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Cronaca

"Noi sex workers senza tutele": il mercato del sesso tra tabù e legislazione

"Avevo più di cinquant’anni, avevo due figli da mantenere ed ero sola. Non sapendo rubare, ho scelto di fare la escort”. Partendo dalla storia di Giulia, si apre il tema del riconoscimento legale per quella che sarebbe la quarta occupazione più numerosa in Italia (e Bologna si conferma una delle città con i numeri più alti)

In un paese dove il lavoro nero ammonta a più di 77 miliardi di euro, c’è una professione che vorrebbe pagare le tasse per la propria attività a cui però viene impedito: le sex workers. Una stima di EA Insights, l’osservatorio di Escort Advisor sulla prostituzione online, rivela come le professioniste del settore sarebbero 120.000, risultando così la quarta categoria lavorativa più numerosa in Italia dopo medici e odontoiatri, avvocati e professionisti come ingegneri e architetti. Secondo quanto riportato dall’Istat, che ha ripreso un report del Codacons sull’economia sommersa relativo al 2020, il mercato della prostituzione coinvolge ogni anno circa tre milioni di clienti per un giro d’affari di oltre quattro miliardi di euro. Eppure, in Italia manca una legge che regoli la professione.

La legge Merlin e i nuovi ddl

Attualmente, la professione di sex worker è regolata dalla Legge Merlin del 1958, una legge ormai troppo vecchia per venire incontro alle esigenze delle lavoratrici del settore. EA Insights scrive che si tratta di una legge “abolizionista e moralista, in cui le sex workers venivano definite come vittime da reinserire socialmente. Una visione della professione completamente opposta a quella che si ha oggi, quando un gran numero di escort scelgono liberamente di svolgere questa attività”. A questa legge si è aggiunta nel 2008 la Legge Carfagna che punisce il reato di prostituzione in strada. Ma anche qui, le attenzioni della legge hanno solamente risvolti penali e non menzionano i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici del settore. Eppure, dei tentativi ci sono stati. Dal 2008 in poi, anche se in costante diminuzione, sono stati proposti ben 56 disegni di legge che affrontavano l’argomento, ma nessuno di questi è mai diventato realtà. Più nello specifico, i ddl proposti dal 2008 al 2013 vedevano una maggiore preoccupazione circa gli aspetti penali legati al tema della prostituzione (11), poi c’era la sicurezza (9) e temi come diritti e salute (5). Nella legislatura successiva (2013-2018) sono stati presentati otto disegni di legge che affrontavano maggiormente la salute e i diritti delle e dei sex workers, proponendo riconoscimenti come un albo professionale, una cassa previdenziale e controlli sanitari. Nella legislatura precedente a quella del Governo Meloni, i ddl sono stati appena due, complici anche i problemi di ampio respiro come la pandemia e la guerra in Ucraina che hanno visto coinvolta l’Italia. Ma come detto, nessuno di questi disegni è mai diventato legge.

Bologna e il mercato del sesso: i numeri

Se il 2020 è stato, per forza di cose, un anno sfortunato per il sex work, il 2021 ha ricominciato come meglio non poteva. Sempre per EA Insights, nel 2021 i numeri di cellulare di escort visibili online, in Italia, sono stati più di 107mila, circa l’82% del totale delle escort che si sono pubblicizzate online. La presenza delle escort è considerevole soprattutto nelle grandi città e, in questa speciale classifica, Bologna figura al quinto posto dopo Roma, Milano, Torino e Napoli, facendo registrare più di mille sex workers sul territorio. Il 55% di queste lavoratrici ha un’età compresa tra i 25 e i 36 anni e le nazionalità più rappresentate sono Brasile, Italia, Colombia e Argentina. Anche per numero di utenti, Bologna è risultata quinta in classifica, mentre nella fascia dei prezzi medi risulta sesta, subito alle spalle della fascia delle province più care. La stessa piattaforma Escort Advisor aveva sottolineato come, nel primo trimestre del 2021, a Bologna la parola "escort" era stata ricercata sul web più di "ristorante" e "parrucchiere". 

La storia di Giulia

A questo punto è opportuno ascoltare la voce di chi ha scelto di intraprendere la professione di sex worker. Giulia (il nome è di fantasia) ha 61 anni, è originaria delle Marche e vive a Bologna ormai da cinquant’anni. Al telefono Giulia ha una voce calda e sicura, ma mentre parla del suo lavoro sembra sfiduciata: “Ho iniziato a fare questo lavoro perché non ne trovavo un altro. Avevo più di cinquant’anni, avevo due figli da mantenere ed ero sola. Non sapendo rubare, ho scelto di fare la escort”. Giulia racconta che fino a due anni fa quello di escort non era il suo unico lavoro: “Lavoravo otto ore al giorno; infatti, ricevevo gli ospiti in orari strani”. A proposito degli ospiti: “Con molti di loro ho un buon rapporto, alcuni ormai sono praticamente degli amici. Il problema sono gli str**zi che ti chiamano, ti scrivono e ti trattano male. Ho ricevuto insulti, offese eccetera. Non penso stia a loro giudicarmi”.

La vita da sex worker costringe spesso le persone come Giulia ad un certo isolamento dovuto ad uno stigma sociale ancora molto presente: “Non parlo con nessuno della mia professione perché non ho amici. Questa vita non te lo concede. Non ti concede nulla. Io ho due figli: la minore ha dei problemi di salute e non può lavorare. Lei sa che faccio questo lavoro. Il figlio grande invece vive lontano, con la sua compagna, e non sa niente”.
Parlando con Giulia esce fuori il tema della professionalità non riconosciuta dallo Stato: “Non è un lavoro riconosciuto, ma non è neanche illegale. Io le tasse le pagherei, così come fanno in Svizzera o in altri posti. In questo modo avrei delle tutele che ora non ho, e probabilmente anche gli uomini starebbero più attenti a come si pongono”. 

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