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Terapie ormonali, uso e abuso. La mostra arriva in Italia: "Bologna scelta non casuale"

L'INTERVISTA. Si chiama "Transitional States" e dopo Londra e Barcellona arriva a Bologna. A progettarla Chiara Beccalossi, storica della sessualità e delle medicina: "Durante il fascismo gli ormoni si usavano per reprimere l'omosessualità"

Non è un caso se dopo Londra e Barcellona, per l'Italia sia stata scelta proprio Bologna per "Transitional States: Hormones at the Crossroads of Art and Science" ("Stati di transizione: ormoni al crocevia dell'Arte e della Scienza"), un progetto della storica della sessualità e delle medicina Chiara Beccalossi, che attraverso le performance artistiche tratta il delicato tema dell'uso delle terapie ormonali nella storia e fino a oggi. 

Fin dai primi del Novecento le terapie ormonali venivano utilizzate per migliorare la condizione umana e risolvere problemi di salute, ma anche per reprimere certe condizioni: in Italia durante il Fascismo, si usavano per aiutare le donne ad essere più fertili, per rendere gli uomini più virili e, ebbene sì, per reprimere l'omosessualità. «Una storia triste quest'ultima, che gli inglesi chiamano la dark side della medicina, il lato oscuro...ma ci sono ovviamente anche aspetti positivi come l'introduzione della pillola anticoncezionale» commenta Beccalossi. 

E non è un caso neppure che il progetto della mostra venga presentato nel mese contro la violenza sulle donne e il giorno prima della data nella quale si onora la memoria e le vite delle vittime di transfobia, l'International Trans Day of Remembrance (TDoR) che si tiene il 20 novembre di ogni anno, quando si pubblica l'aggiornamento del progetto di ricerca Trans Murder Monitoring (TMM).

Transitional States: arte e scienza

L'intervista a Chiara Beccalossi| VIDEO 

Chiara Beccalossi, storica della sessualità e delle medicina, e professoressa alla University of Lincoln in Inghilterra. Laureata a Bologna, si è trasferita a Londra dove ha conseguito il dottorato in storia alla Queen Mary University of London.

"Transitional States: Hormones at the Crossroads of Art and Science": ci parla di questo suo progetto? Come nasce l'idea della mostra e da quale percorso di ricerca deriva? 

«E' un progettto che consiste in una serie di dibattiti pubblici ed una mostra di videoarte. Lo scopo è quello di incoraggiare il dibattito sull’uso attuale delle terapie ormonali, in particolare il loro uso tra le persone intersessuali, transgender e persone non-binarie, e l’uso delle terapie ormonali tra le donne rispetto al controllo delle nascite, la fertilità, la menopausa.

Come mai una mostra? «In Inghilterra le varie fondazioni che finanziano la ricerca sempre più spesso sostengono i ricercatori nel portare il proprio lavoro fuori dai laboratori e dalle università, incoraggiano a sviluppare i cosiddetti ‘public engagement programmes’, che sono programmi che usano aspetti creativi (come una mostra) per avvicinare un pubblico di non esperti ad a tematiche complesse ed ad informarsi. Nel 2015 ho ricevuto dei fondi dalla Wellcome Trust per sviluppare la mia ricerca sulla storia delle terapie ormonali nel ventesimo secolo e mi hanno dato l’opportunità e i finanziamenti per sviluppare Transitional States, che mi ha portato a collaborare con attivisti e artisti non-binary e trans e artisti e attiviste femministe.

Per quanto riguarda l’aspetto della sua domanda che si riferisce alla mia ricerca: in questi ultimi anni, grazie alla Wellcome Trust, mi sto occupando di come le terapie ormonali furono inizialmente usate per normalizzare gli individui. Per esempio, nel periodo tra le due guerre mondiali, e nel periodo fascista  in Italia le terapie ormonali furono usate per virilizzare gli uomini, per migliorare la ‘razza latina’ dicevano gli scienziati fascisti, rendere più fertili le donne, e per reprimere l’omosessualità. Successivamente, dopo la seconda guerra mondiale, le stesse terapie cominciarono ad essere utilizzate per assistere le persone trans a compiere la transizione di genere».

Aspetti inquietanti e negativi delle terapie ormonali

«Come molte tecnologie mediche, le terapie ormonali hanno nella loro storia aspetti inquietanti e negativi, per esempio l’uso di ormoni sintetici per ‘curare’ (in altre parole reprimere) l’omosessualità, e aspetti più, diciamo, positivi e liberatori. Si pensi a come la pillola anticoncezionale, che cominciò a circolare negli anni ’60 nel mondo occidentale, abbia cambiato la vita sessuale delle donne, liberandole dalla paura gravidanze, rendendole piu’ autonome nella sfera sessuale. O si pensi a come oggi le terapie ormonali vengano utilizzate per assistere le persone trans a compiere la transizione di genere, per far si che il corpo di una persona si allinei con la propria l’identità».

Lincoln, Londra, Barcellona e...Bologna. Perchè proprio qui? C'è qualche differenza nell'affrontare queste tematiche in Italia piuttosto che in GB e in Spagna? La domanda vera è: siamo più indietro degli altri? 

