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Cronaca Zona Universitaria / Via Irnerio, 38

Operaio morto sul lavoro, dopo cinque anni si va a processo

Disposta l'mputazione coatta per i quattro indagati, dopo una travagliata fase di indagine. Il legale della famiglia: "Davanti a un evento così grave, era doveroso far luce in fase dibattimentale"

Imputazione coatta per i quattro indagati, con la accusa invitata a formalizzare il capo entro 10 giorni dalla ricezione del provvedimento. E' con una ordinanza, ma soprattutto dopo cinque anni di travagliato percorso giudiziario, che il caso della morte dell'operaio Lefter Sulaj, deceduto sul lavoro a 51 anni in un cantiere edile di via Irnerio, arriverà a processo.

Il provvedimento è stato disposto dal gip Gianluca Petragnani Gelosi, dopo un incidente probatorio affidato ad alcune perizie, ma anche dopo un lungo periodo dove la difesa della famiglia, rappresentata dall'avvocato Gabriele Bordoni, si è opposta a tre richieste di archiviazione da parte dei pm, succedutesi nel tempo.

I fatti e la morte dell'operaio

La notizia della morte di Sulaj risale al 13 luglio 2016. L'operaio morì in seguito a una caduta di circa 20 metri mentre stava lavorando sui ponteggi attorno allo stabile, andando con il corpo a cadere nell'abside di una chiesa sconsacrata, in un complesso oggetto di ristrutturazione, sfondandone il lucernaio. Nonostante le relazioni di Ausl e polizia giudiziaria e i soggetti escussi a sommarie informazioni, nel tempo si è arrivati a una guerra di perizie e anche alcuni colpi di scena, come la ritrattazione delle dichiarazioni fatte al tempo da alcuni potenziali testimoni. 

L'ordinanza del gip: imputazione coatta

Così si è arrivati al 2021, con un incidente probatorio disposto dalla stesso Gip. Rilevata la relativa perizia, e prendendo atto delle profonde discordanze tra le versioni delle parti, il giudice poi ha concluso per l'imputazione coatta, argomentando come "le premesse fattuali da cui sono partiti i “tecnici” (e i difensori) sono talmente divergenti che è impensabile che si possa archiviare una notizia di reato così grave". 

Del pari, a maggior ragione si deve andare a processo per fare chiarezza, poiché "ci sono persone sentite nell'immediatezza dei fatti che hanno reso dichiarazioni di diverso tenore e in un caso, anche in antitesi con quanto dichiarato prima" e che quindi la formazione della prova in un dibattimento si rende necessaria.  

La perizia tecnica presa in esame dal tribunale ha concluso affermando che "la caduta dell'infortunato era stata provocata dallo slittamento dell'asse, o a lato o all'indietro, quando il piede destro si appoggiava al di sopra del davanzale, provocando la caduta mortale del Sulaj al centro del lucernaio dell'abside". 

Questa versione, che ha trovato d'accordo le parti civili, è stata contestata però fortemente dalle difese degli indagati. Pertanto il giudice ha disposto il processo, rilevando "l'ineludibilità di un confronto interno ad un processo destinato ad accertare il merito della vicenda e i correlativi aspetti di responsabilità".

Il legale della famiglia: "Andare almeno a processo era necessario"

Soddisfatto il legale della famiglia di Sulaj, Bordoni. "Come ha scritto il Gip, un fatto del genere non poteva essere definito con una archiviazione. Bisognava andare avanti, e poi nel contraddittorio sviluppare tutti i temi, in un dibattimento, e questo chiaramente senza ipotecarne a priori il risultato".

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