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Cronaca

Kabul in mano talebani, l'afgano-bolognese Jan: "Disperazione. 20 anni di guerra e in 20 giorni finisce come non doveva"

Jan ha un ristorante che mescola la nostra cultura con quella del suo Paese, l'Afghanistan. Oggi la preoccupazione va ai suoi familiari chiusi fra le mura di Kabul: "Mia cugina ventenne teme di non poter più continuare a studiare. C'è molta disperazione"

Mettere insieme Kabul e una Bologna dialettale per dare il nome al suo ristorante specializzato in cucina afgana: è questo che ha fatto Jan una volta in Italia, con l'insegna "Kabulagna" affissa nel 2019 sui suoi locali di via Saffi dove anche la cucina, come quelle due parole, di mescolano un po'. Questi giorni per lui e sua moglie sono pieni di angoscia visto che hanno i loro parenti in Afghanistan. Dopo la caduta della capitale e il ritorno dei talebani infatti la popolazione è in fuga e l'aeroporto è nel caos. 

"Ho sentito mia cugina, che vive a Kabul, e mi ha detto che in un solo momento si è tornati indietro di vent'anni, anche se oggi è ancora peggio -  racconta Jan Nawazi, preoccupato anche per i genitori e le quattro sorelle della moglie, tutti ancora nella città più grande dell'Afghanistan, chiusi in casa senza potersi muovere - si teme che per le donne, che nel frattempo hanno fatto dei passi avanti in termini di emancipazione e adesso hanno paura anche ad uscire di casa. Pare siano già obbligate a vestirsi in modo differente". Giusto per fare l'esempio che spicca, mentre quello che conta difendere è il diritto allo studio e al lavoro, così come spiega il giovane ristoratore. 

Cosa succede alle donne afghane oggi con i talebani 

"E' accaduto proprio ciò che non sarebbe dovuto succedere. Al potere ci sono proprio quelli che non sarebbero dovuti essere li. Ci sarà ancora più sofferenza rispetto a vent'anni fa, quando io ero solo un bambino, ma di tutto quel pezzo di storia conosco fin troppo: anni di guerra e poi tutto finisce così. Il futuro? Non certo roseo. Cento volte più difficile del passato, io sono molto preoccupato". 

"Nel mio Paese oggi c'è disperazione e sono chiuse sia le ambasciate italiane lì che quella afghana qui. Non ci sono corridoi umanitari. Le mie cognate non hanno neppure il passaporto perchè per averlo ci vuole molto tempo e di certo così, non c'è molta speranza di andare via e, magari, venire qui da noi". 

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