rotate-mobile
Cronaca

Orfani delle vittime di femminicidio, c'è chi è al lavoro per prendersi cura di loro: "Pronte ad attivarci, anche in emergenza"

Parte l'iniziativa Orphan of Femicide Invisible Victim , riguarda l’intero nord-est Italia e vede la Casa delle Donne di Bologna capofila per l'Emilia-Romagna. Ne abbiamo parlato con Daniela Tatti, referente del progetto

Cinque regioni, un unico progetto destinato agli orfani dei femminicidi. Si chiama Orphan of Femicide Invisible Victim (Orfani di Femminicidio Vittime Insivibili), progetto da un milione e settecentocinquanta mila euro dedicato al sostegno di figlie e figli di donne uccise. L’iniziativa – che coinvolge Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Veneto ed Emilia-Romagna – è finanziata dall’organizzazione senza scopo di lucro “Con i bambini”, la quale gestisce il fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile nato nel 2016 su iniziativa di Acri (Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio), Governo e Terzo Settore. Il fondo è destinato a rimuovere ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena funzione dei processi educativi dedicati ai minori. 

I progetti finanziati sono in tutto quattro: nord-ovest, nord-est, centro, sud e isole. Quello dedicato al nord-est è stato vinto da una cordata di diciotto partner che vede come capofila generale la Cooperativa sociale Iside di Venezia. Per l’Emilia-Romagna - insieme a diverse realtà del territorio come Ausl e Comune di Bologna - capofila e parte della più ampia cabina di regia del progetto è la Casa delle Donne di Bologna. Per capirne di più ne abbiamo parlato con Daniela Tatti, responsabile del servizio specialistico di psicologia della Casa e referente del progetto.

Come funziona la Casa delle Donne?
"Insieme a Cerchi d’Acqua di Milano, la Casa delle Donne di Bologna è il primo centro antiviolenza che nasce in Italia, nel 1989. Ad oggi contiamo diversi settori: il cuore centrale è l’accoglienza, dove vengono accolte e seguite le donne che ci chiamano. Abbiamo poi una serie di servizi di ospitalità che vanno dalle case d’emergenza alle case di rifugio, che sono ad indirizzo segreto, dove le donne rimangono dai sei agli otto mesi. La terza tipologia è quella degli alloggi: le ospiti rimangono qui circa due anni a prezzi molto agevolati. Qui sono quasi completamente in autonomia, mentre nei primi due livelli le donne, i loro figli e le loro figlie sono seguite da personale specializzato". 

Non solo accoglienza, però
"Accanto all’accoglienza c’è un’ulteriore rete di servizi: il programma Olas, che si occupa di donne vittime della tratta destinata alla prostituzione, poi quello di orientamento al lavoro e il servizio specialistico di psicologia, dove ci occupiamo di psicoterapia sul trauma e, soprattutto, di genitorialità. Questo è un servizio trasversale rispetto agli altri. Spesso è molto complesso riuscire a vedere figli e figlie, magari perché il papà non dà il consenso, ma soprattutto cerchiamo di aiutare le donne nella genitorialità: è complicato raccontare a figli e figlie una violenza, quindi forniamo loro gli strumenti per spiegare ai bambini e alle bambine ciò che sta accadendo. Inoltre, ci occupiamo di sensibilizzazione nelle scuole. Esistono poi ambiti non direttamente rivolti al pubblico: l’amministrazione, l’ufficio legale, la sezione dedicata alla ricerca sui femminicidi".

Cosa prevede il progetto che guarda alla tutela degli orfani delle vittime di femminicidio?
"La finalità del progetto è quella di intervenire sugli orfani di femminicidio. Questa era un’esigenza che, come Casa delle Donne, avevamo già intercettato e per cui ci eravamo già adoperate. Per quanto riguarda Orphan, il nostro intervento prevede diversi pacchetti - anche economici - modulabili, rivolti sia agli orfani che alle famiglie affidatarie. Questo significa che, insieme alle famiglie, ragioneremo su ciò di cui loro e il bambino o la bambina hanno più bisogno: bisogni educativi, di formazione, legali, psicologici. Ogni contatto con le famiglie sarà dedicato e specializzato e, nel caso dovesse servire, vedrebbe anche l’intervento di organi specifici. Ragioneremo situazione per situazione, sia in termini di sensibilità sia in termini di efficacia. Naturalmente siamo pronte anche a intervenire in emergenza".

Emergenza?
"Significa che se dovesse verificarsi un femminicidio nei confronti di una donna con figli e figlie sul territorio emiliano-romagnolo – speriamo di no, ma purtroppo i dati non ci confortano in questo – siamo pronte ad intervenire. Questo non vuol dire che per forza andremo noi, ma che saremo pronte ad attivare una rete di servizi territoriali predisposti ad intervenire. Ad esempio, potrebbe esserci bisogno di un intervento a scuola per contenere le conseguenze dell’evento traumatico, magari lavorando con gli insegnanti, oppure dovremo capire se il figlio o la figlia hanno bisogno di supporto psicologico. In ogni caso si tratta di un progetto molto poco protocollato: saremo noi stesse, con la pratica, a costruire delle linee guida su come intervenire in questa direzione, perché la sensibilità verso gli orfani di femminicidi si è sviluppata più tardi rispetto a quella verso le donne".

Di che numeri parliamo?
"Un lavoro molto importante, che già facevamo prima dell’inizio del progetto, è quello della mappatura: capire chi sono queste famiglie, capire cosa è successo, capire dove sono e come poter entrare in contatto con loro. L’istituto Eures ci ha fornito i dati che noi incrociamo con la stampa, ma purtroppo ad ora sono dati parziali. Per fare una stima, in Emilia-Romagna sono circa trentacinque i nuclei che abbiamo individuato. Di questi ci aspettiamo che una parte non parteciperà al progetto. Magari non ne avranno il desiderio o il bisogno, o magari avranno trovato aiuto da altri servizi presenti sul territorio. Come vedi i numeri non sono alti. Per questo abbiamo bisogno di cure di qualità. Per questo facciamo tanta sensibilizzazione, come ad esempio la peer education: significa formare ragazzi e ragazze più grandi affinché possano educare e formare a loro volta ragazzi e ragazze più piccoli di loro. Tutto questo per dire che la nostra aspettativa è sì quella di portare interventi di qualità per le famiglie affidatarie, ma anche quella di creare una cultura ampia di sensibilizzazione su questi temi. Si può dire che vogliamo raggiungere il più alto numero di persone: intervenire quando c’è un femminicidio e prevenire quando possibile con pratiche di sensibilizzazione e formazione. Non ci fermiamo però solo a ragazzi e ragazze, ma ci rivolgiamo anche a persone più adulte che possono intercettare questo tipo di situazioni".

Forte dunque la propensione alla formazione
"Assolutamente sì. Io, ad esempio, faccio molta sensibilizzazione alla prevenzione nelle scuole. Noto come ci sia forte attenzione alle questioni di genere: ragazzi e ragazze sono molto attente a questi temi, ma la formazione è importante affinché possano parlare di questi temi con più strumenti e in modo più efficace”.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Orfani delle vittime di femminicidio, c'è chi è al lavoro per prendersi cura di loro: "Pronte ad attivarci, anche in emergenza"

BolognaToday è in caricamento