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Cronaca

Dal medico "eroe" del Rizzoli, alla disavventura in ospedale. La Boldrini racconta la lotta al tumore

In una lunga intervista a cuore aperto la deputata ripercorre la sua battaglia a partire dalla scoperta -quasi per caso-della malattia, fino ai giorni più bui, poi la riconscenza verso l'equipe dell'ospedale bolognese, che definisce 'meravigliosa' e non solo dal punto di vista medico

La scoperta di un tumore. L'operazione in tempo di covid, con l'accesso in ospedale consentito ai soli pazienti, che così si ritrovavano così soli, con la loro sfida da affrontare. Il loro dolore. Il timore di restare invalida. Poi la cura dell'equipe dell'ospedale Rizzoli, un'eccellenza, non solo dal punto di vista medico. E persino qualche disavventura durante il ricovero, con un compagno di stanza. Sono i temi dell'intervista rilasciata dall'ex presidente della camera Laura Boldrini al Corriere della Sera. 

La scoperta accidentale del tumore

La deputata Pd spiega nei particolari anche come ha scoperto la malattia. "Da un anno avevo dolore alla gamba destra. Pensavo a un’infiammazione del nervo sciatico. E avevo troppi impegni per fare accertamenti, oltre alla tendenza tipica delle donne a trascurarsi". Una conoscente la convince a farsi vedere. Da lì risonanza magnetica e la pesante diagnosi: condrosarcoma. La Boldrini rivive così l'incubo della mamma e della sorella, morte entrambe di cancro. E affronta il suo calvario. Cercando anche risposte dal web: "Ho cominciato a cercare informazioni online - ha raccontato - e a pensare a quel che poteva succedermi. Restare zoppa. Perdere la gamba. Rimanere inchiodata in un letto. Un paradosso, dopo una vita sempre improntata al movimento".

L'intervento al Rizzoli

L’intervento però fortunatamente è riuscito: "Grazie ad Alessandro Gasbarrini - racconta ancora Boldrini - un eroe. Uno capace di operare per quindici ore di seguito. La mia operazione non è durata tanto, ma è stata complicata: il professore ha tolto 25 centimetri di femore, ha inserito una protesi di titanio da 45 centimetri, che pesa un chilo in più ed è incastonata da un lato in quel che resta del femore, dall’altro nel bacino...". Infine la terapia intensiva: "Dove perdi la nozione del tempo. Quando ho sentito mia figlia al telefono, la tensione si è sciolta, e finalmente ho pianto".

Poi l'accudimento di infermiere "Meravigliose. Come le dottoresse, i medici, i fisioterapisti",  aggiunge la deputata, sottolineando: "nessuno dica che lo erano con me; lo erano con tutti. Non ho avuto alcun privilegio. Sia al Rizzoli, sia al Gemelli dove ho passato due settimane per la riabilitazione, ho trovato una professionalità e un’umanità straordinarie. Gente che arriva alle 7 del mattino va via alle 10 di sera. E deve affrontare casi come quello del bambino calabrese di nemmeno un anno, che aveva un tumore nella gambetta. Era in braccio a sua madre. Ripenso spesso alla disperazione di quella donna".

Disavventura in corsia con il compagno di stanza

In ospedale però non tutto fila liscio. Al ritorno dalla sala operatoria, trova un uomo in camera: "Lo sento parlare da dietro il lenzuolo che ci separa. A un certo punto inizia a vantarsi che è in camera con una donna: “Sì, è vero, sta qui accanto, è stata operata da poco e non si può muovere. Vorrà dire che questa notte dovrò fare tutto io... Ahaha”. Sono furiosa, ma come si permette di fare battute sessiste in una circostanza come questa?".  

E sempre a proposito di sessismo, la deputata non ha risparmiato neppure il primario che l'ha operata: "Il professor Gasbarrini entrava nel reparto dicendo 'Buongiorno a tutti'. Siccome eravamo in maggioranza donne, gli ho chiesto di dire 'Buongiorno a tutte e a tutti'. Ha sorriso, e da allora fa sempre così".

Mihajlovic e gli altri, esiste una giusta narrazione della malattia? 

Il racconto della malattia per vincere il tabù

Come Fedez e Mihajlovic nelle scorse settimana, già lo scroso anno la deputata scelse lo scorso anno di raccontare pubblicamente la malattia anche un po' per scardinare una certa forma di tabù che ancora serpeggia nella nostra cultura. "Ho reso pubblica la notizia perché ho capito quanto pesano i vecchi retaggi sul tumore, che non è considerato una malattia come le altre, da cui si può guarire; è ancora un tabù, un errore di fabbricazione, una macchia indelebile. Ma la malattia è una condizione della vita. Non avevo nulla di cui vergognarmi. E ho pensato che fosse giusto parlarne, per contribuire a scardinare il pregiudizio che dà tanto disagio alle persone. Condividere la condizione con chi l’ha vissuta, anche per incoraggiare altri a non stare in silenzio: il silenzio isola, il silenzio deprime. Trasformare la battaglia contro la malattia in una battaglia di civiltà".

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