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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Coronavirus e migranti, ambulatorio medico si ferma: servono più spazio e mascherine

L'associazione Sokos, attiva nella cura dei migranti, ferma tutto, mentre i sindacati chiedono misure urgenti anche per il Cas di via Mattei e le altre strutture

"Non riusciamo più a garantire assistenza medica di base, abbiamo già disdetto tutti gli appuntamenti" e per questo "dobbiamo momentaneamente chiudere il centro". E' la decisione presa dall'associazione Sokos che, a Bologna, dal 1993 garantisce assistenza medica gratuita agli immigrati senza permesso di soggiorno, alle persone senza dimora e a chi si trova in situazioni di marginalità.

Tutto inizia già dai primi giorni del contagio, quando in cui in Emilia-Romagna diventava sempre più concreta l'emergenza di diffusione del Coronavirus. A fine febbraio i volontari di Sokos hanno iniziato a chiedere all'Azienda sanitaria di Bologna che anche a loro venissero forniti i Dispositivi di protezione individuale (Dpi), primi su tutti delle mascherine adeguate per poter continuare ad operare in sicurezza.

"Più volte abbiamo fatto presente la necessità di non mettere a rischio i volontari, sia dell'accoglienza che dell'assistenza medica, attualmente privi di tali dispositivi; di evitare che la concentrazione in spazi ridotti di pazienti di provenienza spesso non rilevabile potesse essere fonte di contagio, anziché di cura ma- spiega la direttrice sanitaria, Natalia Ciccarello- le nostre istanze non hanno trovato risposta".

Per questo quindi, l'ambulatorio in via Gorki, che normalmente offre servizio a 20-30 persone al giorno tra assistenza di base e visite specialistiche, si trova costretto a interrompere le sue attività. "La nostra disponibilità è resa inattuabile dall'impossibilità di operare in condizioni di sicurezza per noi e per i pazienti", dice Ciccarello.

In ogni caso, i pazienti già seguiti dal centro Sokos che presentano patologie croniche continueranno a ricevere i loro medicinali. Ordinando i farmaci telefonicamente o tramite mail saranno poi i volontari di Sokos a consegnarli a domilicio al paziente. L'unico servizio che, attualmente, gli oltre 40 volontari dell'associazione possono continuare a garantire ai pazienti.

"Abbiamo provato a chiedere anche alla farmacia dell'ospedale Maggiore se avessero dispositivi di sicurezza per noi, ma ovviamente non è possibile, considerata la situazione di emergenza in cui viviamo", conclude Ciccarello, non nascondendo il suo e il rammarico di tutti gli operatori del centro che, in un momento come questo, potrebbero svolgere un ruolo fondamentale per tutte quelle persone più in difficoltà ad affrontare l'emergenza, come ad esempio gli stranieri che non parlano bene la lingua o i senza fissa dimora.

Coronavirus e migranti, problemi anche al Cas di via Mattei e altre strutture

Problemi si stanno rpesentando anche al Cas di via Mattei e le altre strutture che ospitano migranti. I sindacati confederali chiedono al sindaco di Bologna, Virginio Merola, al prefetto Patrizia Impresa e all'ispettorato del lavoro di "agire con urgenza", alla luce del decreto dell'11 marzo sull'emergenza coronavirus, per "applicare coerenti misure di sicurezza allo svolgimento dei servizi di accoglienza migranti".

E' quanto si legge nella lettera inviata ieri da Fp-Cgil Bologna, Cisl-Fp, Fisascat-Cisl e Uil-Fpl, le categorie sindacali che sotto le Due Torri seguono il servizio dell'accoglienza ai migranti.

In particolare, l'attenzione dei sindacati è rivolta a "strutture come il Cas Mattei, che ospita circa 200 stranieri, Villa Aldini e Villa Pallavicini, dove sono impiegati diverse decine di lavoratori". Si tratta, scrivono le tre sigle, di "spazi di forte aggregazione, che per questo vanno gestiti con attenzione ancora maggiore in tempi di crisi epidemiologica".

Sul punto, nella lettera si chiede di "valutare un intervento immediato in merito alla possibilità di predisporre ulteriori spazi idonei all'accoglienza", in modo da "dare la possibilità agli ospiti di mantenere le distanze di sicurezza", oltre alla possibilita' di "rivedere e riorganizzare le attività  in una condizione di sicurezza massima per gli ospiti e per i lavoratori".

Infine, i sindacati evidenziano che "l'assenza di indicazioni, protocolli definiti, di forniture e di presidi (come mascherine, guanti soluzioni idroalcoliche), la mancanza di controllo sulle condizioni igienico-sanitarie degli spazi utilizzati e il continuo spostamento degli operatori rappresentano un rischio non solo per il personale, ma anche per l'utenza fragile, maggiormente esposta ai rischi epidemiologici". (Ama/ Dire)

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