«Il motivo principale perché per l'Italia ho scelto Bologna è per la presenza del M.I.T. (Movimento Identità Trans), realtà unica e molto importante. Fondato nel 1982  il M.I.T. si occupa di tutelare il benessere e i diritti delle persone transessuali e transgender, di promuoverne rispetto, emancipazione ed inclusione socio culturale. E’ gestito da persone trans e tra le varie cose di cui il M.I. T si occupa è di assistere le  persone trans durante il periodo di transizione. C’e’ anche poi un motivo più personale: qui a Bologna io feci l’università, e fu qui che cominciai ad appassionarmi alla storia della scienza, e quando ho pensato in che città italiana portare Transitional States, ho subito pensato a Bologna. Anche perchè Bologna ha  una lunga storia di battaglie LGBTIQ.

Ci sono alcune differenze tra Italia, Inghilterra e Spagna. In tema di diritti delle persone LGBTIQ, il rapporto del 2015 dell’International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association (ILGA) ha assegnato all’Italia il trentaduesimo posto (su quarantanove paesi) sia rispetto alla categoria ‘hate crime and hate speech’ sia ‘legal gender recognition and bodily integrity.’ In particolare, per quanto riguarda le persone trans, l’Italia si trova in cima alle classifiche (seconda solo alla Turchia) per l’alto numero di persone trans uccise ogni anno: 33 tra il 2008 e il 2015. Al terzo posto, con cifre nettamente inferiori (otto), la Spagna. 

In generale l’Italia è uno dei paesi dove le condizioni di vita per le persone trans sono tra le più a rischio: oltre alle violenze e alle discriminazioni quotidiane, persistono ampie difficoltà nell’accesso al mercato del lavoro (aggravate dalla lunghezza dei procedimenti per l’ottenimento del consenso giuridico per gli interventi chirurgici di cambio di genere e anagrafico).  

Inoltre, ed e’ solo un altro esempio, ma ne potrei citare molti, mentre in Italia nelle istituzioni scolastiche si difende ‘la famiglia naturale’ e si fanno crociate contro la cosiddetta ‘teoria del gender’, in Inghilterra per esempio (paese dove lavoro e vivo attualmente) chi lavora nel campo nell’educazione, dalle scuole elementari fino all’università, e’ incoraggiato (nonostante l’attuale governo sia molto conservatore) a prendere in esame le problematicità dell’essere trans e non-binary. Nelle università per esempio chi insegna deve anche frequentare workshop organizzati da associazioni trans. Questi workshop danno gli strumenti, a noi che insegnamo, per sostenere e aiutare i nostri studenti transgender. Perche’ e’ ormai riconosciuto e accettato che si sono studenti trans, e questi vanno valorizzati e aiutati se hanno delle difficoltà».

Chi sono gli artisti che esporranno alla mostra? 

«Nella mostra di video arte presentiamo 14 video o cortometraggi di artisti o collettivi sia affermati che emergenti, provenienti da paesi come Argentina, Australia, Austria, Brasile, Colombia, Danimarca, Francia, Italia, Giappone, Svezia, Regno Unito, Uruguay e Stati Uniti. Questi artisti sono stati selezionati da una giuria indipendente in seguito ad un bando aperto a tutti coloro che volessero partecipare. Metà degli artisti che presentano il loro lavoro all’interno di Transitional States sono persone trans e non-binary: questi raccontano come le terapie ormonali abbiano cambiato la loro vita. Ci raccontano delle loro transizione, dei pregiudizi sociali e culturali che  le persone trans affrontano quotidianamente. L’altra metà degli artisti mostra come la società contemporanea abbia medicalizzato il corpo delle donne attraverso l’utilizzo di ormoni nel controllo delle nascite, nella menopausa e nell’invecchiamento. Perché ricordiamoci che moltissime donne nel mondo occidentale fanno uso di ormoni sintetici ogni giorno, pensiamo solo alla pillola  e alle terapie ormonali per affrontare la menopausa, o all’uso di testosterone per aumentare la libido».

Qual è lo scopo principale della mostra che ha ideato? Perchè comunicare certe cose attraverso l'arte?

Credo che l’arte sia una forma piu’ immediata di comunicare rispetto ai dibattiti.  In ogni città a seconda di chi ha ospitato la mostra di video arte e chi ha collaborato con me per organizzare i dibattiti, e in base ai dibattiti più specifici di una nazione rispetto ad un;altra, i fini del programma sono un po’ diversi. Ma diciamo che 
come gia’ accennato, lo scopo principale di Transitional è di incoraggiare il dibattito sull’uso attuale delle terapie ormonali, in particolare il loro uso tra le persone intersessuali, transgender e persone non-binarie, e l’uso delle terapie ormonali tra le donne rispetto al controllo delle nascite, la fertilità, la menopausa. Quando parliamo di uso delle terapie ormonali tra persone trans vogliamo far parlare le persone trans. Quando parliamo di terapie ormonali usufruite da donne, vogliamo far parlare le donne che ne hanno fatto uso. Da qui l’importanza per me di collaborare col M. I. T.». 

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