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La terza via

La terza via

A cura di Massimiliano Cordeddu

Le vite a 'rendere' del dott. Gasbarrini

A colloquio con Alessandro Gasbarrini, fondatore della Fondazione Pro Bone, vicina alle persone affette da patologie vertebrali e del sistema muscolo-scheletrico. E poi dentro Villa Putti, incrociando le vite di suor Franca e della piccola Aurora

Arriviamo di prima mattina all’Istituto Ortopedico Rizzoli, situato su una collina a ridosso del centro storico di Bologna, accompagnati da Patrizia Lorenzelli, consigliera della Fondazione Pro Bone Italia. Siamo qui per incontrare il dott. Alessandro Gasbarrini, fondatore della onlus che si occupa di curare e assistere le persone affette da patologie vertebrali e del sistema muscolo-scheletrico, anche in fase avanzata, al fine di migliorare la qualità e la di­gnità della vita. La Fondazione Pro Bone sostiene i costi della struttura ospedaliera dove si svolgono gli interventi e offre alle famiglie dei ricoverati supporto finanziario e logistico per assistere il congiunto. Gli occhi di Patrizia sono vivi, sprizzano vitalità e brillano di una luce particolare quando comincia a parlare della Fondazione e degli altri compagni di viaggio; oltre a Gasbarrini, Geraldine Venturoli e Paola Brunori Calzolari. Amici con i quali nel 2011 è cominciata questa fantastica avventura. 

«Mio padre il giorno in cui mi laureai mi disse - ricorda il dott. Gasbarrini - ora vai a guarire. Se non puoi guarire, cura. Se non puoi curare, consola» Il medico del Rizzoli è stato il primo chirurgo al mondo ad effettuare un trapianto di vertebre prelevate da un donatore. Si confida con noi, raccontandoci l’origine della sua vocazione. Si avete capito e letto bene: vocazione! Fare del bene e operare miracoli attraverso la scienza e la professione medica, non è meno importante di quelli riconosciuti ai santi canonizzati dalla Chiesa cattolica. La parabola dei talenti (Mt 25,14-30), infatti, ci insegna che non dobbiamo aver paura di utilizzare a fin di bene e per la nostra realizzazione personale i doni che abbiamo ricevuto dall’Architetto universale. E il dott. Gasbarrini, direttore della struttura complessa di chirurgia vertebrale ad indirizzo oncologico e degenerativo dello Ior di Bologna, lo sa bene. Chissà, forse, perché è figlio e nipote d’arte? Il nonno, pensate,  curò addirittura due papi: Pio XII e Giovanni XXIII. Il padre era un apprezzato gastroenterologo, mentre il fratello Antonio, sempre medico, è preside del Policlinico Gemelli di Roma. 

Il dilemma: pro bono o pro bone? 

Vi svelo un segreto. Non avendo studiato latino alle scuole superiori, mi sono trovato un attimo in imbarazzo quando ho chiesto il significato di Pro Bone. «Si, ha capito bene - precisa sorridendo il dott. Gasbarrini - si chiama Pro Bone e non Pro Bono! Non si preoccupi siamo abituati a questa domanda. Molti confondono la parola latina ‘bono’ con quella inglese ‘bone' che significa osso. E curando le ossa, ci sembrava il nome più adatto». Elementare Watson! E’ stata una di quelle volte in cui avrei voluto sprofondare dalla vergogna. «Il nome - prosegue il chirurgo - mi venne in mente per caso guardando la pellicola cinematografica ‘Mi chiamo Sam’, girata nel 2001 con un indimenticabile Sean Penn e una giovanissima Michelle Pfeiffer. Nel film quest’ultima interpretava un avvocato di grido che assume ‘pro bono’ la difesa di un padre affetto da una disabilità intellettiva e, a causa di questa, combatte in tribunale per ottenere l’affidamento della figlia Lucy». Dalle parole del medico traspare tutto l’entusiasmo che mette nella sua missione. Mentre parla con noi segue, attraverso uno dei tanti schermi posti sulla grande scrivania in legno del suo studio, appartenuta al padre o forse al nonno, un intervento chirurgico effettuato da un collega in diretta, suggerendo i passi da seguire e complimentandosi con lui per aver eseguito in modo preciso l’operazione. Gasbarrini quando parla ti guarda negli occhi e si emoziona descrivendo i pazienti provenienti da tutto il mondo. Esseri umani , li definisce lui, a cui è riuscito a donare nuovamente la capacità di camminare, o ai quali ha asportato un tumore maligno allo stadio terminale. Pazienti che per altri chirurghi rappresentano ‘vite a perdere’, senza speranza e dunque inoperabili. Anime perse alle quali non è concessa un'altra chance. Il dott. Gasbarrini, al contrario di questi ultimi, vede sempre il bicchiere mezzo pieno e prima di ogni intervento, ricostruisce, disegnandola a mano in un quaderno, la colonna vertebrale del malato da operare, quasi fosse un'opera d'arte. Ci spiega la magia di una stampante 3D, capace di ricostruire fedelmente l'organo da riparare, sostituendolo. «Chi ha un tumore in fase terminale non è un morto che cammina. Credo fermamente che pur con tutte le difficoltà del caso oncologico soggettivo, occorra sempre e in qualsiasi modo preservare la dignità del paziente, alleviandone il dolore anche negli ultimi mesi, giorni e istanti di vita. Come le ho detto prima, oltre al giuramento di Ippocrate, seguo alla lettera quello che mi disse mio padre il giorno della mia laurea - se non puoi guarire, cura. Se non puoi curare, consola - ».

