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Noemi di Leonardo

Giornalista BolognaToday

Esperienze surreali, parole nuove, interrogativi. Così ci ritroviamo a fine emergenza

Un ritorno alla (quasi) normalità da domani, 1° aprile, quando finirà lo stato di emergenza dichiarato a inizio pandemia da coronavirus. Dopo 800 giorni dai primi casi di "polmonite contagiosa" nel nostro territorio, è andato davvero tutto bene?

Era il 1° febbraio del 2020, quando abbiamo imparato a conoscere il significato di "stato di emergenza", istituito con una delibera del Consiglio dei ministri del giorno prima. Si tratta, spiegato semplice, di uno strumento che permette al governo di intervenire rapidamente, in questo caso per motivi sanitari. E i motivi c'erano tutti. 

Almeno, riguardo allo stato di emergenza, siamo arrivati alla fine, dopo oltre due anni, alla scadenza, il 31 marzo 2022, non verrà rinnovato, è già ci è sembra un grande traguardo. Anche se ci sarebbe piaciuto titolare "L'OMS decreta la fine della pandemia". 

"Due anni vissuti pericolosamente"

Tutto è iniziato a Wuhan, una città sconosciuta della Cina centrale, ma con una popolazione di circa 11miioni, quasi tre volte quella dell'intera Emilia-Romagna: da lì erano partiti alcuni "casi di polmonite contagiosa", si diceva allora, poi identificata come "nuovo coronavirus Sars-CoV-2", altresì detto covid, per semplificare. 

Come abbiamo reagito inizialmente? Con un "Vabbè è in Cina - per i più ottimisti, o - sono in tanti, chissà che hanno combinato, tanto lì non si impara nulla, prima o poi ce la portano qui" per i più catastrofisti. Salvo qualche concetto un po' estremo, gli ultimi hanno avuto ragione. Eh sì perché i primi giorni di febbraio in Italia gli ospedali cominciano a registrare il tutto esaurito. Il resto è storia nota e tanto triste, una nuova guerra, una "crisi umana", come l'hanno definita alcuni studi. 

 Primo giorno di lockdown totale, Bologna spettrale | VIDEO

Tra l'assurdo e il surreale. Proviamo a farne una lista  

Siamo passati dal limitare al massimo le uscite e i contatti a "iorestoacasa", con tanto di hashtag creato proprio dal Governo. Ma cerchiamo di fare una lista di quanto di assurdo e surreale abbiamo vissuto, di quello che avevamo visto o letto nelle storie apocalittiche: Bologna deserta,  i portici con l'eco, negozi, ristoranti, bar, mense, scuole, palestre, piscine, biblioteche, università, cinema e teatri chiusi, trasporti pubblici ridotti al minimo, la scusa dei bisogni del cane o dell’esercizio fisico per mettere il naso fuori dalla porta, il lavoro a distanza, il "coprifuoco", la app "Immuni", la fila al supermercato, l'incetta di disinfettante, i bastoncini infilati nel naso, la meteora del test sierologico, gli schermi protettivi, le mascherine che non si trovavano e quelle fatte in casa (in verità più simpatiche), la didattica a distanza, le lauree in video,la zona gialla, poi rossa e quel foglietto che era diventato più importante del passaporto: l'autocertificazione, ovvero la giustifica per uscire di casa. Se fosse possibile fare una graduatoria, "Se mi fermano dico che..." risulterebbe la prima classificata, indubbiamente la frase più pronunciata del 2020. 

E poi leggiamo la parola "congiunti", così in disuso, antica, letteralmente "parenti", ma, nei vari decreti anche "partner conviventi, partner delle unioni civili, persone che sono legate da uno stabile legame affettivo, nonché parenti fino al sesto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro)". E forse c'è chi neanche li conosce i figli dei "cugini tra loro". Che qualcuno abbia messo su anche un matrimonio di convenienza come nel film "Green Card"? 

Il primo anno di pandemia e i momenti che non dimenticheremo | VIDEO-FOTO 

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"Andrà tutto bene" (?)

Meme, videochiamate, concertini e coretti, canzoni dalle finestre, lezioni di yoga e zumba online, le "serie", il pane fatto in casa e cibo tanto cibo, del resto, se non si aveva un hobby casalingo, non rimaneva molto da fare per far passare la giornata. Ma in principio tutto vissuto con una certa leggerezza, naturalmente da chi non si è ammalato e non ha vissuto il dramma di una perdita. 

Ci siamo adeguati, forse non abbiamo rispettato proprio tutti i divieti alla lettera, ma un sentire collettivo e globale ci ha anche uniti nella speranza ("Tanto quanto può durare, mica possiamo fallire come paese") e quella frase che spuntava sui balconi con un arcobaleno vicino: “Andrà tutto bene” (e via ancora di hashtag), tanto che Elisa e Tommaso Paradiso ci hanno titolato una canzone, mentre e due autori, Lorenzo Medici e Francesco Randazzo, ci hanno scritto un libro, ma prudenzialmente con il punto interrogativo. 

Sicuramente non è andata benissimo, visto che, forse non come paese, ma come negozi, cinema, botteghe artigiane, sì, si può fallire: "Come mai è chiuso?", domanda, "non ha più riaperto dopo il lockdown", risposta. Quante volte lo abbiamo visto e sentito anche a Bologna.

