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Cronaca Centro Storico / Via del Pratello

Pratello. Parlano gli operatori: 'Il carcere non aiuta, tanto meno i minori'

Lettera aperta di chi lavora nel penitenziario bolgonese: ecco come è la realtà del carcere minorile del Pratello tra storie di degrado e personale insufficiente

Dopo il clamore suscitato dalle presunte violenze e la sospetta omertà intorno al carcere minorile del Pratello, la parola a chi lavora nel penitenziario. La lettera aperta, che mostra l'altra 'faccia della medaglia' redatta dagli assistenti sociali, educatori, operatori, quelli insomma che, giorno dopo giorno, per motivi di lavoro varcano il cancello dell’Istituto Penale bolognese, del Centro di Prima Accoglienza, della Comunità Ministeriale, del Centro Giustizia Minorile e dell’Ufficio di Servizio Sociale di via del Pratello.

"A seguito del “terremoto istituzionale” che ha sconvolto i vertici dei nostri servizi - comincia la missiva - non possiamo fare a meno di far sentire anche la nostra voce. La voce di chi ogni giorno è tenuto a lavorare affrontando le varie problematiche di cui sono portatori buona parte dei giovani che fanno ingresso nel circuito penale minorile: famiglie assenti o inadeguate; storie di abbandoni, analfabetismo, violenze; fragilità psicologiche, uso problematico di sostanze stupefacenti; personalità borderline, abbandono scolastico ed esclusione sociale e lavorativa.

Tale lavoro è aggravato dal numero esiguo degli operatori e da risorse economiche sempre più scarse. Siamo convinti che le istituzioni totali, come il carcere, non aiutino le persone che vi entrano e ancor meno i minorenni; che il carcere minorile debba esser ancor più residuale e fortemente ripensato. Il carcere, inoltre, non deve rappresentare il luogo dove nascondere i fallimenti o i mancati interventi di politiche sociali e dell’immigrazione. Il nostro compito è dare efficacia all’articolo 27 della Costituzione che recita "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e  devono tendere alla rieducazione del condannato”. Proprio per questo il percorso penale non può essere una punizione fine a se stessa, ma una condizione da cuiripartire, un’opportunità di reinserimento sociale, che apra ad una esistenza più libera, più dignitosa, più autentica.

Con questo non intendiamo minimizzare i gravi fatti sui quali sta indagando la Magistratura, vorremmo piuttosto invitare l’opinione pubblica a  non “gettare via, con l’acqua sporca, il bambino”, a non lasciarsi sopraffare dalla sfiducia generalizzata verso il lavoro di chi opera in questi contesti. Vogliamo ricordare che il lavoro con i giovani che entrano nel circuito penale ha bisogno di un tessuto sociale solidale, della collaborazione con le istituzioni, con le aziende, con le associazioni di volontariato, con i singoli cittadini disposti a dare il proprio contributo di competenzae  disponibilità. E’ solo grazie a questa “rete” che è possibile costruire percorsi di reinserimento, sia dentro che fuori del carcere, che è possibile realizzare progetti di formazione e inserimento lavorativo, attività educative significative, occasioni di incontro e confronto con adulti e giovani che aiutino a far ripartire ragazzi che hanno commesso reati.

In attesa  che la Magistratura faccia pienamente chiarezza sugli inammissibili fatti denunciati; auspichiamo che i nuovi responsabili dei nostri servizi agiscano con trasparenza e correttezza, che il tessuto cittadino e le istituzioni, mettano ancor più a disposizione risorse e disponibilità per affrontare insieme, rispettando i differenti ruoli e competenze, le sfide che ci pongono i giovani che entrano nel circuito penale.
Auspichiamo che si possano raccontare altre vicende di via del Pratello. La storia dei ragazzi che escono tutti i giorni dal carcere o dalla comunità pubblica per svolgere uno stage lavorativo, o di quello regolarmente assunto dopo un tirocinio formativo, o di quello che tornato a casa, ha deciso di riprendere gli studi e si è iscritto all’università. Piccoli e grandi successi che non fanno rumore, percorsi di vita riscritti oggi, che significano, domani, un detenuto adulto in meno, un cittadino responsabile in più.
Come cittadini e lavoratori, non vogliamo correre il pericolo che tutto si paralizzi e che vengano meno le risorse d'intelligenza, di solidarietà e di coraggio di cui è ricca la nostra città.
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