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Cronaca

Storie di quarantena, dall'Emilia un diario collettivo: "Ci fa stringere in un abbraccio virtuale"

Spunti, racconti, riflessioni: tutto in un documento google. L'idea nasce per creare un racconto collettivo e affrontare l'isolamento insieme, leggendo e/o scrivendo le proprie storie

"Sabato 4 aprile. Mi sveglio e sono a Parigi. Anche oggi. Cosa cambia, oggi, essere a Parigi, Reggio Emilia, New York o Tel Aviv?". Se lo chiede Amira nel suo racconto Sabato, pubblicato nel diario collettivo 'Storie di quarantena: i racconti del Covid-19. Si tratta di un progetto lanciato qualche giorno fa da Caterina Stamin, giornalista di Bologna, che, forse un po' come tutti, si sentiva impotente e, come alcuni, voleva fare qualcosa.

E così da Reggio Emilia, la sua città natale, il diario viaggia attraverso l'Italia, anzi, l'Europa, e giorno dopo giorno aumenta di volume, seppur virtualmente. Storie, spunti, racconti, riflessioni; tutto in un documento google, aperto e accessibile. L'idea nasce dalla voglia di creare un racconto collettivo della città ma, ci dice Caterina, le piacerebbe se anche altri partecipassero per le loro città. Reggio Emilia, Bologna, Milano, chissà. Del resto, cosa cambia oggi essere qui o altrove.

Nelle pagine di Storie di quarantena c'è di tutto e per partecipare basta inviare una mail: "Una riflessione, una lettera, un racconto: non ci sono regole e, soprattutto – spiega Caterina – tutti possono partecipare inviandomi il racconto via mail e specificando se preferiscono l’anonimato o nome e cognome. Così ho iniziato a collezionare storie, che poi sono diventate un documento di Google Drive, accessibile a tutti".

C'è Giuliano che nel Lato positivo racconta di essersi reso conto, durante questi giorni di quarantena, di sentirsi anche un po' emiliano, oltre che romano. Nicolò, da Modena, terapista della riabilitazione psichiatrica, che invece racconta come il virus abbia trasformato la sua comunità. Dove il cancello prima era sempre aperto, ora non si entra e gli operatori, da soli con gli utenti, si sentono abbandonati a se stessi. 

E poi ancora, Chiara, che descrive la quarantena dal suo "appartamento piccolo per tre, ma stretto per uno" o Fabio che racconta della sua Ri-scoperta, la sua famiglia, nuova compagnia composta da amici strani e spericolati. Tutti e cinque in una casa: per lui e sua madre una gabbia, per il padre e la sorella, che lavorano in ospedale, un rifugio. Così per Fabio, in questi strani giorni, loro diventano gli amici spericolati della compagnia, quelli che sono sempre da qualche parte e che quando tornano, poi, hanno sempre qualche avventura da raccontare. Mentre chi resta li aspetta, paziente, sperando che in giro non si siano fatti del male.

"Come penso tutti in questo periodo, mi sentivo impotente – prosegue Caterina – per lavoro ascoltavo storie, scrivevo, informavo per come potevo. Di tempo libero me ne restava tanto e fare torte o esercizi di fitness non mi aiutava a combattere i pensieri. Ma, soprattutto, vedevo chi, con piccoli gesti, era riuscito a fare tanto per la comunità e mi continuavo a chiedere che cosa potessi fare io: dai bambini con i loro disegni, fino a chi con due strumenti intonava un concerto dal balcone".

"Da dove nasce il tutto? Parlando per caso con una mia cara amica di Piombino, lei mi ha raccontato il progetto di un suo amico, Filippo Carletti: aveva dato il via a una sorta di diario online, che raccoglieva i racconti dei cittadini su come stavano affrontando questo momento. D’accordo con Filippo, ho deciso di riproporre la stessa idea anche a Reggio Emilia, la mia città: e così mi sono buttata. Ho iniziato a chiedere ai miei amici di scrivere qualcosa e di far girare la voce". 

"Si è creato un racconto collettivo della città – spiega – che raccoglie e condivide le ‘Storie di quaratena’ di chi vive o per qualche motivo è legato a Reggio Emilia. Finora le storie sono una ventina, ma nella cartella mail continuo ad accumularne tante, che pubblicherò man mano nei prossimi giorni". 

"Lanciare il post sui social network è stata la scintilla finale: chi finora non aveva partecipato, sentendo di amici che l’hanno fatto o solo leggendo i racconti, ora si è deciso di sedersi dietro una scrivania con carta e penna in mano. Devo ammettere che quando ho lanciato questa iniziativa non avevo pensato a uno scopo, ma l’ho trovato poi col tempo. Tutti mi hanno scritto che mandarmi anche solo due righe gli ha fatto bene – continua – partecipare, anche solo leggendo le storie di altri, fa divertire, riflettere e, forse, anche sentire parte di una comunità. Nella speranza di annullare il prima possibile quel metro di distanza – conclude Caterina – intanto questo racconto collettivo ci fa stringere in un abbraccio virtuale".

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