Villa Ghigi, "Una storia di abbandono e scempio che parte da lontano"
Per oltre 40 anni, peso e non opportunità per le amministrazioni bolognesi di sinistra
Crepe sui muri, graffiti, erba incolta e tegole pericolanti. Come un quadro rovinato da una brutta cornice, questa è la condizione di Villa Ghigi, abitazione patrizia che risale al Cinquecento, immersa nel verde dell’omonimo parco poco fuori porta San Mamolo. Alla grande cura per il parco si contrappone la pessima condizione della villa. A partire dalla facciata, scarabocchiata da graffiti colorati e ferita da vistose e profonde crepe. Dal tetto si affacciano diverse tegole che non sembrano garantire sicurezza a chi passa lungo il perimetro dell’edificio, mentre i ponteggi davanti all’ingresso monumentale sono lì, immobili da tempo, a simboleggiare lavori mai completati (o mai iniziati veramente). E all’interno la situazione non migliora: calcinacci, porte rotte, le finestre al pian terreno sfasciate, affreschi e stucchi antichi che andrebbero restaurati. Uno stato d’abbandono dimostrato anche dall’erba alta e rigogliosa nel cortile sul retro.
Della villa si hanno notizie a partire dal 1600. Appartenne alla nobile famiglia dei Malvezzi e nel 1840 fu acquistata da Giuseppe Dozza per passare, nel 1874, nelle mani dell’avvocato Callisto Ghigi. Uno dei suoi figli, Alessandro, rettore dell’Alma Mater dal 1930 al 1943, vi abitò per tutta la vita, fino al 1970.
Nel 1981 entrai nella Commissione Cultura del Quartiere Colli. Da poco il parco di Villa Ghigi e la Villa al centro del parco erano stati ceduti al Comune di Bologna.
Mi resi conto, per gli episodi che racconterò di seguito, che ai “compagni del quartiere” questo patrimonio era un peso e non un’opportunità.
Il primo “peso” era la collocazione del libri e dei manoscritti della biblioteca di Villa Ghigi (circa 7000). Il mio parere, che espressi con forza in Commissione, era che logicamente dovevano essere collocati all’Archiginnasio o ceduti all’Archivio di Stato, in particolare per la manutenzione e per l’accesso al pubblico.
Ma non fu così: furono traslocati malamente nei sotterranei della Palazzina dei Giardini Margherita (e probabilmente stanno ancora lì ad ammuffire!!!)
Il secondo “peso” fu “cosa ne facciamo della Villa?”. Fu deciso di utilizzarla come laboratorio teatrale (!!!) per l’allora nascente “Scuola di teatro Colli” (che oggi ha sede a palazzo Ratti). Fu aperta malamente una porta di accesso al salone (tuttora ne esistono i segni!!!), ai muri del salone venne fissata una gradinata metallica per il pubblico presente al saggio degli allievi della scuola che avvenne durante l’estate.
Dopo questo saggio, il laboratorio teatrale si trasferì altrove, ma i segni dello scempio sono rimasti, aggravati dalla totale assenza di manutenzione.
Successivamente la villa subì al proprio interno ripetuti atti vandalici, sino alla muratura delle finestre e all’abbandono totale.
A fine dicembre ho scattato alcune foto che testimoniano lo stato di abbandono attuale: il retro della villa è stato imbrattato di recente con scritte in vernice (evviva la street art!), mentre sui muri esterni della cappella della villa è stata accatastata legna. Tutto intorno c’è sporcizia e perfino la cuccia di un cane! Sarebbero molte le opportunità di utilizzo di questo patrimonio storico. Lo si potrebbe utilizzare per una stagione di musica da camera, per eventi di musica, come museo naturale e archeologico della collina bolognese. Ma evidentemente, per la sinistra bolognese un immobile di tale pregio non costituisce una priorità. Solo un peso.
Paolo P.