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Cronaca

Riapertura asili nido estivi, l’educatrice: “Troppa fretta, a pagare sono i bambini (e noi)”

“I bambini fino a 3 anni hanno bisogno di riferimenti precisi, sicuri e saldi, di sentire che ci sono altri adulti dei quali si possono fidare e per fare questo hanno bisogno di routine prevedibili, dove riconoscersi, una specie di orologio biologico. Non è stata ascoltata la voce degli educatori”

La riapertura degli asili nido dopo il lockdown non trova tutti d’accordo. Bologna Today ne parla con un’educatrice della Città Metropolitana: “Mi occupo di infanzia da 30 anni, prima ho lavorato nel terzo settore, con varie cooperative, poi sono stata precaria, infine, dopo i concorsi, sono diventata pubblica dipendente, cambiando diversi enti”. 

Quali, secondo lei, le criticità della riapertura dei nidi?

“Molteplici, ma la più importante è la fretta che si è impossessata di alcuni amministratori e alcuni pedagogisti. Tutte motivazioni giuste, le famiglie hanno bisogno di sostegno e anche del loro legittimo spazio, io, ad esempio, raccomando sempre di ritagliarsi tempo libero di qualità, ma in questo caso si tratta di bambini rimasti a casa per mesi, con i familiari o con le baby-sitter, quindi si è generato un attaccamento più profondo, e abitudini diverse”. 

Lei si occupa di infanzia da 9 mesi a 3 anni, quali sono le differenze? 

“Dopo i tre anni i bambini hanno una maturità emotiva diversa. Quelli molto piccoli sono un’utenza particolare, vanno rassicurati con un gesto e uno sguardo, con il corpo, ora indossiamo la mascherina, quindi è un modo tutto diverso di lavorare, dobbiamo riadattare le nostre modalità comunicative, e per quanto tempo? Un mese o anche meno”. 

Ma anche i più piccoli hanno bisogno dei coetanei...

“Sicuramente, è un aspetto di notevole importanza. il lockdown ha permesso alle famiglie di stare insieme, alcuni genitori sono stati felicissimi, altri un po’ meno, dipende anche dalle singole situazioni; se si è dovuti stare in 40 metri quadrati, dopo un po’ è normale essere affaticati.

Pedagogisti e psicologici dicono che i più piccoli hanno subito una 'ferita sociale', ed è vero, ma non è detto però che tornare al nido non ne lasci un’altra, in questo caso per le modalità: in alcune situazione la continuità non è assolutamente garantita, non hanno gli stessi educatori o gli stessi spazi per esigenze anti-covid. Magari non riconoscono né gli uni, né gli altri. Mi chiedo, perché abbiamo studiato e avvalorato per anni la teoria dell’attaccamento e l’importanza delle figure di riferimento secondarie?

L’ambientamento è fatto di tante accortezze - continua l'educatrice - negli anni abbiamo riempito la testa dei genitori chiedendo loro di prendere ferie e permessi e dicendo che un buon ambientamento avrebbe gettato le basi per un futuro sereno, per tutto il percorso dell’asilo nido e forse anche scolastico. Per riaprire così in fretta, molto non è stato tenuto presente dagli amministratori, ma certo non è il loro mestiere. Avrebbero dovuto dire la loro invece  i coordinatori pedagogici. E’ vero che il covid ha stravolto molto, quindi perché non provare a crescere in una maniera sana e migliorando il servizio?”

Quindi lamentate la troppa fretta…

“L’ordinanza è uscita il 15 giugno quindi per renderla attuativa ci vuole tempo. I nidi sono servizi complessi da riorganizzare, ne va della salute emotiva e fisica di tutti, in primis dei bambini. Anche gli educatori più desiderosi di ricominciare, si pongono delle domande. Si tratta di un lavoro basato sul contatto stretto, mantenere le distanze è complesso, anzi, è impossibile, inoltre molti lavoratori sono stati chiamati in servizio pochi giorni prima della riapertura, nonostante si rendesse necessario cambiare totalmente l’assetto organizzativo, pochi giorni non sono sufficienti, quindi infine si è aperto, ma ci si chiede continuamente ‘ma questo si può fare?' E' stato un po’ come dire 'armiamoci e partite'. Insomma, con poche e confuse informazioni, sbrigatevela voi, trovate strategie".

Secondo lei c’è stata poca attenzione per i bambini?

“La riapertura è stata la risposta a un legittimo bisogno, ma, a mio avviso, è  anche una vetrina politica. Durante i mesi del lockdown  si parlava di come portare fuori il cane, ma poco dell'infanzia, quindi ora occorre dimostrare che si pensa anche ai più piccini. Capisco che la motivazione della classe politica sia quella di occuparsi della prima infanzia e delle famiglie, ma, come di dice, fretta e bene non stanno insieme. 

Le istituzioni dicono sempre che il nostro è un lavoro importantissimo, ma si ha la sensazione di un parcheggio, di essere trattati come badanti, noi siamo educatori e non animatori di villaggi turisti, con tutto il rispetto per questo mestiere, questo è quello che passa nei gesti e nelle azioni, cioè nella corsa alla riapertura, in alcuni casi anche senza riadattamento, talvolta in plessi dove usufruire dello spazio all’aperto diventa difficile.

