattare molte malattie del sistema immunitario e del sangue, a partire dalle leucemie.

Come per tutti i trapianti, però, anche in questo caso non è assente il rischio di sviluppare complicazioni. In particolare, il trapianto di midollo osseo può scatenare la malattia da trapianto contro l’ospite nota come Graft-versus-Host Desease (GVHD): una reazione con un tasso di mortalità significativo, che può rivelarsi particolarmente pericolosa per i pazienti in età pediatrica.

MICROBIOTA E ANTIBIOTICI

Già nel 2015 i ricercatori avevano realizzato una prima analisi sul decorso post-trapianto di pazienti pediatrici che suggeriva un ruolo del microbiota intestinale nell’insorgenza di questa complicazione. Ora, grazie ai due nuovi studi appena pubblicati, l’ipotesi viene confermata. I dati raccolti dagli studiosi rivelano infatti che il microbiota può influenzare le probabilità di successo di trattamenti antibiotici effettuati su questi pazienti: una caratteristica che può rivelarsi fondamentale per l’esito del trapianto e per il mantenimento della salute nel periodo immediatamente successivo.

“La diffusione di batteri resistenti agli antibiotici è un problema di portata globale che si rivela particolarmente rilevante nei pazienti ematologici, i quali sono infatti costretti a sottoporsi a frequenti profilassi e trattamenti antimicrobici”, spiega Riccardo Masetti, docente dell’Università di Bologna attivo all’Unità Operativa di Pediatria del Policlinico di Sant’Orsola che ha coordinato entrambi gli studi. Nonostante queste precauzioni, però, una procedura come il trapianto di midollo osseo può portare ad un aumento della resistenza agli antibiotici, favorito dalla popolazione batterica del microbiota intestinale. “L’esposizione prolungata all’ambiente ospedaliero – continua Masetti – può favorire l’accumulo di geni con caratteristiche di antibiotico-resistenza nel patrimonio genetico dei batteri che costituiscono il microbiota intestinale. Questa temporanea colonizzazione, soprattutto in pazienti con difese immunitarie già ridotte, può contribuire all’instaurarsi di infezioni e di conseguenza all’aumento del tasso di mortalità a seguito di un’operazione di trapianto”.

RESISTENZE IN AUMENTO

Per analizzare il rapporto tra microbiota e resistenza agli antibiotici, i ricercatori hanno realizzato un'analisi su pazienti pediatrici incentrata sul “resistoma intestinale”, cioè l’insieme di tutti i geni coinvolgi nello sviluppo di resistenze ad antibiotici presenti nel genoma complessivo dei batteri che popolano l'intestino.

Lo studio - pubblicato su Scientific Reports - ha coinvolto otto bambini ricoverati nel centro di Oncologia ed Ematologia pediatrica del Policlinico di Sant’Orsola, metà dei quali hanno sviluppato la malattia da trapianto contro l’ospite (GVHD) dopo il trapianto di midollo osseo. Utilizzando tecniche di sequenziamento massivo del DNA, i ricercatori hanno evidenziato che, subito dopo il trapianto, nel microbiota intestinale dei piccoli pazienti avveniva sia un consolidamento delle resistenze agli antibiotici già attive, sia un processo di acquisizione di nuove resistenze.

In particolare, l’aumento della capacità di resistenza agli antibiotici risulta evidente soprattutto nel caso di pazienti che poi sviluppano la GVHD e non è limitata solo agli antibiotici che vengono somministrati nel corso del periodo post-trapianto, ma coinvolge anche altri tipi di resistenze a diverse classi di antimicrobici.

"Il ventaglio di resistenze presenti nel post-trapianto - aggiunge Riccardo Masetti - ha mostrato caratteristiche diverse in ogni paziente. Per questo possiamo immaginare che in futuro sarà possibile proporre terapie e profilassi antibiotiche adeguate per ogni singolo paziente a partire dallo screening delle resistenze presenti all’interno del microbiota intestinale".

TERAPIE PERSONALIZZATE

Per confermare il collegamento tra microbiota intestinale e probabilità di sviluppare la malattia da trapianto contro l’ospite a seguito del trapianto di midollo osseo è stato realizzato inoltre un secondo studio, che ha coinvolto diversi centri trapiantologici italiani: Ospedale Bambino Gesù di Roma, Ospedale di Verona, Policlinico San Matteo di Pavia e a Bologna il Policlinico di Sant'Orsola.

La ricerca - pubblicata sulla rivista BMC Medical Genomics - ha analizzato le variazioni nella composizione del microbiota di 36 bambini prima e dopo il trapianto. E anche in questo caso il ruolo della popolazione batterica intestinale emerge con chiarezza: i pazienti che finiscono per sviluppare la GVHD presentano infatti già prima del trapianto un microbiota alterato, con una ridotta biodiversità e una maggiore abbondanza di specifici batteri legati allo sviluppo di infiammazioni.

"Anche questo secondo studio - conferma Riccardo Masetti - mostra come il futuro della clinica, in ambito oncoematologico, potrebbe utilizzare le conoscenze acquisite sul microbiota per personalizzare terapie e profilassi, riconoscendo in anticipo i soggetti più a rischio di sviluppare complicazioni come la GVHD o infezioni da batteri resistenti ad antibiotici".

I PROTAGONISTI DELLO STUDIO

Le due ricerche – pubblicate su Scientific Reports e su BMC Medical Genomics – sono il frutto di un lavoro durato quattro anni, coordinato dal reparto di Oncologia ed Ematologia pediatrica "Lalla Seràgnoli" del Policlinico di Sant'Orsola e dal gruppo di Ecologia Microbica della Salute attivo al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell'Università di Bologna, con la partnership del gruppo dell'Unità di Genomica dell'Istituto di Tecnologie Biomediche del CNR di Milano. Hanno collaborato inoltre medici di importanti centri trapiantologici italiani di Pavia, Verona e Roma.

Prime autrici dei due lavori sono Federica D’Amico, dottoranda presso il gruppo di Ecologia Microbica della Salute, ed Elena Biagi, assegnista di ricerca nello stesso gruppo, che è coordinato dalla professoressa Patrizia Brigidi e dal professor Marco Candela.

Il coordinamento di entrambe le ricerche è stato del dottor Riccardo Masetti, responsabile del Progetto di Ricerca Finalizzata del Ministero della Salute che ha finanziato lo studio, e del dottor Daniele Zama. Sia Riccardo Masetti che Daniele Zama fanno parte del reparto di Oncologia ed Ematologia pediatrica "Lalla Seràgnoli", attivo nell’Unità Operativa di Pediatria del Policlinico di Sant'Orsola, diretta dal professor Andrea Pession.

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