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Cronaca

Lavoro e stress, le voci degli infermieri: "Situazione critica, siamo stanchi"

Dopo la prima ondata, questo ritorno all’emergenza sta mettendo a dura prova il personale sanitario. Tra il lavoro stressante e rischioso e i conti con tamponi in alcuni casi saltuari, turni opprimenti e poco personale

Cambio turni, carenza di personale, pochi tamponi e sierologici. Con l'arrivo della seconda ondata, per gli infermieri il carico di stress è notevole e il sindacato Nursind ha richiesto a Policlinico Sant'Orsola-Malpighi un'indagine valutativa del rischio stress correlato al lavoro per tutti i professionisti delle terapie intensive, del Pronto soccorso e di tutti i reparti Covid-19.

L'obiettivo, come spiegato dalla segretaria Antonella Rodigliano, è far emergere le criticità, così da approfondire le cause e trovare soluzioni durature a vantaggio dei lavoratori, in primis, ma anche delle aziende e dei pazienti.

Tante e tanti gli infermieri del Policlinico si sono rivolti alla rappresentante del sindacato che si è fatta portavoce delle loro istanze. Tre di loro, che preferiscono restare anonimi, ci raccontano perché lavorano sotto stress e qual è la situazione al momento.

Le voci degli infermieri

"La situazione del personale infermieristico soprattutto nell'ultimo periodo è critica. Dopo aver dato tutti noi stessi durante la prima ondata – afferma un infermiere di un reparto covid – ora ci troviamo in una condizione più stressante perché da marzo lavoriamo in condizioni poco agevoli con doppi turni, cambi all'ultimo minuto e poco riposo. Siamo stanchi".

"Che questo accadesse durante la prima ondata – prosegue – era comprensibile, ma ora no: paghiamo le conseguenze di anni di cattiva gestione, tagli alla sanità, piano assunzioni inadeguato, e inoltre manca totalmente da parte dell'azienda una condivisione delle scelte che prima del covid, perlomeno, un minimo veniva tutelata. Circa ogni settimana, dieci giorni, viene fatta una riorganizzazone degli orari e ci ritroviamo a subire cambiamenti, a volte anche importanti come cambi reparti, senza essere minimamente coinvolti. Questo aumenta notevolmente il carico di stress".

"Per avere poi un quadro più chiaro, si aggiunga la paura che tutti abbiamo di essere contagiati e – sottolinea – soprattutto quella di contagiare i nostri familiari quando ritorniamo a casa. Da qualche settimana è stato avviato un piano screening con test sierologici e tamponi ma finora, dalla scorsa primavera, non era stato fatto niente".

"L'ultimo test sierologico me l'hanno fatto a maggio – racconta un'infermiera del Sant'Orsola – non lavoro in un reparto covid ma non significa che non abbiamo contatti con pazienti positivi, anzi. Qualche settimana fa ho avuto un contatto con una paziente ma nonostante la segnalazione, l'azienda non ha ritenuto a rischio il mio contatto. È vero che lavoriamo sempre con la ffp2 – continua – ma mi sarei sentita più sicura se lo avessi fatto. A casa ho un'anziana di 80 anni e i miei figli, viviamo nel terrore di ammalarci".

"Vorrei sentirmi tutelata e protetta – conclude – lo stress è notevole e se noi sanitari siamo stressati non riusciamo a dare il massimo e poi chi ci rimette è il paziente".

Della stessa idea anche un'altra collega che lavora in un altro reparto no covid. "Anch'io ho fatto l'ultimo test sierologico a maggio – afferma – negli ultimi giorni sono stati fatti dei tamponi a tappeto per un contatto ma non c'è uno screening costante. Rispetto alla prima ondata, penso non ci sia stata una migliore organizzazione e lavoriamo veramente sotto stress".

"Non ci sentiamo supportati e sentiamo la mancanza di collaborazione, vorremmo che l'azienda condividesse le scelte prese, anche tenendo in considerazione alcune caratteristiche dei dipendenti, ma questo non accade e noi ci ritroviamo a lavorare in condizioni psicologiche davvero pesanti".

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