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Cronaca

Lavoro, dimissioni in calo, ma aumentano quelle di donne con figli piccoli

I dati dell'spettorato del lavoro: nell'anno della pandemia colpite le giovani donne nel terziario. La consigliera Alvisi: "Tornati indietro di anni, agli sterotipi di genere"

Nel 2020, in Emilia-Romagna, le dimissioni volontarie dal lavoro di lavoratrici madri e lavoratori padri con figli fino ai 3 anni sono state 4.174 (il 9,8% sul totale nazionale, pari a 42.377) e di queste quasi i tre quarti hanno riguardato donne.

Enl merito, le dimissioni che hanno riguardato dipendenti di sesso femminile sono state 2.984, a fronte delle 1.190 riguardanti gli uomini. Se il numero totale delle dimissioni è sceso rispetto al 2019 (5.447), resta in misura predominante il recesso delle lavoratrici madri, pari al 71% dei casi, dato in aumento di 3 punti percentuali rispetto all’anno precedente.

È il quadro tracciato dall’Ispettorato interregionale del lavoro del Nord Est in un anno, il 2020, in cui il mercato del lavoro è stato particolarmente penalizzato dalla pandemia, nel corso di una conferenza stampa sul tema, organizzata in Regione dall'assemblea legislativa, dalla consigliera di parità regionale Sonia Alvisi e dall'Ispettorato interregionale del lavoro nord-est.

A dimettersi sono per lo più donne: le ragioni

Andando a verificare le ragioni alla base delle dimissioni, emergono evidenti le criticità in capo alle lavoratrici madri. Mentre, infatti, per i padri lavoratori nella maggior parte dei casi si tratta di una scelta legata al cambio di azienda (957 uomini contro 896 donne), per le lavoratrici madri le ragioni delle dimissioni sono legate soprattutto alla difficoltà di conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze di accudimento dei figli o per ragioni legate ai servizi di cura connesse alla mancata concessione di flessibilità oraria o del part-time (2.137 casi di donne contro 65 di uomini).

“Le politiche per favorire la conciliazione tra lavoro e famiglia appaiono ancora lontane dall’essere appieno attuate- ha commentato la presidente dell’Assemblea legislativa Emma Petitti-. Forse è il caso di aprire una discussione approfondita con le associazioni datoriali per capire a che punto siamo nella nostra regione e dove vogliamo andare. La pandemia, nel bene e nel male, ha cambiato il modo di gestire il lavoro, dimostrando che le buone pratiche si possono conservare e valorizzare con gli opportuni aggiustamenti per farle diventare strutturali. Sono convinta che la vera sfida sia da un lato ripensare all’impiego lavorativo e alle forme di organizzazione del lavoro, dall'altro potenziare i servizi di welfare per affrontare i nuovi bisogni di lavoratrici e lavoratori”.

"Siamo tornati indietro di anni"

In Emilia-Romagna, sempre stando ai dati diffusi dall’Ispettorato, emerge che a fronte di 164 richieste, la flessibilità è stata concessa in 41 casi, pertanto sono state soddisfatte solo un quarto delle istanze presentate, per la quasi totalità da lavoratrici.

Se il punto di osservazione si sposta sull'età dei lavoratori e delle lavoratrici, in Emilia-Romagna, emerge una particolare concentrazione nella fascia di età da 34 a 44 anni, pari a 1.788, sostanzialmente invariato, sia in termini assoluti che percentuali sul totale, rispetto all’anno precedente.

Per la Consigliera di Parità regionale Sonia Alvisi “i dati sono impietosi. La pandemia ha riportato le conquiste femminile nell'ambito del lavoro indietro di anni, riattualizzando alcuni stereotipi come quello che la cura dei figli e della famiglia sia appannaggio esclusivo delle donne che inevitabilmente vengono penalizzate nel mercato del lavoro”.

Il direttore dell’Ispettorato interregionale del lavoro del nord-est, Stefano Marconi, ha sottolineato come “il Covid abbia ridotto le possibilità lavorative delle donne, imponendo una revisione profonda delle politiche del lavoro".

Dimissioni lavoro, il terizario settore più colpito

Il settore produttivo maggiormente interessato dalle dimissioni risulta il terziario (2.985, pari al 71% circa del totale), tradizionalmente caratterizzato dalla prevalente occupazione femminile; rilevanti anche i dati relativi all’industria (670, corrispondenti a poco più del 16% del totale) e all’edilizia (113, pari a poco meno del 3%, riferibili in misura prevalente agli uomini). Il settore dell’agricoltura è quello meno interessato dal fenomeno (28 casi, poco meno dell’1%). In 378 casi non è stato possibile risalire al settore di riferimento.

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