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Il cancro condiviso sui social. La storia di Alice

La ragazza su TikTok condivide il suo percorso, dopo la diagnosi di sarcoma arrivata un anno fa

Ha 23 anni, è di Bologna e un anno fa ha scoperto di essere malata di un sarcoma di Ewing al ginocchio: Alice Manfrini è una giovane ragazza che attraverso i social racconta il suo percorso, tanto che nella bio si legge: "No rain, no flower". Che significa "Non ci sono fiori senza pioggia". 

Elisabetta Zuccari di Today.it l'ha intervistata, per approfondire il messaggio che ogni giorno la ragazza lancia su sui social, puntando molto sulla prevenzione. Leggiamo la sua intervista!

L'idea di condividere la tua storia su TikTok è nata proprio nei momenti di noia vissuti in ospedale. "Sdrammatizzare is the way", scrivi.

"Mai mi sarei aspettata un simile riscontro. Il mio primo video ha raggiunto oltre un milione di visualizzazioni. E col tempo crescono ancora. Sdrammatizzare mi è venuto naturale perché sono cresciuta in una famiglia ironica ed autoironia. E mai avrei voluto che passasse un messaggio vittimistico. Il mio ragazzo, poi, è il re della burla. Mi aiutano molto le parole che mi scrivono le persone. Io leggo tutti i commenti, tutti. Giuro. E cerco di rispondere a più persone possibile. E' anche un modo per invitare alla prevenzione".

Come comincia la storia della tua malattia?

"Ho iniziato a sentire i primi dolori al ginocchio a giugno del 2020, dopo il primo lockdown: in quel periodo avevo usato molto il tapis roulant, come molti, ed associavo il dolore allo sforzo. Non sono stata a preoccuparmi. Una volta ripreso il lavoro da cameriera però, è aumentato. Tutti mi dicevano di non preoccuparmi, ma io mettevo chili di creme e non funzionavano. Era un dolore incostante: c'era per una settimana, poi spariva per tre. Poi, nei mesi successivi, si è intensificato. A novembre piangevo dal male davanti a mia mamma. Le dicevo che non capivo cosa mi stesse accadendo".

E i medici cosa dicevano?

"Dai Raggi X, a fine settembre, non risultava nulla, quindi mi hanno indicato la risonanza. Ad ottobre però ho preso il Covid e sono stata ferma un mese: un mese perso. Una volta negativa, ho provato a prenotare, ma i centri erano pieni: dovevano recuperare il lavoro perso nel lockdown. Nel giorno prima di capodanno 2021, ho fatto la risonanza con mezzo di contrasto. A gennaio mi hanno detto che la macchia scoperta nel ginocchio non aveva l'aspetto di un tumore". 

Sui social, hai raccontato la rabbia per il ritardo accumulato nell'individuare la diagnosi giusta. 

"Proprio per rabbia, ho cancellato quel periodo dalla mia mente, perché mi dissero di non preoccuparmi. Qualcuno mi aveva addirittura detto che il dolore poteva derivare dalla cartilagine rimasta intrappolata nell'osso quando ero un feto. Niente di grave, insomma, secondo loro. Ma il dolore continuava, era febbraio e quindi siamo passati alla ago-tac, ovvero un prelievo di tessuto osseo. Nel giorno successivo alla fine degli esami, il 17 febbraio, la chiamata dall'ospedale: «signorina, è un tumore, ma non si preoccupi perché iniziamo subito le chemio». Quel «non si preoccupi» non ha ovviamente funzionato. Anche se in realtà, non ho pianto".

Sei riuscita ad essere razionale sin dal primo momento? 

"Una parte di me sapeva già, non so perché. Avevo intuito dalla forte preoccupazione dei medici. Una parte di me aveva iniziato ad accettarlo prima di scoprirlo. L'ho accettato dal primo istante. Io mi metto sempre avanti coi lavori, mi piace essere organizzata. Il mio cervello era già oltre. Il mio ragazzo lo ricorda, che non ho pianto".

Di lì a poco, ti saresti dovuta laureare in Economia e Commercio.

"In quel periodo dovevo scrivere la tesi. Certo non mi sono mai goduta la fine degli esami, ma la voglia di laurearmi era talmente tanta che, alla fine, io la mia festa ce l'avevo. Se guardate le foto della laurea, però, c'erano già un po' di capelli caduti sulla giacca". 

Avevi già iniziato la chemioterapia.

