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'Giusti tra le nazioni': Nerina, Pio e gli altri. Le storie dei bolognesi che salvarono gli ebrei

Le testimonianze di alcuni dei 76 emiliano-romagnoli ai quali Yad Vashem, l'Ente nazionale per la Memoria della Shoah, ha concesso il titolo di 'giusti', i non ebrei che salvarono i perseguitati durante i rastrellamenti e lo sterminio nazista

Ha ormai quasi 60 anni il progetto mondiale lanciato da Yad Vashem, l'Ente nazionale per la Memoria della Shoah, per assegnare il titolo di “Giusti fra le Nazioni”, ossia i non ebrei che salvarono gli ebrei durante i rastrellamenti e lo sterminio nazista.

Istituita dalle Nazioni Uniti nel 2005, la Giornata della Memoria, il 27 gennaio commemora le vittime della Shoah, data simbolo della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz.

Tra i "Giusti" compaiono oltre 700 gli italiani tra cui 76 emiliano-romagnoli, da Piacenza alla Romagna, passando per Bologna, una mappa in continua evoluzione, anche a cura del Museo Ebraico di Bologna, come le storie, anche piccole che spesso tornano a galla. Intere famiglie, sacerdoti o anche singoli cittadini.

Le storie dei "Giusti" bolognesi

La famiglia Bizzi, Nerina, Bianca, Edmondo e Laura - Imola: nel 1943 Pio Padovani, commerciante, decide di trasferire la famiglia da Bologna in un luogo più sicuro nella campagna imolese, lontano dai bombardamenti. Insieme alla moglie Wanda Samaja, il fratello disabile Emilio e le due madri vedove si stabilisce in una casa colonica. Dopo l’8 settembre, l’occupazione tedesca rende instabile anche questo rifugio. Nel febbraio del 1944 Pio Padovani incontra per caso a Imola Edmondo Carlo Bizzi e lo mette al corrente delle sue difficoltà e i suoi timori per la famiglia, cui si era aggiunta anche la figlia Serena, nata in clandestinità all’ospedale di Faenza. Bizzi si offre allora di ospitare tutta la famiglia nella propria casa di via Mentana a Imola. La famiglia Bizzi era composta da Edmondo Carlo, la moglie Nerina Montebello in Bizzi, le due figlie Laura, nubile, e Bianca, sposata Palmonari, e i suoi tre figli bambini, Giuseppe, Vincenzo e Federico. Il marito di Bianca, Luigi Palmonari, nel settembre 1939 era stato richiamato nell’esercito, mentre lei e i figli erano rimasti a Coltano (in provincia di Pisa), dove la famiglia si era trasferita. Bianca era così ritornata a Imola coi bambini, nella casa paterna. Luigi venne poi catturato all’isola d’Elba e deportato in Polonia, rientrò nel giugno del 1944. 

Via Mentana si trova nella zona della stazione ferroviaria, quindi era allora molto esposta ai bombardamenti: per timore delle incursioni aeree, le due famiglie, Bizzi e Padovani, andavano a dormire in cantina. Una notte i tedeschi, pensando che la casa fosse disabitata, sfondarono il portone per entrarvi. I soldati requisirono la casa, ma lasciarono la possibilità ai Bizzi (e ai loro ospiti, dichiarati come sfollati dalla città) di vivere in cantina. 
I Padovani vissero presso i Bizzi fino alla liberazione di Imola, avvenuta il 14 aprile 1945. Dopo quella data si stabilì nella casa per qualche tempo un reparto anglo-polacco.

Il 23 agosto 2004 i membri della famiglia Bizzi sono stati riconosciuti Giusti tra le Nazioni: Bianca Bizzi, quasi centenaria, era allora l’unica componente ancora in vita e ha ricevuto l’onorificenza dai funzionari del Consolato di Israele alla presenza dei figli e di Serena Padovani.
Nell’ottobre 2016 è stata intitolata a Bianca Bizzi la scuola primaria della Pedagna a Imola. 
L’amicizia tra le due famiglie dura tuttora.

