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Cronaca

Licenziata per aver rifiutato il tempo pieno: due giudici reintegrano una dipendente Ricci Casa

Licenziata per aver rifiutato tempo pieno e trasferimento. Si rivolge al giudice e viene reintegrata alla Ricci Casa con la "legge Fornero"

A distanza di un mese dalla prima ordinanza del Tribunale di Bologna che aveva ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro in un caso di licenziamento disciplinare, lo stesso Tribunale, con un diverso giudice, ha disposto la reintegrazione nel posto di lavoro di una dipendente licenziata per giustificato motivo oggettivo, il cosiddetto licenziamento economico.

LA NOTIZIA DI OGGI DALLA CGIL. A renderlo noto la Cgil. Il caso è quello di una lavoratrice cinquantasettenne, dipendente part-time da oltre 20 anni di Ricci Casa, alla quale, in occasione della chiusura di un punto vendita ad Anzola dell'Emilia (Bologna) fatto dalla società sotto il marchio e con l'insegna Mobdì, era stata proposta l'assunzione a Modena presso un nuovo esercizio Ricci Casa, a patto che accettasse le condizioni di lavoro praticate agli altri dipendenti (rapporto di lavoro a tempo pieno, con tutti i sabati e le domeniche lavorati). La lavoratrice si è rifiutata e il 25 luglio 2012 è stata licenziata, contrariamente ad altre sue due colleghe addette allo stesso esercizio di Anzola, trasferite a Bologna.

LEGGE FORNERO E VIOLAZIONE DI DECRETO. Impugnato il licenziamento con la nuova "legge Fornero" - dice la Cgil - la lavoratrice, assistita dall'avv. Alberto Piccinini, ha lamentato la violazione del decreto legislativo 61 del 2000 a tutela del lavoro part-time, secondo cui il rifiuto di un lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno (e viceversa) non costituisce giustificato motivo di licenziamento. Ha chiesto la reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell'art.18 dello Statuto dei lavoratori, prevista per i licenziamenti discriminatori e per quelli determinati da "motivo illecito".

Il giudice del lavoro Carlo Coco, con ordinanza depositata ieri, - riferisce la Cgil - ha accolto integralmente la domanda, dando atto che "la manifesta violazione di tale norma integra il motivo illecito nonché il carattere esclusivamente ritorsivo (e come tale discriminatorio) e quindi la nullità del licenziamento intimato, che rende applicabile a favore della ricorrente la tutela reintegratoria prevista dal novellato art. 18 co. 1 della legge n. 300/1970 avverso il licenziamento discriminatorio nonché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai senso dell'art.1345 codice civile". Si confida - ha commentato Maurizio Lunghi, Segreteria Cgil Bologna - che la decisione sia di monito per chi, di questi tempi, sta approfittando della situazione di crisi per liberarsi di dipendenti più o meno scomodi: i diritti dei lavoratori possono ancora trovare una forte tutela giudiziaria.

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