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Giorno della Memoria: le testimonianze dei sopravvissuti / Anzola dell'Emilia

Giorno della Memoria. La testimonianza di Maddalena: "A 8 anni ho visto i fascisti portare via mio padre"

LA STORIA - Oggi ha 86 anni e non si stanca di raccontare quel pezzo di vita che non si può dimenticare: "Sono stata nascosta sotto un letto. Abbiamo vissuto per giorni in 35 in una stanza mentre mio padre e mio zio venivano picchiati"

Maddalena Corazza, per tutti Luisa (perché mamma Ostilia lo preferiva e la chiamava sempre così) all'età di 8 anni non sapeva più giocare. Chiusa per giorni con i fratelli, la mamma e una trentina di altre persone in una piccola stanza di una casa di campagna fuori Bologna mentre di sotto i tedeschi picchiavano e arrestavano gli uomini della sua famiglia, se ne stava sotto il letto perché aveva paura. Facile capire in che periodo storico si svolgono i fatti: "In prima elementare c'era la guerra e ci facevano fare le esercitazioni. Poi una sera il cielo si è illuminato e mio padre ci ha caricati sulla canna della bicicletta e siamo fuggiti dalla nostra casa in via Berretta Rossa per andare in campagna, vicino al Ponte Samoggia".  

Questa è la storia dei Corazza (nella foto sa sinistra Maddalena, Marco e Triestina), una famiglia di antifascisti e partigiani di Bologna, raccontata dalla signora Maddalena, che oggi ha 86 anni e insieme alla figlia Roberta Franchi ripercorre tutti i momenti agghiaccianti che l'hanno fatta crescere troppo in fretta: "Ho bene in mente la paura che mi prendeva ogni pomeriggio, quando (sempre intorno alle quattro) la camionetta di fascisti arrivava nella casa del contadino in cui eravamo andati a stare tutti quanti. Un giorno uno di loro ha ucciso il nostro cane con una fucilata, solo perchè abbaiava. Si chiamava Reno. Ogni giorno intorno a quell'ora cominciavo a piangere e mia mamma mi faceva uscire". 

"Ricordo che il contadino andava sempre incontro i militari con il forcone, cercando di tenerli lontani. Talvolta urlando. Era un partigiano e dopo la sua cattura non lo abbiamo più visto: credo sia finito a Sabbiuno. Una notte i tedeschi hanno chiuso tutti i bambini e le donne (eravamo 35) in una piccola stanza mentre picchiavano gli uomini, che poi hanno portato via. - racconta Maddalena -  Mio padre e mio fratello Osvaldo sono stati incarcerati a San Giovanni in Monte e mia mamma da Persiceto andava a piedi (12 chilometri all'andata e 12 al ritorno) per portagli un pezzo di pane. Poi non giorno, non li ha più trovati". Osvaldo era stato portato al campo di Mauthausen poi a Gusen. Il papà Gaetano nel campo di Bolzano Gries e poi a Merano. 

"Il bagno non era in casa - un altro scorcio narrato da Maddalena - e quando ci andavamo lo facevamo tre o quattro alla volta, sempre accompagnati dai tedeschi con il mitra in mano. Alcuni erano anche gentile e uno in particolare aveva una simpatia per mia sorella Triestina (che gli ricordava la moglie) tanto da volersela portare via anche a costo di pagarla. Mia mamma aveva paura che potesse succede e l'aveva tenuta nascosta quando poi sono partiti tutti". 

Dopo la fine della guerra, quando i soldati se ne erano andati, che è successo? "Che a un certo punto, mentre aiutavamo mia sorella a portare le sue cose all'ultimo piano di casa nostra (finalmente eravamo tornati a Bologna) abbiamo visto in lontananza un uomo che si avvicinava con in mano un bastone e un fagotto. Era mio padre che tornava a piedi da Bolzano. E dopo qualche tempo un altro 'fantasma' fece la sua comparsa. 'Non mi riconosci?' aveva detto Osvaldo guardando mia mamma che sembrava attonita. Anche lui era tornato a piedi da Mauthausen". Pesavano meno di 40 chili questi uomini stremati da tutto quello che avevano subito, ma erano tornati a casa. 

Storie di deportazione e di donne partigiane che rischiavano la vita per un messaggio 

Maddalena e Triestina Corazza-2

E da qui comincia la missione del ricordo: "Ho sempre saputo anche senza che qualcuno mi spiegasse - spiega Roberta Franchi, la figlia di Luisa e quindi nipote di Osvaldo - Non serviva parlarne, faceva parte della mia famiglia, era una cosa che c'è sempre stata e che sempre ci sarà. A 8 anni mi hanno portata a visitare i campi di concentramento e alla stessa età che aveva mia mamma ho provato lo stesso terrore. Da lontano sembra tutto irreale, ma quando arrivi lì è un'altra cosa e ti domandi (di fronte a un paralume fatto di pelle umana) come sia possibile tanta crudeltà". 

Con ANED (l'Associazione nazionale degli ex deportati nei campi nazisti) e insieme a sua mamma e sua zia portate la vostra testimonianza alle nuove generazioni. Quali sono le reazioni dei ragazzi? "Il racconto orale, la testimonianza di una persona che quelle cose le ha vissute sulla sua pelle  - spiega ancora Roberta - ha un effetto inaspettato. C'è tanta commozione, ma anche incredulità. I ragazzi partecipano, capiscono, fanno domande". Domande alle quali non si possono dare tutte le risposte. 

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