Sicuramente non è andata benissimo a chi ha perso il lavoro e alle donne lavoratrici, come un teorema: già penalizzate rispetto agli uomini, hanno pagato il prezzo più alto in termini di occupazione. Anche a Bologna in centinaia hanno perso o sono state costrette a lasciare il lavoro per occuparsi dei figli, rimasti a casa dopo la chiusura delle scuole. 

Male, molto male per bimbi, giovani e adolescenti, così affamati e bisognosi di socialità. 

Sicuramente è andata malissimo agli "invisibili", ai senza dimora, ai più poveri insomma e anche ai migranti che avevano ottenuto un permesso di soggiorno perché un lavoro ce l'avevano.

E' andata malissimo anche alle persone sole, agli anziani nelle case di riposo, ai ricoverati, ai disabili, e ai loro familiari, costretti a rimanere tra le mura domestiche senza supporti, a chi non è riuscito a curarsi, ai sanitari costretti ai super turni.

E' andata tragicamente a chi non c'è più, non solo a causa del covid, a chi ha dovuto "partecipare" a un funerale di un familiare in diretta facebook. 

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Poi è arrivato il vaccino e il Green pass

Poi sono arrivati i vaccini. Prima, seconda, dose booster e in alcuni casi anche la quarta dose. La corsa ad immunizzarsi, fortunatamente della maggior parte dei cittadini, è andata di pari passo con quanti alla vaccinazione si sono opposti. 

E quindi la certificazione verde, semplice o rafforzata, il Green pass, insomma, quel codice da tenere sempre a portata di mano e quel piccolo timore ricorrente che il lettore non rilevi, proprio il nostro, dopo aver fatto tutte le dosi richieste di vaccino. 

E come tutti fenomeni che si rispettino, alcuni principi e scelte sono, appunto, rispettabili, altri forse meno, ma questa è un'opinione. La definizione di "dittatura sanitaria" ha impazzato su chat e social, ma sarebbe da pedanti ribadire che se fossimo stati in dittatura non si sarebbe potuto protestare contro la dittatura stessa, se non a proprio rischio e soprattutto pericolo. La disinformazione e la propaganda, quelle sì, spesso caratterizzano i regimi. Beh, con la fine dello stato di emergenza, pagine social, chat Telegram e sotto chat dai più fantasiosi titoli sovversivi, si sono messi a parlare di guerra, collegarsi per credere. 

Dunque, dal 1° aprile si cambia (ecco tutte le novità): il green pass non sarà più necessario per accedere a diversi locali e negozi e per accedere ai mezzi pubblici, quindi hanno un po' vinto loro? "Ma guarda, questo non credo", per citare un ex parlamentare, in tanti abbiamo pensato che il vaccino fosse sì una protezione personale, ma anche una forma di rispetto per la comunità, ma questo è un concetto un po' noioso. 

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"Ne usciremo migliori". O solo cambiati?

Molti ne sono usciti a pezzi, quello è sicuro, non foss'altro per quelle sensazioni di "lutto permanente", di sospensione, di impotenza e di tempo perso. Le notizie e i drammi , ahinoi, non siamo riusciti ad evitarli, pur volendo chiudere occhi e orecchie. Il bollettino quotidiano dei contagi, dei ricoveri e dei morti ci accompagna ancora, da 800 giorni, giorno più giorno meno, ma sembrano il doppio.

In tanti hanno sicuramente cambiato l'approccio alla "rete", anche tra i più restii, tra Dad, videoconferenze e smartworking, quindi si è fatta di necessità virtù, visto che per mesi è stato l'unico metodo per lavorare, studiare e comunicare.

E anche per fare gli acquisti che a livello globale sarebbero aumentati di almeno 10 punti percentuali nella maggior parte delle categorie di prodotti, insomma poi ci abbiamo un po' preso gusto a ordinare online e ritirare sacchetti e pacchi sulla porta di casa. 

E poi i social media che ci hanno anche molto divertito, nonostante tutto, un altro modo per passare il tempo, mostrare un po' di ripetitiva quotidianità ed astrarsi da una routine drammatica. 

Sicuramente per molti mesi l'emergenza sanitaria ha privato i nostri occhi della bellezza, dalle opere nei musei, alla natura, dalle città d'arte, di un palco. Il rischio è appunto farci l'abitudine all'isolamento, ma per ora, almeno in città, ci si preoccupa di limitare gli eventuali danni da "sovraffollamento" e da dehor sotto i portici, visto che i contagi sono in risalita, ma non preoccupano i ricoveri, e questo evidentemente grazie alla campagna di vaccinazione. 

Forse abbiamo sperato di uscirne migliori. Sicuramente questi "due anni vissuti pericolosamente" avranno un'onda lunga sulle nostre menti, su quelle dei più giovani e dei più fragili e non staremo a citare l'ennesimo studio che parla di aumento di stati ansiosi e depressivi e del maggior ricorso ai farmaci. 

Ora abbiamo di fronte ancora un dramma, quello della guerra, che ha preso il sopravvento, occupa tutta l'informazione e preoccupa. 

Sicuramente la pandemia ha seminato (e raccolto) insicurezza e senso di sottomissione di fronte a eventi drammatici e globali, e potrebbe anche non essere un male assoluto. E anche questa è un'opinione. 

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