Pio Candini - San Giorgio di Piano: All’indomani dell’8 settembre 1943, il capitano dell’Esercito italiano Vittorio Cuomo, che risiede a Cento con il figlio Eugenio di 4 anni e la moglie Luisa (ebrea) decide di non aderire alla Repubblica di Salò.
I tedeschi gli offrono di vestire nuovamente la divisa italiana per ricoprire l’incarico di traduttore per i lavoratori forzati italiani impegnati a riattivare le linee ferroviarie bombardate dagli Alleati. Trovandosi in grave pericolo, poiché è ricercato dai repubblichini, con moglie e figlio che rischiano la deportazione, Cuomo accetta l’incarico. 
Non sentendosi più al sicuro a Cento, i Cuomo si spostano di paese in paese: a San Giovanni in Persiceto, poi a Poggio Renatico, Galliera, San Giorgio di Piano, per trovare infine rifugio a Cinquanta, una frazione di San Giorgio di Piano, in via Casale 19, nella casa colonica di Pio e Gina Candini. Qui, con l’aiuto di Candini, Vittorio costruisce una baracca di legno riscaldata da una stufa, per ospitarli, visto che in casa oltre alla famiglia Candini e altri famigliari sono presenti anche altri tre rifugiati, degli antifascisti fuggiti dal carcere dopo un bombardamento.

I Cuomo rimangono a Cinquanta fino al 1945, protetti dai Candini. Come ricorda Eugenio, i Candini non hanno mai chiesto nulla in cambio e li hanno accolti senza sapere chi fossero.
Scegliendo di ospitare la famiglia Cuomo i Candini si espongono a gravi rischi; inoltre, nell’inverno del 1945, in prossimità della casa si accampa un battaglione della Wermacht in ritirata verso nord.
Preoccupato per la situazione, in cambio del suo orologio da tasca, Vittorio recupera da un soldato tedesco il suo cavallo, che gli era stato sequestrato, e con quello e un carretto lascia la casa dei Candini e Cinquanta che ritiene poco sicure. Parte quindi alla volta di Bologna, dove la famiglia si rifugia in una casa in viale Audinot. Qui rimangono fino alla Liberazione. Dopo la guerra la famiglia rimane a Bologna, dove Eugenio frequenta e si diploma al liceo-ginnasio Luigi Galvani e si iscrive all’università.
Nel 1963, appena laureato in Giurisprudenza, Eugenio Cuomo si trasferisce in Israele dove diventa docente di Diritto, poi direttore della biblioteca della facoltà di Giurisprudenza a Gerusalemme e nel 1966 viene raggiunto dai genitori che moriranno in Israele, Vittorio Cuomo nel 1972 e Luisa nel 1996.
Nonostante non si siano più incontrati dall’inverno del 1945, i Cuomo hanno mantenuto memoria della generosità dei loro salvatori e nel 1994, Eugenio Cuomo, in Italia per un congresso, va a cercarli a Cinquanta, ritrovando la casa dove è vissuto, ma non i Candini che, come viene a sapere in seguito, si sono trasferiti in un paese vicino, Funo di Argelato. Ritornato in Italia nel 1998, riesce a rintracciarli con l’aiuto dell’amico e compagno di studi al liceo Galvani, Mauro Tagliani, e può riabbracciare Romano e i suoi genitori, Pio e Gina.
Pio Candini, novantaduenne, rispose con semplicità al ringraziamento di Eugenio dicendo: "Quando le persone hanno fame, gli si dà da mangiare". 

Tornato in Israele, Eugenio Cuomo avviò la procedura di riconoscimento a Yad Vashem per Pio e Gina Candini quali Giusti tra le Nazioni, che giunse a luglio 1998, in tempo per essere comunicata a Pio prima della sua morte, avvenuta il primo novembre. L’onorificenza fu invece consegnata a Gina l’11 novembre, nel corso di una cerimonia all’ospedale di Bentivoglio dove era ricoverata.
Anche dopo la morte di Gina, il rapporto tra Eugenio Cuomo e i Candini continua con una consuetudine di visite a Romano Candini e a sua moglie Edera. Il 27 gennaio 2005 i Consigli Comunali di San Giorgio di Piano e Argelato, in seduta congiunta onorano Pio e Gina Candini e il 28 gennaio 2006 si svolge la cerimonia dell’intitolazione di una strada comunale a San Giorgio di Piano “Via coniugi Candini Pio e Marchesi Gina, Giusti tra le Nazioni” alla presenza dei figli Irma e Romano e di Eugenio Cuomo. 

