19 ore al Pronto Soccorso: "Malasanità o semplice sfortuna?"
Vi scrivo per raccontarvi i fatti che mi hanno vista coinvolta in uno spiacevole episodio al pronto soccorso dell’ospedale Maggiore di Bologna. La notte del 7 Gennaio 2020 alle ore 22.51, accompagnata dal mio compagno, mi reco al pronto soccorso dell’ospedale Maggiore con dolore molto forte alla parte posteriore del fianco sinistro, dolore che avevo dal primo pomeriggio e che non passava nonostante avessi assunto dei farmaci antidolorifici come da prescrizione del mio medico generico. Arrivati al pronto soccorso vengo accolta immediatamente dal personal al triage che dopo le domande di rito mi dicono che potrebbe essere una colica renale e mi chiedono il consenso ad effettuare delle analisi al sangue, consenso che ovviamente do, fidandomi del personale medico, senza pensarci troppo; mi assegnano un codice verde e mi sottopongono ad una terapia per il dolore; mi dicono che entro un paio d’ore vi saranno i risultati dell’esame e che quindi si potrà effettuare la visita con un medico. Mi viene solo detto che questa nuova prassi, di anticipare le analisi, è utile per abbreviare i tempi di attesa!
Passano le ore e con la mia barella, vengo portata avanti e indietro dall’aria di attesa verde a quella gialla, non ricevendo però alcuna notizia sull’esito degli esami al sangue o sulla visita medica. Nonostante il continuo dolore e la lunga attesa, il mio disagio veniva smorzato da un personale sempre gentile e premuroso nei miei confronti. Intorno alle ore 5:30 del mattino il dolore (che dalla prima terapia non era mai del tutto svanito) aumenta e chiedo assistenza all’infermiere che mi aveva accolta al mio arrivo. Lui prontamente mi somministra un'altra terapia del dolore e mi rilascia in attesa… Passano le ore: tra le 7:45 e le 8:00, insediatosi il personale del nuovo turno, vengo riportata, all’interno della sala d’attesa destinata ai pazienti in codice giallo, dove aspetterò qualche altro minuto prima della visita.
Quando arriva il mio momento (9 ore e 20 minuti dopo il mio arrivo), l’infermiera mi trasporta nella sala dell’area rossa. All’ingresso un collega le chiede per quale motivo mi trovassi li dentro, essendo io un codice verde. L’infermiera spiega ai colleghi presenti che il mio caso era stato “rivalutato” a codice giallo (cosa che io apprendo solo in quel momento) per via del fatto che il dolore, nonostante due terapie di antidolorifico, persistesse. Vengo immediatamente visitata dalla dottoressa in turno che conferma l’ipotesi che si potesse trattare di una colica renale e mi fa somministrare un altro antidolorifico e richiede un’ecografia. Nell’attesa di finire la flebo di antidolorifico e quella per idratarmi in preparazione all’ecografia, vengo portata nell’open space. Dopo circa mezz’ora vengo accompagnata a fare l’ecografia (nel frattempo l’orologio segna circa le 9:30). La dottoressa che esegue l’ecografia, mi spiega che dalle immagini non risultano esserci calcoli. Vengo riportata, ancora dolorante, nell’open space, nell’attesa che qualcuno mi spieghi come si dovrà procedere per comprendere la natura del mio problema.
