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Cronaca

Mafie, con la questa in centro "si controlla il territorio": la testimonianza dell'unità di strada

Debiti da pagare, sfruttamento, accattonaggio e ritorsioni, fino ai pestaggi. Parla il coordinatore dell'unità di strada della Comunità Papa Giovanni XXIII

"Nel 2019, attraverso la collaborazione con una cooperativa bolognese che fa accoglienza siamo riusciti ad accompagnare il primo nigeriano a fare denuncia per sfruttamento dell'accattonaggio". Lo ha detto il coordinatore dei volontari di "Oltre la strada" della comunità Papa Giovanni XXIII, il progetto promosso dalla Regione Emilia-Romagna per gestire gli interventi socio-sanitari sul campo della prostituzione, del grave sfruttamento e della tratta di esseri umani, durante un'udienza conoscitiva del Consiglio comunale nel quale si è parlato di questua e accattonagio nel centro storico. 

"Come tutti i richiedenti asilo - il ragazzo, racconta Pirani - aveva un debito da pagare per il viaggio dalla Nigeria e quando è arrivato qui all'hub gli è stato detto che per ripagare si sarebbe dovuto recare nel tal posto a fare l'elemosina", in seguito la comunità plo perse di vista il ragazzo, salvo poi venire a sapere (nel 2020) che era stato ritrovato morto per strada sul territorio ferrarese: "Ucciso a botte, un classico omicidio da modello mafioso", dice Pirani. L'avvocato del ragazzo, continua l'operatore, ha poi raccontato alla Giovanni XXIII che da quella denuncia era nata un'indagine importante e che "a pochi giorni dal ritrovamento del corpo doveva esserci un'udienza".

Circostanze confermate anche in un precedente intervento del magistrato Stefano Orsi, già alla DDA e ora alla procura general che ha giudicato "plausibile" che la mafia nigeriana, a Bologna, usi i questuanti con finalità di controllo del territorio. Intanto, di sicuro c'è che dal 2016 in poi la presenza di nigeriani tra i questuanti è "cresciuta in modo esponenziale", scavalcando le altre nazionalità più diffuse, ovvero rumeni e serbi.

Come cambia la nazionalità dei questuanti

Fino a qualche anno fa, ha spiegato Pirani, il 47% dei questuanti presenti in città provenivano dalla Romania e solo il 7% o 8% dall'Africa. Dal 2016 "le percentuali hanno iniziato progressivamente ad invertirsi" e le persone di origine africana sono arrivate "fino al 58%, praticamente tutte nigeriane, mentre i rumeni sono scesi al 20%". Diverso il modo di chiedere l'elemosina. Mentre rumeni e serbi tendenzialmente stanno fermi in un posto ed espongono un cartello, spiega Pirani, i nigeriani "si muovono e vanno incontro alle persone" e così facendo "hanno iniziato pian piano ad occupare le zone più remunerative della città". Rumeni e serbi "ci hanno raccontato di un metodo pianificato dei nigeriani", continua Pirani: se arrivano in un punto che decidono essere molto remunerativo e lì c'è già un rumeno, "vengono in quattro o cinque, si mettono lì e cominciano ad impedire a quest'uomo di fare l'elemosina. Lui piano piano va via" e in questo modo i nigeriani "si sono presi tutto il centro storico". Dietro, per la Giovanni XXIII, c'è una pianificazione ben precisa: "E' tutto organizzato, è chiaro che c'è una gestione al millimetro di tutto", afferma Pirani, condividendo con Orsi l'ipotesi che la presenza capillare dei questuanti possa servire a controllare il territorio e supportare traffici illegali, come lo spaccio di droga.

Pirani racconta poi la storia di un altro ragazzo "che aveva iniziato come questuante e poi era stato costretto a vendere droga in Montagnola. Ci conosceva perchè era stato mandato da noi dalla Commissione e un giorno è arrivato nel nostro ufficio. Ha messo sul tavolo il cellulare e cinque sim dicendo: 'Nascondetemi nel posto più lontano che avete perchè mi uccidono'. Non rendeva molto nello spaccio, oppure non quanto chi lo obbligava volesse". In una prima fase aveva il compito di trasportare droga dalla Campania all'Emilia, ma aveva mostrato troppa paura e "cercava di uscire dal giro", riferisce Pirani: quindi, "per convincerlo lo avevano tenuto rinchiuso in una campagna vicino Napoli, senza mangiare e bere, a suon di botte". Una volta tornato a Bologna, "è venuto nel nostro ufficio e poi ha fatto denuncia ai Carabinieri", racconta Pirani: "Lo abbiamo nascosto e ora sta lavorando per una coop sociale in un'altra regione". Ma in tutto ciò, sottolinea Pirani, "noi non siamo investigatori": quindi "continuiamo ad uscire in strada sperando di trovare una persona che ci racconti bene cosa c'è dietro". 

