Endometriosi, malattia invisibile. "Non riuscivo a rimanere incinta, poi finalmente la luce"
Il racconto di Claudia Annie Carone che ha scoperto la malattia dopo anni di visite ed esami
Visite ginecologiche, prelievi, ecografie, lavaggi delle tube. Poi la diagnosi, dopo cinque anni: endometriosi di terzo livello, tra gli stadi clinici più avanzati. Subito dopo l'operazione chirurgica, poi, finalmente, la gravidanza tanto desiderata e la nascita di Enea.
È la storia di Claudia Annie Carone, 39 anni, in cura al Policlinico Sant'Orsola dal 2017, ma potrebbe essere quella di tantissime donne. In tutta Italia si contano almeno tre milioni di diagnosi conclamate. Un dato approssimativo perché spesso si arriva a diagnosticare la malattia dopo tanti anni, anche nove, soprattutto a causa della sottovalutazione e della genericità dei sintomi.
Come ci spiega Renato Seracchioli, direttore di Ginecologia del Policlinico Sant'Orsola, in questa intervista.
Endometriosi, il racconto di Claudia
"La mia storia inizia ufficialmente nel 2013 quando con il mio compagno decidiamo di provare ad avere un bambino. Non riuscivo ad avere una gravidanza e così dopo otto mesi abbiamo iniziato a fare qualche accertamento per saperne di più, dagli esami di routine a quelli più specifici al centro di infertilità di Lugo, in provincia di Ravenna. Dalle visite non risultava nulla e diverse volte ci siamo sentiti dire: 'Siete sani, probabilmente è stress: prendetevi un periodo di relax'. Secondo i medici facevamo semplicemente parte di quel 10% di coppie con infertilità senza causa. Io però, da giornalista, non mi sono accontentata della risposta e ho cercato di approfondire ulteriormente. La luce è arrivata nel 2017 dopo una visita al Sant'Orsola, eppure sarebbero bastati un ecografo 3D e un ginecologo competente".
Come arriva a Bologna?
"La mia era una situazione particolare: asintomatica, mai avuto dolori mestruali, nessun disturbo durante i rapporti sessuali. Anche i valori del marcatore specifico per l'endometriosi, CA 125, erano nella norma. A Bologna sono arrivata grazie ad un passaparola; prima un'amica che mi ha indirizzata verso una ginecologa di Ravenna formata al Sant'Orsola – la prima in effetti a parlare di endometrio sospettando qualcosa – poi la presidente dell'Associazione Progetto Endometriosi che senza alcun dubbio mi ha consigliato il Policlinico bolognese, centro specializzato. Fatta la visita con il professore Mohamed Mabrouk, tra gli esperti internazionali in materia, al tempo al Sant'Orsola, ho capito che la malattia era già in uno stato avanzato e dovevo operami. Noduli, aderenze, cisti. Devo tantissimo ai medici del Sant'Orsola, al primario Renato Seracchioli, che mi ha operata. È stata la mia rinascita".
Poi la gravidanza
"Sì, nel 2018 subito dopo l'operazione ho fatto due mesi di terapia ormonale, una sorta di menopausa forzata, poi finita la cura sono rimasta incinta, tra l'incredulità di tutti i medici. Diciamo che c'erano poche probabilità che accadesse e invece – grazie alla competenza dell'équipe che mi ha operata con tecniche all'avanguardia – è accaduto ed è arrivato Enea, ora ha tre anni e mezzo".
Come sta adesso?
"Bene, da allora sono in terapia progestinica come tutte le malate di endometriosi, con le ovaie a riposo insomma, e sono sempre in cura al Sant'Orsola. Il quadro clinico, cronico, è stabile. Controllo lo stato di salute ogni 18 mesi, non ho mai dolori e vivo una vita serena mantenendo sempre intatto il mio sorriso, la mia salvezza anche nei giorni più difficili in ospedale".
Il fatto che ci sia più attenzione sul tema la fa sentire meglio?
"Assolutamente sì. Sono molto felice del fatto che l'Emilia-Romagna, la regione in cui vivo, si sia sempre interessata al tema anche grazie all'incessante attività delle associazioni presenti. La maggior parte delle donne aspetta anche dieci anni prima di una diagnosi e questo è vergognoso".