Passano le ore: tento di chiedere informazioni ma nessuno sa o vuole dirmi nulla. Il male al fianco non sembra voler passare, nonostante ben 3 terapie del dolore. Tra le 10:30 e le 11, la dottoressa che mi aveva visitata, viene da me dicendo “nell’ecografia non c’è niente; lei non ha niente”. Basita, confusa e ancora dolorante chiedo allora alla dottoressa di spiegarmi il motivo del mio dolore persistente da ormai quasi 24 ore. Al che lei con atteggiamento poco convinto, mi comunica che richiederà un consulto ad un ortopedico. Passano ancora delle ore. Sono circa le ore 13: la gente sui lettini accanto al mio continua a cambiare e ad essere dimessa; Provo a richiedere informazioni sullo stato della mia pratica ad un’infermiera che, leggendo dal mio bracciale la parola “verde” mi invita, con atteggiamento irritato, sicuramente poco consono per il ruolo che ricopre, ad aspettare poiché in attesa ci sono diverse altre persone. Tento invano di spiegare che mi trovo in pronto soccorso ormai da più di 12 ore e che quello che chiedo e solo di sapere i tempi della mia attesa…ma, facendo spallucce l’infermiera non mi da risposta e se ne va! Il dolore torna ad aumentare, accompagnato stavolta da sonno, stanchezza psicofisica e da una plausibile insofferenza. Passano altri 30 minuti circa e chiedo nuovamente (stavolta esasperata) di sapere se almeno la visita ortopedica sia stata richiesta altrimenti avrei firmato per una dimissione volontaria. Al ché gli infermieri, scocciati, controllano al pc e mi dicono, con tono polemico, che la richiesta è stata inoltrata ( scoprirò solo dalle carte della dimissione che era stato fatto già alle 10:55). Esattamente dopo 2 minuti, un nuovo infermiere si avvicina alla mia barella chiedendomi se avessi già fatto il consulto ortopedico. Alla mia risposta negativa si allontana. Dopo qualche altro minuto si avvicina una ragazza in camice, che mi preleva e mi accompagna in ortopedia, parcheggiandomi di fronte alla porta di un ambulatorio di ps ortopedico. Anche qui, il tempo passa e il senso di abbandono aumenta: sono circa le ore 15 quando disperata chiedo ad una nuova infermiera di dirmi quanto ancora dovrò attendere. Questa, dopo aver letto il mio bracciale, mi chiede se avessi con me un foglio. Alla mia risposta negativa, si allontana alla ricerca del foglio perduto (questa storia è un’avventura ma Indiana Jones era più fortunato!).
Alle 15:30 circa, il medico ortopedico mi riceve e mi visita frettolosamente toccando a stento la parte dolorante con 2 dita. Supponendo che si tratti di un banale mal di schiena mi prescrive una radiografia rimandandomi a dopo l’esame per verificarne l’esito. Alle 16:00 mi viene fatta la radiografia, alle 16:30 circa l’ortopedico mi fa accomodare nella sua stanza dicendomi che, per fortuna, non c’è nulla di grave mentre compila il referto. Mi invita poi a recarmi nuovamente al ps generale. Ancora dolorante e forse illusa del fatto che il mio calvario stesse volgendo al termine, mi reco nuovamente nell’open space del ps. Mi viene detto che dovrò aspettare il medico di turno per avere altre informazioni.
Intorno alle 17:35 (orario ufficiale delle dimissioni) mi viene comunicato dal medico di turno che ero stata dimessa. Aspetto un altro quarto d’ora per avere i documenti della dimissione. Un’infermiera mi porta tutti i documenti, mi illustra l’ammontare del ticket e il tempo che ho per effettuare il pagamento (ma non ero un codice verde poi diventato giallo?) e farfuglia qualcosa indicando con il dito la terapia sul foglio. Non mi viene spiegato quale sia il mio problema. Mentre sta per andare via, le chiedo se può togliermi dal braccio la cannula e mi dice di aspettare. Passano almeno altri 30 minuti di attesa e spazientita mi avvicino alla postazione degli infermieri (sembra non mi vedano), e chiedo con dimissioni in mano, se qualcuno possa levarmi la cannula e tra i loro sospiri e occhi al cielo, finalmente riesco a tornare a casa!
Riassumendo: sono entrata alle 22:51 del giorno 7 e sono uscita alle 18:10 di giorno 8 gennaio 2020 con una diagnosi che non mi è stata illustrata, 135 euro da versare per servizi richiesti a causa di una prima diagnosi errata ma soprattutto con il dolore che, a quasi 48 ore dall’arrivo al ps, ancora persiste.