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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca San Donato / Via Francesco Sabatucci, 2

La storia di Giuseppe: "Avevo tutto e sono diventato un senzatetto per aiutare un amico"

Ospite del dormitorio Beltrame, il 64enne si apre e racconta come la sua vita si è capovolta: "Con due pistole in tasca ho pensato di fare una strage. Poi la mia vita per strada, di cui i miei figli non dovranno mai sapere nulla"

Dalle stelle alle stalle. E' il titolo che Giuseppe dà al suo racconto, alla sua vita fino a qui. Ascoltare la sua storia, narrata da una voce calibrata, lucida, consapevole quasi parlasse di un'altra persona fa effetto perchè potrebbe essere la storia di molti e forse oggi lo è. Perdere tutto per un atto di generosità e finire in strada: "Avevo la mia casa, la mia professione, persino due automobili - parla il 64enne segnato dal tempo meno che dalla sofferenza - poi, per aver aiutato un amico a mettere su casa, ecco come sono finito. Tutto è precipitato e il mondo mi è crollato addosso. Ma non la mia dignità».

Giuseppe, lei è del sud e si è trasferito a Bologna per lavoro. Come sono andate le cose? Come da una vita agiata è finito a vivere per strada e oggi in dormitorio? «Prima la malattia e poi la morte di mia moglie mi hanno segnato, ma mi sono buttato sul lavoro e ho continuato a mantenere i miei figli da qui, mandando loro i soldi necessari perchè vivessero al meglio con l'affetto dei nonni, nella nostra casa. Le cose andavano bene, non mi mancava nulla e un amico d'infanzia, anche lui salito al nord per lavoro, mi ha parlato del suo problema con la casa. In pratica voleva accendere un mutuo per acquistare una dimora nella quale andare a vivere con la moglie, ma la banca non glielo concedeva perchè non aveva garanzie nonostante lavorassero entrambi. Siamo cresciuti insieme e ho deciso di fargli da garante per far sì che potesse realizzare il suo sogno familiare. E così firmai per il suo immobile a Sasso Marconi, luogo di origine della sua compagna». 

«A qualche mese dalla firma ecco la telefonata della banca che mi avvertiva che ben otto rate non erano state pagate - continua Giuseppe - e che dovevo provvedere io a saldare il debito. Avevano, non so bene come, tutti e due perso il loro lavoro. Ho fatto un fido e nel frattempo i due continuavano a vivere in quella che a tutti gli effetti era la loro casa. Hanno iniziato a non rispondere più alle mie chiamate, io a dover vendere quello che avevo per pagare i debiti. Ma non bastava e tutto è precipitato. Ho usato il mio tfr, ho fatto tutto quello che potevo e alla fine sono finito in mezzo a una strada». 

E i suoi figli? Sanno qualcosa? Quanti anni hanno oggi? «Hanno 40 e 32 anni, sono dei bravi ragazzi e preso la loro strada. Ho due nipotini che non vedo da 7 anni. Mai dovranno sapere quello che mi è successo: è un segreto che porterò nella tomba. Negli ultimi anni una cara amica che vive al Pratello mi ha prestato la sua casa quando uno dei miei ragazzi veniva a trovarmi: io mettevo delle nostre foto qua e là per far credere loro che fosse la mia abitazione». 

A un certo punto ha pensato di fare un gesto estremo...«Non solo l'ho pensato. Ho fatto di più. Mi sono procurato due pistole, due Beretta, sono salito su un pullman diretto a Sasso Marconi intenzionato a fare una strage: avrei ucciso il mio amico (quello che era un amico) e la sua famiglia. Una strage insomma. Mi sarei ucciso anche io. La mia mente era completamente offuscata dalla rabbia e dalla voglia di vendicarmi».

E poi cosa è successo? «Poi mi sono fermato, mi sono ritrovato su un ponte, una folata di vento mi ha toccato ed è come se una voce mi avesse detto di non fare qualcosa che avrebbe distrutto due intere famiglie. Mi sono salvato e ho cominciato a vivere per strada: mi sono trovato un posticino in stazione vivendo un po' lì e un po' sul bus 61, il notturno che io chiamo dei "morti viventi". Era il 2016 ed era pieno inverno. Spesso ho dormito nel parcheggio del Meloncello per esempio ed è stata dura».

«Al dormitorio non ci volevo venire. Ma le ragazze della Comunità di Sant'Egidio, quelle del Pallavicini e quelle del Beltrame mi hanno convinto che era per la mia salute: avevo infatti nel frattempo cominciato ad avere seri problemi alle gambe e ho avuto anche un periodo di degenza in ospedale. Da ottobre lavoro come guardiano al Lazzaretto, collaboro con Piazza Grande anche e mi do da fare come posso. Presto dovrei iniziare a ricevere la mia pensione».

Giuseppe, come lo vedi il tuo futuro? «Vorrei riuscire ad avere un monolocale del comune, vorrei dedicarmi al disegno e alla poesia, ma anche alla scultura. Ho una vena artistica e regalo sempre le ,mie opere a chi mi aiuta. Quello che voglio fare nel mio futuro è non mollare. Voglio aiutare quelli come me, voglio collaborare con le associazioni che si occupano dei senzatetto».

Ha mai chiesto l'elemosina? Con chi si ha a che fare quando si vive per strada? «No, mai. Anzi, sono stato io a essere generoso. Per strada si incontrano tante persone che si credono amiche e poi magari ti portano via le cose che sono tue...».

Dopo questi anni duri, vissuti laddove non avrebbe mai immaginato l'ha portata a farsi un'idea di come si èuò aiutare chi è senza casa?«Sì. Vorrei fare un appello alle istituzioni. Ci sono tante case vuote e disabitate come quelle di via Irma Bandiera...perchè non le danno a chi sa cosa fare? Fra volontari e assistenti in questi anni c'è di buono che ho incontrato persone bellissime che non mi hanno permesso di perdere la speranza».

Giuseppe è ospite del Centro di accoglienza Beltrame-Sabatucci, gestito da Società Dolce, per il consorzio L’Arcolaio.

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