Ciclisti e traffico, gli autisti dei bus: "Le bici il nostro incubo. Serve corsia protetta"
Gianni Cremonini, tramviere di Tper e sindacalista, chiede di vedere le cose dalla parte degli autisti: "Lavoriamo con il terrore di investire qualcuno. Ci vorrebbe una corsia protetta e non solo una riga sulla strada"
Lavorare ogni giorno con l'angoscia di fare male a qualcuno, sotto stress, con la pressione sempre alta sulle tempistiche. Il punto di vista di Gianni Cremonini in effetti, noi utenti dei mezzi pubblici, non lo avevamo considerato: fare l'autista di autobus significa vivere nella paura di investire un ciclista spuntato all'improvviso, travolgere un pedone, provocare movimenti o incidenti che mettono a repentaglio la salute dei passeggeri a bordo.
«Le persone che prendono il bus non lo sanno, ma noi autisti lavoriamo con uno stato di ansia altissima - spiega Gianni Cremonini, dipendente Tper e sindacalista - Temiamo che un brusco movimento del mezzo possa far cadere le persone in piedi, abbiamo la forte pressione dovuta agli orari stretti e alla necessità di essere puntuali e soprattutto guidiamo con la paura di investire i ciclisti, per noi soggetti a rischio più dei pedoni».
Colpa anche dell'organizzazione delle piste ciclabili? «In gran parte sì. Le biciclette viaggiano sulla nostra stessa corsia, mentre dovrebbero avere una sede solo loro e non basta certo una riga per terra a proteggerli. I ciclisti sono veloci, fanno movimenti e virate improvvise (per esempio per evitare una buca), senza contare che noi abbiamo una sosta ogni 200 metri (tanta è la distanza media fra una fermata e l'altra) e quindi accostiamo e ripartiamo continuamente. Insomma la convivenza bus/bicicletta è stretta e noi siamo così "giganti" rispetto a loro, che fra l'altro non hanno corazze, da poter fare davvero male a qualcuno. E di colleghi che non vivono più dopo un incidente ne ho parecchi...».
Consiglio aperto sulla mobilità: ecco i temi caldi per i cittadini
E quali sono le zone e le strade che per voi hanno un rischio maggiore? «I viali senza dubbio. L'area della cosiddetta T durante la settimana, ovvero quando non ci sono i T-Days ma molti pare non lo considerino, la via Emilia e tutto il lato nord ovvero Ferrarese e Corticella, zona molto servita dalle linee Tper».
Cosa si potrebbe fare secondo lei per migliorare le cose? «Se verrà mantenuta l'idea di un tram Borgo Panigale-Caab/Fiera sarebbe già un bel passo avanti, ci sarebbe così una linea in corsia protetta e quindi una convivenza di mezzi più semplice e sicura. Mettere limiti di velocità dove servono, ecco un'altra cosa da fare. E poi, ma questa è una mia convinzione, la cosa ideale e già sperimentata in altri paesi sarebbe quella della gratuità del mezzo pubblico, incentivo all'utilizzo e non certo solo utopistico visto che comunque lo pagheremmo tutti».
Torniamo ai lavoratori come lei, quali sono le vostre battaglie? «Come dicevo abbiamo questa pressione sull'orario e sulla puntualità che ci provoca molta ansia. E' un servizio cappio al collo e abbiamo poi solo tre minuti al capolinea per andare in bagno riprenderci. Le persone ci chiedono di andare più veloci, altre di non andare in fretta, non capiscono...».