Villa Putti, suor Franca e la piccola Aurora

Alle spalle del convento di San Michele in Bosco, sorge un villino molto grazioso in stile liberty appartenuto al prof. Vittorio Putti, ex direttore dell'Istituto Rizzoli. L’elegante edificio fu costruito nei primi decenni del '900 e progettato da uno dei più grandi architetti italiani dell’epoca. Dal dopoguerra, invece, fu abitato prima dalle suore che prestavano servizio come infermiere nel nosocomio e successivamente in condivisione con le religiose, trasformato, di fatto, in foresteria gratuita per i parenti dei degenti ricoverati nei reparti del Rizzoli. L'edificio ha 14 stanze disposte su tre piani, quasi tutte camere doppie e con i bagni e la cucina in condivisione. Suor Franca, la padrona di casa, è una religiosa minuta dallo sguardo dolce e serafico. Ci accoglie sorridente sulla sommità delle scale che portano ad un ingresso laterale della villa, invitandoci ad accomodarci in una stanza al primo piano del villino. Ed ecco la mamma di Aurora, una bambina macedone di 5 anni a cui era stato diagnosticato il Sarcoma di Ewing. Questo male può localizzarsi in aree diverse del corpo, ma nella maggior parte dei casi si sviluppa nelle ossa o nei tessuti molli adiacenti. «Se fossi rimasta nel mio Paese, non so’ cosa sarebbe successo alla mia bambina - ci confida il genitore della piccola - l’Associazione Campanacci e la Fondazione Pro Bone ci hanno aiutato tantissimo. Qui al Rizzoli - a stento trattiene le lacrime - abbiamo trovato una seconda famiglia che ci ha adottato. I medici e tutto lo staff, inoltre, si sono prodigati per curare mia figlia. Grazie a queste, dopo un anno, Aurora è finalmente guarita. Domani finalmente torniamo a casa, ma saremo a Bologna fra tre mesi per una visita di controllo. La fondazione Pro Bone si farà carico del viaggio e di tutte le nostre necessità. Siamo grati per tutto quello che hanno e che continuano a fare per noi»

Questo è quello che fanno, come riportato nel sito della fondazione Pro Bone:«Non per forza, ma per amore», i tanti volontari. E’ stato un privilegio vedere il futuro del mondo attraverso gli occhi, la mente e le mani del dott. Gasbarrini, Patrizia, Greta, suor Franca, Bruno, Claudia Dani, Francesca, Rosa, Marisa, Kiki e tutto il fantastico personale medico e paramedico del reparto di oncologia pediatrica dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna. Abbiamo toccato con mano una realtà nella quale uomini e donne lavorano alacremente per aiutare gli ultimi. Consapevoli, a differenza della gran parte della società, di non essere stati risucchiati dal vortice dell'indifferenza globale. Hanno capito, infine, la regola aurea dell’autentica solidarietà, senza la quale non si va da nessuna parte: «Non per forza si devono versare soldi - leggiamo curiosando nel sito www.probone.org - non per forza si deve dedicare tempo, non per forza si deve apprezzare il lavoro svolto…Non per forza, ma per amore!»

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