Alfonso Canova - Sasso Marconi: agente immobiliare e titolare di un'agenzia a Bologna, fornisce assistenza e salva sei ebrei stranieri che si trovavano in regime di internamento libero a Sasso Marconi.
Si tratta di Alexander Lang con la moglie di origine ungherese Rosalia (Rosa o Ruzica) Klein e loro figlio Vladimir, di Osijek, Croazia, del giovane ingegnere polacco Leonhard Pivok (o Piwok) amico di Vladimir, di una coppia senza figli, Viktor (o Vittorio) Altaras di Tassani (Bosnia) e sua moglie Luisa Benvenisti, probabilmente di Sarajevo, e di Karl Leibel (o Loebel), forse austriaco.
Come racconta Vladimir nelle sue memorie, dopo essere fuggito da Osijek nel 1941 e aver trascorso un periodo a Lubiana, nel maggio 1942 insieme al suo amico Lonek (Leonhard Pivok, partono alla volta dell’Italia, destinati in regime di internamento libero a Sasso Marconi, dove nel 1943 li raggiungono anche i genitori Alexander e Rosa Lang, con l’aiuto di Mario Finzi, giovane magistrato bolognese e delegato per la Delasem.

L’anno precedente, tramite una conoscente della madre che viveva a Bologna, la signora Kunhegyi, una pittrice ebrea ungherese, Vladimir (che si era registrato insieme a Lonek presso la stazione di Polizia di Sasso Marconi come nipote e zio) aveva conosciuto Alfonso Canova, che aveva affittato una casa di Sasso Marconi alla signora Kunhegyi e una parte di essa ai due giovani, che iniziano a lavorare in una fabbrica di mattoni, poi nella cartiera di Marzabotto. Giunto a Sasso Marconi, Alexander Lang, che era orefice, trova lavoro a Bologna, mentre la moglie esegue lavori di cucito. Fin dai primi tempi, Alfonso Canova dona loro del cibo, come ricorda Vladimir nelle sue memorie. Anche gli Altaras si trovano a Sasso Marconi come internati liberi.
Dopo l’8 settembre la situazione in paese si fa difficile per gli internati, che rischiano l’arresto e la deportazione. In quel periodo Vladimir e i suoi conoscono un altro esule austriaco che proveniva dalle isole di Brioni, in Istria, Karl Leibel (o Loebel), che Vladimir ricorda più grande di lui, forse quarantenne e molto ricco. Vista la situazione di pericolo, Alfonso Canova porta il gruppo da Sasso Marconi al suo podere detto Mulinetto a Guzzano, vicino a Pianoro, una località più isolata e sicura. Là rimangono nascosti e Canova ogni settimana porta loro cibo e conforto.
A causa di una denuncia, Canova è costretto a spostare il gruppo prima a Bologna a casa sua in via Zannoni e in via Tolmino a casa di Anna di Bernardo, all’epoca sua segretaria, poi in un altro appartamento. Anna di Bernardo, con l’aiuto di sua zia Laura e di un impiegato comunale, fornisce loro documenti falsi e false tessere annonarie. Questi documenti permettono al gruppo di vivere durante il periodo trascorso a Bologna, poi di mettersi in viaggio verso la Svizzera.Canova accompagna alcuni di loro in treno a Milano. Lì i Lang sono ospitati a casa di una cugina di Canova, poi in un appartamento con altri ebrei in fuga.

Canova viene arrestato a dicembre e interrogato, con l’accusa di aver dato rifugio a ebrei e rimane in carcere a Bologna al Comando militare di Porta San Mamolo per circa 8 giorni. Durante gli interrogatori non dà alcuna informazione riguardo i suoi protetti e, non sussistendo prove per trattenerlo, il 13 dicembre viene liberato sulla parola, avendo chiesto di potersi recare a vedere la sua bimba di due anni, Lucia, nel giorno del suo onomastico.
Dopo quasi due mesi, Canova riesce a organizzare la fuga in Svizzera. L’Holocaust Survivors and Victims Databas li elenca tra gli ebrei entrati il 15 aprile 1944. Un Vittorio Altaras, di Spalato, è citato insieme ad altri tre ebrei protagonisti della fuga dal carcere di Como con l’aiuto della crocerossina Luisa Colombo (Picciotto 2017, 255). Sembrerebbe trattarsi dello stesso Viktor Altaras, forse fermato mentre si apprestava a passare in Svizzera.