"Sì, la prima di sei. Poi c'è stata l'operazione, poi altre sei. Oggi sono sparse nel mio corpo altre metastasi: all'acetabolo, alla spalla, nello sterno e in una vertebra. A gennaio ho fatto una chemio con farmaci più pesanti, la ifosfamide ad alte dosi: è un farmaco che ti destabilizza anche mentalmente, ti intristisce, io piangevo molto e, soprattutto, non ricordo niente. Chiudevo gli occhi e sentivo le voci intorno, i miei pensieri si mescolavano. Non ero più lucida, non ero più io. E, in tutto questo, ero sola in ospedale per via del Covid. Nessuno poteva venirmi a tornare. Maledicevo più il Covid che il resto. Ho fatto tutto completamente da sola".

Cos'è che la malattia ti ha fatto scoprire di te, che prima non sapevi?

"Anni fa mi era capitato di pensare «madonna, se succedesse a me» e, tra gli scenari che avevo ipotizzato, mai mi sarei immaginata così. Mi sono stupita di come ho razionalizzato tutto velocemente. Pensavo che mi sarei disperata, invece è stato tutto naturale. Ero anche vogliosa di iniziare le cure, pragmatica. Certo, ci sono rimasta male anche io, ma quando sei nel mezzo, capisci che è la tua realtà, è la tua vita, sta accadendo, c'è poco da piangere, va affrontata. Sai che le tue giornate iniziano e finiscono con questa consapevolezza. Dopo un anno per me è la normalità, non la vivo più come malattia né mi da fastidio pensarla o parlarne. E' la mia routine: mi sveglio, so di essere così e non ne faccio un dramma. Poi, certo, mi sono immaginata mille mila scenari di quando succederà, se succederà... Direi spero proprio di sì... Che mi diranno «sei guarita» e solo a pensarlo mi viene da piangere. Immagino quel giorno come potrò viverlo".

Quali sono le ambizioni a cui guardi?

"Trovare un lavoro. Mi sono iscritta ad un Master in Amministrazione, finanza e controllo di gestione per non perdere troppo tempo durante le cure. E' un master per i lavoratori ed io ritengo la chemio un lavoro: mi occupa cinque ore al mattino. Ora faccio le terapie in day hospital. Vediamo se le metastasi sono in remissione, altrimenti proveremo altri farmaci. Si va a tentativi". 

Quanta forza viene da dentro di te e quanta dagli affetti intorno?

"E' un buon cinquanta per cento. Se io sono razionale, il mio ragazzo lo è il doppio. Scompone il problema e lo affronta: in questo anno, mi è tornato molto utile. Molto del mio essere è dovuto a lui. Al momento della diagnosi, mia mamma aveva già i lacrimoni: noi abbiamo cercato di farle razionalizzare tutto. Lei stessa si è stupita della mia reazione. Con i miei nonni, ho sempre cercato di stare molto tranquilla. Con mia sorella siamo tornate a litigare: segno che un equilibrio è di nuovo stabilito (ride, ndr). Ed anche le mie amiche all'inizio erano terrorizzate". 

Cambiano anche le amicizie?

C'è una mia amica, tra tutte, che ha avuto il mio stesso problema quando aveva quindici anni. Lei è stata la mia guida. 

Lo stesso problema?

"Un osteosarcoma al femore della gamba destra, quindi ha la mia stessa cicatrice. Subito dopo la diagnosi, mi ha portata a fare un aperitivo e mi ha detto che non sarebbe stato facile: ho apprezzato più questo che se avesse indorato la pillola. Ho tante amiche meravigliose: sono sempre nei loro pensieri. Poi, certo, ci sono anche persone che sono sparite dalla mia vita, neanche un «come stai» ogni tanto, forse ritenevano la situazione troppo pesante". 

Credi che attorno alla malattia ci siano ancora dei tabù?

"Nessuna delle persone che mi circonda ne ha, ma io per prima in passato schivavo storie simili alla mia: essendo molto empatica, mi immedesimavo troppo".

Per qualcuno è sbagliato definire "guerrieri" i malati di cancro, poiché presuppone che qualcuno sia meno forte degli altri. Per altri invece l'idea della sfida aiuta nelle consapevolezze. 

"Non mi infastidisce essere definita "guerriera", ma non mi sento tale. E' la mia routine, affronto la mia giornata normalmente. Dopo un anno, mi sento una malata normale". 

Ed oggi leggere le storie altrui, ti aiuta?

"Alcune volte mi fanno bene, altre no. C'è chi scrive e mi racconta di parenti che non ci sono più. So che lo fanno per darmi forza, ma se potessi filtrerei alcuni commenti. Ci sono tante persone che mi scrivono per confidarsi. Ricordo una ragazza che aveva il fidanzato col Linfoma di Hodgkin: mi ha detto che le ho dato molta forza. Una volta poi, una laureanda di Oncologia mi ha scritto su Instagram e mi ha ringraziato: diceva che la mia storia le aveva fatto venire ancora più voglia di proseguire nel suo percorso".

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