A pagarne le spese sono sempre i bambini, si tratta di un equilibrio delicato. Quando non ci sono confronti sulle decisioni con i lavoratori, poi sta a noi trovare i metodi, i bimbi hanno bisogno di continuità e dei loro tempi, senza trascurare il diritto fondamentale alla socialità. Credo si debbano chiamare le cose col proprio nome, questi saranno baby parking, non servizi educativi. Uno specchietto per le allodole”.

Quali sono le condizioni di lavoro di un educatore? 

“Molti sono ricattabili perché in condizioni lavorative disagiate. Mi riferisco ai colleghi del settore privato. Questa corsa alla riapertura sembra anche un modo per richiamare al lavoro quei ‘fannulloni‘ del pubblico impiego. A partire dalla riforma Brunetta, ex ministro della Pubblica Amministrazione, il lavoro nel pubblico è stato sempre più dissacrato, mentre spesso ci dimentichiamo che il pubblico impiego manda avanti i servizi di cui tutti beneficiamo. I fannulloni sono ovunque e spetta ai responsabili porvi rimedio. Poi c’è il tema delle cooperative, con quei lavoratori è più facile, a loro si chiede maggiore flessibilità, fino a cose umanamente infattibili”. 

Per l'educatrice “il terzo settore è decisamente a rischio di fallimento, dopo tanti mesi di chiusura dei servizi; si dice che i lavoratori delle cooperative volevano la riapertura, non è sempre vero: a volte è difficile esprimere le opinioni a causa delle condizioni lavorative. Il sindacato ha avvalorato certe scelte, ma credo che in diversi potrebbero strappare le tessere, non si sono sentiti considerati”. 

Quindi una “guerra tra poveri”?

“Esattamente, il terreno perfetto per essere più facilmente governabili. Lo stipendio è quasi offensivo, molti lavoratori delle cooperativa sono assunti con il salario medio convenzionale e avranno problemi con il calcolo della pensione, spesso si accetta qualsiasi cosa perché si è in uno stato di forte bisogno, soprattutto dopo un lungo periodo di cassa integrazione. 

Molti privati si dicono più flessibili con proposte di giornate lavorative fino a 10 ore, quindi che fine fa la qualità, se si fanno turni così lunghi con dei bambini così piccoli? Spesso le persone non sanno nemmeno che orario faranno il giorno dopo. Se vuoi lavorare è così, altrimenti, arrivederci e ciao. Anche io a 20 anni ero precaria, ho fatto di tutto, compresi i campi solari con 50 bimbi per volta, ma questo non si chiama servizio di qualità, deve stare bene l’educatore per far stare bene un bambino. Gli amministratori questo lo sanno benissimo, ma fingono di non vedere. La tanto decantata flessibilità la si fa sulla pelle dei lavoratori. Mentre noi siamo considerati dei fannulloni, con privilegi. Errore. Si chiamano diritti, e dovrebbero essere estesi a tutti”. 

Quindi c’è una contrapposizione pubblico-privato?

“La stanno creando ad hoc. Sono due settori che si occupano dello stesso ambito, ma con contratti diversi, rendendo una categoria contrattualmente ricattabile, con poche tutele. E’ scritto anche nella Costituzione che l’essere umano va messo in condizione di lavorare in un certo modo”. 

Però, fa notare “in passato si facevano scioperi e manifestazioni per arrivare a un uguale trattamento contrattuale tra pubblico e privato. I sindacati erano i primi a crederci. Negli ultimi anni invece, si sta facendo il percorso opposto”. 

C’è anche la questione di genere? 

“Le lavoratrici nidi sono in maggioranza donne, spesso nelle famiglie gli stipendi delle donne sono molto inferiori, quindi più sacrificabili, si è detto anche che è bene riaprire perché sono perlopiu le mamme ad accudire i figli. E’ un modo di affrontare il tema alla rovescia, il problema è sociale e culturale. Che il welfare sia a carico delle donne è verissimo, ma bisogna cambiare dando stessi diritti e tutele a entrambi i sessi, e poi, non sono forse donne anche quelle a cui viene chiesto di fare turni interminabili?”

Infine, lei come avrebbe agito?

“Sarebbe stato utile ascoltare la voce dell’educatore, mi sarebbe piaciuto che si fosse iniziato a guardare a tutti i plessi, molti ad esempio sono fatiscenti e non a norma. Sarebbero stati i primi passi per una riapertura sana, organizzata e pensata, dando però un aiuto alle famiglie. Personalmente, credo troppo nei servizi educativi che per ora sono diventati assistenziali, di baby-sitteraggio o badantaggio... Non è così, non per la gente che ci lavora, anche se esiste un’esigenza genitoriale, e non c'è da vergognarsene. In conclusione, questa corsa non giova a nessuno.

Magari il bambino non dimostra ora il disagio tramite il pianto, ma potrebbero rimanergli dentro i segni emotivi di questa frettolosa esperienza, spero di sbagliarmi, ma in tutti i casi lo vedremo in futuro. In sintesi: mi piacerebbe che il tema centrale tornasse ad essere ‘il bene dei bambini’ ”.
 

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