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Meno accessi in ospedale per infarti: "Non c'è solo il covid, non sottovalutate altri sintomi" | VIDEO

Il primario di Cardiologia del Maggiore, Gianni Casella, commenta i dati di una ricerca: accessi calati del 20% per i casi di infarto più grave e del 40% per quelli più leggeri

Negli ultimi due mesi l'emergenza covid ha ridotto gli accessi agli ospedali per patologie diverse dal coronavirus. Ma sta tenendo lontane anche le persone che subiscono un infarto e che, invece, avrebbero bisogno di soccorsi e cure rapide.

Nel primo trimestre del 2020, ad esempio, gli accessi in ospedale a Bologna sono calati del 20% per i casi di infarto più grave e del 40% per quelli più leggeri. Non solo. In molti casi, quelli che si presentano in ospedale arrivano troppo tardi, con il cuore già danneggiato in maniera difficilmente recuperabile.

In sostanza, "siamo tornati indietro di 30 anni". A sollevare il problema è il primario di cardiologia del Maggiore, Gianni Casella, grazie ai dati raccolti con una ricerca fatta in questi primi tre mesi dell'anno nel suo ospedale. Insieme ad altri 15 centri specializzati di Lombardia e Piemonte, Casella ha guidato una ricerca a livello locale che riguarda i primi tre mesi del 2020, messi a confronto con il primo trimestre del 2019.

Dai risultati, che sono ancora oggetto di valutazione per la pubblicazione su una delle principali riviste mediche internazionali, emerge appunto che gli accessi agli ospedali si sono ridotti del 20% per gli infarti più gravi e del 40% per quelli più leggeri.

Allo stesso tempo, però, è stato notato anche "un leggero aumento degli infarti in assenza di malattia coronarica e le aritmie gravi - spiega Casella alla 'Dire' - che di norma sono una quota minima, intorno al 2-3%, mentre oggi sono il 5-6%. In questi casi può essere ipotizzato un ruolo negativo dello stress o la coesistenza di patologie infettive-infiammatorie".

È ancora presto però per affermare che il covid-19 possa avere un effetto diretto anche sul cuore, oltre che sui polmoni. "Al momento esiste un solo caso clinico - afferma il primario del Maggiore - il cuore è considerato per ora una vittima indiretta del virus, ma stiamo partecipando a uno studio con l'Università di Ferrara per capire anche questo aspetto, esaminando gli elettrocardiogrammi dei pazienti positivi più gravi o deceduti".

Il campanello d'allarme sugli infarti è scattato dopo il primo caso di coronavirus a Codogno, il 20 febbraio scorso. "Abbiamo notato una riduzione degli accessi per infarto e un aumento del numero di pazienti che arrivano tardivamente o con complicanze meccaniche", spiega Casella. In poche parole, "arrivano meno infarti e più tardi. Siamo tornati indietro agli anni '90 - sottolinea - quando la patologia mieteva vittime o lasciava conseguenze durature sulla capacità di tornare a una vita normale".

Oggi, invece, la mortalità per infarto a Bologna "si è ridotta al 4%". Queste impressioni, continua Casella, "hanno già avuto un primo riscontro in una 'survey' della Società Italiana di cardiologia, che ha interessato la settimana dal 12 al 19 marzo, dove è stata riscontrata una riduzione del 50% dei ricoveri per cardiopatie acute in 50 unità cardiologiche italiane rispetto allo stesso periodo del 2019".

Per confermare questo quadro, spiega il cardiologo dell'Ausl, "saremo promotori di anche uno studio in tutti gli ospedali dell'Emilia-Romagna, confrontando i dati dei primi sei mesi del 2020 con quelli dello stesso periodo dei tre anni precedenti. I dati li avremo a luglio, ma tra un paio di mesi potremmo già avere i risultati preliminari. È una ricerca su cui contiamo molto, perché darà un risultato omogeneo per tutta l'Emilia-Romagna.

Inoltre, se a maggio ci sarà la riapertura, si vedrà anche se la riduzione è legata davvero al lockdown". Il calo degli accessi in ospedale per infarto, sottolinea ancora Casella, rappresenta tra l'altro un "andamento opposto alle attese perché, normalmente, con l'influenza aumentano anche gli infarti, facilitati dall'infiammazione prodotta dal virus".

Con il covid invece gli accessi in ospedale sono diminuiti. E i motivi possono essere diversi. "Le persone sono tutte concentrate sul covid - afferma il cardiologo - anche se i sintomi di un infarto sono diversi da quelli del coronavirus. Oppure vedono gli ospedali come i lazzaretti del '600 e hanno timore che siano meno efficienti. Ma a Bologna questo non è assolutamente vero.

Ospedali no-covid

Le aziende sanitarie hanno fatto una completa riorganizzazione, garantendo le cure anche per le malattie non-covid". Ad esempio al Maggiore sono state centralizzate tutte le patologie cosiddette tempo dipendenti, come infarti o ictus, "mantenendo l'efficienza delle cure e percorsi in totale sicurezza sia per i ricoveri che per gli interventi, esattamente come due mesi fa. Dunque - assicura il primario - non c'è ragione di aver paura, perché il sistema è efficiente. Gli ospedali non sono solo covid, vengono curate anche le altre patologie". Ma cosa succede quindi a chi ha un infarto e non si reca in ospedale? "Il nostro timore è che muoia in casa - risponde Casella - oppure arriva in ritardo con problemi più gravi al cuore, come stiamo vedendo. Ma soprattutto temiamo di vederne le conseguenze tra sei mesi-un anno, quando avremo più persone con scompenso cardiaco su cui è più difficile intervenire. Quindi ai pazienti dico: non c'è solo il covid, non sottovalutate gli altri sintomi", conclude il cardiologo. (Dire)

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