Tavolo in prefettura

Un tavolo di coordinamento in Prefettura per coordinare tutti i soggetti che a Bologna sono chiamati ad affrontare il tema e i fenomeni di sfruttamento che possono esserci dietro. A proporlo è Matilde Madrid, delegata alla Sicurezza del sindaco Matteo Lepore, durante la commissione: "Quello che vediamo in strada è evidentemente la punta di un iceberg" che spesso nasconde dinamiche anche "transnazionali", afferma Madrid "vanno assolutamente rafforzati i percorsi di autonomia perchè a queste persone occorre far intravedere che le istituzioni, insieme al terzo settore, possono offrire un'alternativa valida, non voglio usare la parola 'competitiva' ma in fondo di questo si tratta: un tetto, un lavoro, la possibilità di vivere senza essere sottomessi da queste organizzazioni". Per farlo, secondo Madrid sarebbe utile ripristinare uno strumento già visto in passato: "Un tavolo tecnico tra istituzioni, realtà che si occupano del lavoro in strada, Asp, Ufficio immigrazione, prefettura, forze di polizia e Polizia locale". In modo che "tutti i soggetti che operano in questo ambito possano avere, al di là delle informali collaborazioni fattive e proficue- sottolinea Madrid- anche un luogo tecnico operativo in cui raccordarsi periodicamente per monitorare un fenomeno che è molto fluido, cambia ed evolve: quindi quindi anche la capacità di operare, sia in strada che con gli strumenti di indagine, dev'essere pronta ad assecondare questi mutamenti".

Madrid propone anche un'attività di "formazione congiunta" tra forze di polizia e operatori sociali, con l'obiettivo di "amalgamare le modalità operative, conoscersi e creare vera squadra trasversale su questo tema, per evitare che la filiera del lavoro proceda in maniera segmentata". Perchè, avverte la delegata del sindaco, "non possiamo permetterci che questo tipo di orgnanizzazioni siano competitive con l'offerta istituzionale pubblica". Se la questua viene fatta con atteggiamenti aggressivi, si tratta di un fenomeno "sicuramente spiacevole e da prevenire- dichiara l'assessore al Welfare, Luca Rizzo Nervo- ma nel quadro di un intervento complessivo che va al fondo del problema e non con un racconto semplificatorio alla città". Giusto dunque puntare su un "lavoro multidimensional" che consenta di evitare il "frazionamento" degli interventi, aggiunge Rizzo Nervo. E' necessario "lavorare sia per l'emersione dei reticoli criminali che spesso gestiscono questi fenomeni- sottolinea l'assessore- sia per rafforzare i percorsi di autonomia e tutela di queste persone, per dare loro una competitiva e possibile alternativa". Altrimenti, il rischio è che ad offrire delle risposte siano proprio le organizzazioni che puntano allo sfruttamento dell'accattonagg... Un esempio lo fa Silvia Lolli, funzionaria dell'area Welfare del Comune che segue il progetto "Oltre la strada". Lolli, infatti, racconta la vicenda di un rumeno privo delle gambe "a cui era stata promessa l'opportunità di venire a Bologna per fare le protesi a Vigorso e invece è stato messo in strada per chiedere l'elemosina". Era costretto a mendicare davanti al cimitero di Borgo Panigale, racconta Nicola Pirani della Comunità Papa Giovanni XXIII: "Lo portavano la mattina e andavano a riprenderlo la sera, stava tutto il giorno da solo".

Quando il rumeno ha raccontato tutto agli operatori sociali, "gli abbiamo proposto di prenderlo in carico e sostenere la sua operazione- racconta Lolli- ma era così demotivato e amareggiato che ha chiesto il rimpatrio volontario assistito e abbiamo provveduto in questo senso". Ma in generale, riferisce Lolli, tra le persone prese in carico dal progetto "Oltre la strada" solo un paio all'anno provengono dallo sfruttamento dell'accattonaggio. "In questi anni abbiamo visto che il numero massimo di persone che fanno l'elemosina- spiega Pirani- si attesta su 150-160, non sono mai aumentate di più, fino ad arrivare a 50-60 nei momenti meno redditizi". A partire dal 2016, la percentuale dei nigeriani è cresciuta fino a diventare la nazionalità più presente. Poi ci sono i rom rumeni, racconta Pirani: da un lato i singoli, dall'altro "un gruppo familiare molto grosso, una famiglia allargata con vari nuclei che hanno una loro gerarchia interna: c'è un capo e poi si dividono i posti a seconda di questa", senza l'incidenza di organizzazioni esterne. Infine, i serbi: "Persone tendenzialmente molto anziane, sia uomini che donne, che erano tutte già state qui nel periodo della guerra e poi erano rimaste senza permesso di soggiorno", spiega Pirani. Oggi tornano sotto le Due torri "per fare l'elemosina, molti hanno dei parenti qui e si appoggiano da loro. In questo ambito- continua il coordinatore dell'unità di strada della Giovanni XXIII- non abbiamo visto sfruttamento, sono persone che rimangono molto ai margini e non chiedono i servizi offerti dal Comune", se non quelli più immediati: "Guadagnano il più possibile per investirlo a casa loro".

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