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Cronaca

Migranti bloccati in mare, la testimonianza della volontaria bolognese

Dal 22 dicembre 32 persone si trovano nel Mediterraneo centrale senza destinazione

Da 13 giorni 32 persone stanno navigando nel mar Mediterraneo in attesa di un porto che li possa accogliere. È la situazione sulla nave Sea Watch 3, dove si trova anche Alice, una volontaria di Bologna che fa parte di Ya Basta, associazione che sostiene l'azione di Mediterranea.

L'ultima missione dell'ong tedesca, che da quattro anni opera nel mar Mediterraneo con l'intento di salvare persone che partono dalla Libia per raggiungere l'Europa, è iniziata il 15 dicembre e il 22 sono state salvate 32 persone tra donne, bambini e uomini. "La situazione è molto delicata perché subito dopo il salvataggio abbiamo iniziato a pressare gli Stati europei chiedendo un porto sicuro per accogliere tutte queste persone", spiega Alice in un messaggio audio che ha inviato mentre è a bordo della nave.

C'è grande tensione perché "nessuno Stato ha deciso di farci rientrare e quindi ci troviamo al nono giorno di navigazione (oggi ne sono passati 13, ndr) e ci stiamo avviando sempre più a nord e questo significa trovare condizioni sempre peggiori". Infatti, a bordo diventa sempre più freddo, le onde sono più alte di cinque metri e il vento è sempre più forte e così  i volontari hanno chiesto ai migranti salvati di dormire all'interno della nave.

"Ci si ritrova con 32 persone affollati in uno spazio piccolissimo condividendo pochi metri di spazio- spiega Alice- sembrano piccolezze, ma in realtà quando si condivide per giorni spazi molto piccoli si incorre facilmente in tensioni e screzi". Anche perché tutti sono "sempre più stanchi, i 32 salvati viaggiano da 10 giorni, dormono per terra e mangiano lo stesso pasto a pranzo e a cena, spesso solo un po' di riso e qualche biscotto"

Ma soprattutto, le 32 persone salvate dal mar Mediterraneo a bordo della nave Sea Watch "si domandano quale sia il problema, perché ci sono persone provenienti dall'Europa che sono pronte a salvarle e portarle in un posto sicuro e poi bisogna attendere in mare settimane per riuscire finalmente a toccare terra", racconta Alice. La ragazza poi, aggiunge che ha avuto modo di parlare con loro per capire quali fossero le motivazioni che spingono delle persone a rischiare la vita per lasciare il proprio continente e "sentire dalle loro voci che cosa hanno dovuto passare è angosciante e lo è ancora di più pensare che nei nostri stati ci sono persone che non vogliono aprire né gli occhi né i porti", conclude Alice. (Saf/ Dire)

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