Dal 1945 al 1948, Vladimir Lang ritorna in Jugoslavia con la famiglia e là termina gli studi. Nel dicembre 1948 emigra insieme ai genitori in Israele e dal 1957 si trasferisce negli Stati Uniti. La sorellina Maja, di dieci anni, che era stata affidata a parenti in Ungheria poiché i genitori temevano che la fuga in Italia sarebbe stata pericolosa, era stata invece deportata e uccisa ad Auschwitz. Il 20 giugno 1963, i Lang donano dieci alberi, piantumati in Israele, per ricordare la generosità di Alfonso Canova.

Il 24 gennaio 1968, a seguito della testimonianza di Rosa Lang, Alfonso Canova viene riconosciuto da Yad Vashem quale Giusto tra le Nazioni. La famiglia Lang continua in seguito a intrattenere rapporti con la famiglia Canova, visitandola e dimostrando tangibilmente la propria gratitudine. Raggiunto dalla notizia della morte di Alfonso Canova, anche Leonhard Pivok invia un telegramma di cordoglio alla famiglia: «Sincerissime condolence a famiglia del non obligato benefattore. Pivok». Nel suo italiano anglicizzato, Pivok intendeva manifestare le sue «condoglianze alla famiglia dell’indimenticato benefattore».
La famiglia Canova non ha più avuto contatti con gli altri salvati. I nomi di Viktor e Luisa Altaras compaiono in un elenco di passeggeri arrivati a Buenos Aires a bordo della nave “Argentina” il 29 maggio 1948. L’Holocaust Survivors and Victims Database indica che Leonhard Pivok (Piwok) entrò in Svizzera il 24 marzo 1944. Il nome Carlo Liebel compare nel database degli ebrei stranieri internati in Italia www.annapizzuti.it, senza dati ulteriori. Un Karl Liebel (22/11/1923) è tra gli intervistati del progetto USC Shoah Foundation Institute (intervista 3242, resa il 14/06/1995, in Florida) e compare anche nell’Holocaust Survivors and Victims Database. Anch’egli viennese, è molto più giovane rispetto al ricordo di Vladimir Lang e sembrerebbe trattarsi di un’altra persona.

Prima del riconoscimento quale Giusto tra le Nazioni, il 16 maggio 1965 Alfonso Canova aveva ricevuto una Magen David (stella di David) d’argento dal Comitato del Premio ai Buoni, che nella stessa occasione tributa una stella d’oro in memoria di Mario Finzi (1913-1945) deportato e morto ad Auschwitz un mese prima della liberazione del campo.
Il 1° gennaio 1969, nel corso di una cerimonia a Yad Vashem, Alfonso Canova pianta un sicomoro nel Giardino dei Giusti accompagnato dalla moglie e dai Lang. Il 24 gennaio 2012 anche il Comune di Sasso Marconi rende omaggio ad Alfonso Canova piantando un melograno presso la sede dell’Istituto professionale per l’Agricoltura e l’Ambiente B. Ferrarini, alla presenza di Lucia Canova e di Anna di Bernardo e di una delegazione di alunni delle scuole Serpieri e Fermi di Bologna, questi ultimi autori di una ricerca sulla vicenda, nell’ambito del progetto StoriaMemoria. (fonte: Regione Emilia-Romagna)

La legge regionale sulla Memoria dell’Emilia-Romagna

Approvata nel marzo 2016, la legge sostiene la conoscenza di fatti e avvenimenti storici avvenuti nel corso del Novecento in ambito emiliano-romagnolo. Unica nel panorama nazionale, promuove ricerche e approfondimenti storici ma anche progetti culturali e artistici che attraverso i diversi linguaggi, affrontano avvenimenti e tematiche storiche. La legge è intervenuta sia a sostegno delle attività degli Istituti storici regionali che di soggetti pubblici e privati.

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