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Cronaca

Donne e lavoro, 2020 annus horribilis per l'occupazione femminile: "E 1000 dimissioni per maternità"

A Bologna, dove delle 11mila persone che hanno perso il lavoro nel corso del 2020, più del 50% "sono donne"

L'anno della pandemia è stato anche l'anno nero dell'occupazione femminile. Anche a Bologna, dove delle 11mila persone che hanno perso il lavoro nel corso del 2020, più del 50% "sono donne", certifica Cristina Pattarozzi della Cgil, presentando i numeri dell'impatto del covid sul mondo del lavoro.

Partendo da un dato, quello delle dimissioni delle mneo-mamme convalidate dall'Ispettorato del lavoro. "Dai dati di novembre è presumibile che a fine anno si siano superate le mille dimissioni", spiega Pattarozzi. "Nel bel mezzo della pandemia questi numeri mettono in evidenza che c'è una parte consistente di lavoratrici costretta a prendere decisioni difficili per conciliare l'attività familiare", aggiunge la sindacalista.

C'è chi rinuncia al lavoro e chi, lavorando in settori economici più esposti alla pandemia dove spesso l'occupazione femminile è prevalente, ha dovuto affrontera lunghi periodi di cassa integrazione: la Camera del lavoro stima 14mila lavoratori in cassa integrazione in deroga (non coperti dagli ammortizzatori tradizionali).

"La percentuale delle donne in questo caso è tra il 56 e il 58%", specifica Pattarozzi. "Quando verrà meno il blocco dei licenziamenti, quei 14mila lavoratori collocati in cassa in deroga rischiano di essere nuovi disoccupati", ammonisce il segretario della Cgil di Bologna, Maurizio Lunghi.

"Sono dati preoccupanti", ammette Pattarozzi. Donne sono in gran parte anche quelle che si sono rivolte al patronato Inca della Camera del lavoro per le pratiche di richiesta dei supporti al reddito previsti dall'Inps per fronteggiare la crisi economica (congedi parentali, bonus e le altre misure previdenziali): 1.800 persone che hanno fatto richiesta dei congedi parentali e delle altre misure di sostegno, 1.400 erano donne.

Le cause sono tante, a cominciare dal gap salariale tra uomo e donna all'interno delle famiglie: spesso prevale la scelta che penalizza chi percepisce meno salario", certifica Pattarozzi. Il problema nella maggior parte dei casi è la mancanza di tutele e strumenti contrattuali che salvaguardino le donne e, nello specifico, la maternità.

Dove, però, questi strumenti ci sono, si rischia il cortocircuito, perché la possibilità di accedere a permessi, part-time, congedi in alcuni casi non fa che penalizzare ulteriormente le donne dal punto di vista della carriera e del salario quando diventano madri.

Secondo i dati elaborati dalla Cgil, a 15 anni dalla maternità il salario lordo delle madri è inferiore mediamente di 5.700 euro all'anno a quello delle colleghe senza figli e le settimane lavorate sono 11 in meno. "A causa dell'asimmetria sociale, il sistema rafforza i disequilibri totali", sottolinea Daniela Freddi.

"Le donne sono state riportate agli anni '50. C'è un tema culturale anche perché, dove i permessi per genitori ci sono, lo squilibrio tra uomini e donne resta, perché sono meno usati dagli uomini. Questa volta, però, non abbiamo alibi: stanno arrivando risorse ingenti dall'Europa a fronte delle quali dovremmo ripensare da zero il nostro modello di welfare", scandisce Sonia Sovilla. "La pandemia ha sconquassato tutto, accelerando processi e mettendo a nudo anche i limiti del nostro sistema sociale ed economico. Oggi abbiamo un'opportinità importante con i fondi europei", conclude Lunghi.

L'impatto del lockdown sull'occuazione femminile: i dati

La crisi legata alla pandemia pesa il doppio sulle spalle delle donne rispetto agli uomini. L'ennesima conferma arriva dal rapporto stilato dalla Regione Emilia-Romagna sull'impatto che l'emergenza Covid ha avuto sull'occupazione femminile nel 2020.

Un focus, presentato oggi dall'assessore alle Pari opportunità, Barbara Lori, da cui risulta che "la maggiore contrazione occupazionale si sia verificata nel secondo trimestre (aprile-giugno 2020) ed e' direttamente influenzata dal lockdown". Il calo degli occupati riguarda soprattutto lavoratori a tempo determinato nel settore dei servizi, per la maggior parte donne.

Nel secondo trimestre 2020 gli occupati in regione sono stimati in un milione e 988.000, cioè 68.000 in meno (-3,3%) rispetto allo stesso periodo del 2019 e 26.000 in meno rispetto al primo trimestre 2020. Dal punto di vista di genere il bilancio è pesantemente negativo per le occupate: sui 68.000 occupati in meno ben 52.000 sono donne (-5,6%) e di queste oltre 42.000 erano occupate nei servizi.

Tra marzo e giugno, inoltre, si sono perse oltre 37.000 posizioni dipendenti, di cui oltre 22.000 femminili, pari al 60%. La riapertura delle attività ha poi comportato una ripresa dell'occupazione nel terzo trimestre del 2020, con un recupero del 53,7% delle posizioni di lavoro dipendente perdute nel periodo precedente, in misura più favorevole per le donne (+14.000) che per gli uomini (+5.000). Ma non abbastanza. Andando a guardare infatti i singoli settori, nell'ambito del commercio e dell'accoglienza su 100 posizioni perse 55 riguardano donne, quota che sale a 81 posizioni su 100 perse negli altri servizi.

Già prima della pandemia in Emilia-Romagna le donne lavoravano fuori casa in media cinque ore di piu' di quanto accade nel resto del Paese, ma pur sempre in misura inferiore rispetto agli uomini: 25 contro 36 ore settimanali. Mentre il lavoro di cura e domestico continua a restare per lo più sulle loro spalle: 23 contro le 7,38 ore maschili. Nel 2019 il tasso di occupazione per la popolazione di 15-64 anni era del 70,4% e il gap di genere è evidente: dal 64,1% per le donne e al 76,7% per gli uomini. Le donne in part-time erano un terzo del totale (31,7%) contro una percentuale per gli uomini del 7,2%. Per effetto della pandemia, dunque, "tornano ad aumentare le differenze di genere", si legge nel report della Regione.

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