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Gianluca Notari

Collaboratore Cronaca

Non solo una questione di tifo: Patrick Zaki e gli insulti sui social

Lo studente egiziano dell'Alma Mater è stato insultato e minacciato sui social dopo un suo post su Twitter dopo la partita tra Juventus e Bologna. Il calcio fa davvero così schifo?

C’è una frase che si legge spesso nei profili social di persone non proprio avvezze alle dinamicità e alla creatività di internet. È una cosa tipo: “Sii sempre gentile, non sai mai quale battaglia sta combattendo la persona con cui stai interagendo”. Un claim banale e retorico, da boomer, insomma, utilizzato da persone che vivono i social network come fosse una pagina del loro diario già ingiallito negli anni ’70. Tale frase si accompagna spesso a vignette riciclate da inizio anni 2010, oppure da GIF contenenti una manciata di rose glitterate e gattini dagli occhi a forma di cuore. Come ogni frase banale e retorica, anche questa contiene un fondo di verità: ad essere gentili non si sbaglia mai. 

Juventus-Bologna, la cronaca della partita

Il caso Zaki e il tifo per il Bologna

Si può – e anzi si dovrebbe – essere gentili soprattutto se la persona con cui interagiamo è in un evidente stato di difficoltà. È il caso questo di Patrick Zaki: studente dell’Università di Bologna e fermato in Egitto nel febbraio del 2020, Zaki era inizialmente stato preso con una custodia cautelare di 15 giorni. La sua detenzione è però durata molto più che due settimane, nonostante l’impegno di Amnesty International e la petizione sulla piattaforma Change.org, la quale negli anni ha raccolto più di trecentomila firme. Lo scorso 8 dicembre, alla terza udienza del suo processo, Zaki è stato finalmente scarcerato, anche se ancora non assolto dalle accuse di diffusione di notizie false.

In questi anni, lo studente e attivista non ha mai nascosto il suo tifo per il Bologna, la squadra della città che lo ha accolto. È una pratica che accade spesso, è successo anche a me: nonostante la fede per la squadra della mia città natale sia intoccabile ed immutabile, lo sport a Bologna rappresenta un modo genuino e di sicuro successo per entrare in contatto con la comunità locale. 

Il post incriminato di Patrick Zaki

Bene, arriviamo ai fatti: sabato si è giocata Juventus-Bologna, 33^ giornata di Serie A. Il Bologna passa in vantaggio con Arnautovic al minuto 52, la Juve attacca ma i rossoblù resistono. Fino al minuto 81: Soumaoro atterra fuori area Morata, l’arbitro Sacchi inizialmente non fischia ma dopo aver riguardato l’episodio al VAR decide di espellere il difensore francese. Scoppiano le proteste dei giocatori di Mihajlovic: il più acceso di tutti è Medel, ammonito immediatamente per proteste. Il cileno continua nei suoi improperi, manda palesemente a quel paese il direttore di gara che, a quel punto, non può far altro che espellere anche il Pitbull. In due minuti il Bologna si ritrova in nove uomini. I bianconeri continuano l’assedio alla porta di Skorupski e trovano il gol del pari al minuto 90’+5 con un colpo di testa di Vlahovic.

Succede che dopo la partita Patrick Zaki, dal suo account di Twitter, scrive: “Due cartellini rossi, stanno ancora pagando” facendo chiaro riferimento a Calciopoli e lasciando intendere che la Juventus stia corrompendo gli arbitri.

Ecco, io non credo che questo sia un modo corretto di tifare, specialmente se chi scrive è un personaggio (involontariamente) noto. Non esistono prove o evidenze del fatto che la Juve stia pagando gli arbitri per esserne favoreggiata e se il calcio vuole emanciparsi da queste dinamiche anche i tifosi devono fare un passo in avanti. La Juventus e i suoi dirigenti hanno sbagliato in passato e ne hanno giustamente pagato le conseguenze.

Zaki, la Juventus e le offese sui social

E qui torniamo all’introduzione di questo pezzo. In seguito all’infelice battuta, Zaki ha scritto un lungo post sulla sua pagina Facebook in cui ha denunciato le tantissime aggressioni ricevute sul web. Nel testo mancano delle scuse, anche di circostanza, che era plausibile aspettarsi. Offendere un club indicando l’armadio più buio della sua storia in cui gli scheletri di Calciopoli sono nascosti non è un’azione in favore dei più deboli. Significa incolpare i figli delle colpe dei padri, un gioco un filo meschino a cui nessuno dovrebbe prestarsi.

Ma a tutto c’è un limite: stiamo parlando di calcio. “Parli troppo”, “Torna in carcere”, “Pagare per cosa, il tuo riscatto?”: questi sono solo alcuni dei commenti ricevuti da Zaki su Twitter. Un comportamento che si commenta da solo. “Sinceramente non capisco come questa escalation sia stata così rapida e perché dopo due anni di silenzio, vengo attaccato dalle stesse persone che una volta mi sostenevano, solo perché ho detto la mia opinione sulla partita - scrive Patrick su Facebook - accetto il diritto di ogni persona di esprimere la propria opinione, spero solo che le persone mi lascino esercitare il mio diritto fondamentale di dire la mia opinione su una partita. Se non posso dire la mia opinione sul calcio senza essere attaccato, non sono sicuro di come dovrei recuperare la mia voce in questioni più importanti. Eppure, amo tutti i tifosi di calcio e capisco che a volte il nostro amore per la nostra squadra ci rende un po' sulla difensiva, ma io traccio la linea per attaccare la vita personale di qualcuno e augurare cose cattive su di loro”. 

Solo chi ha passato ciò che Patrick Zaki ha passato può immaginare cosa significhino 22 mesi di reclusione. La parola, lì, non gli era concessa. Le parole hanno un peso specifico e assoluto, ma in alcuni casi anche relativo: è giusto sottolineare che tacciare qualcuno di corruzione non sia una grande mossa ma anzi poco gentile e faziosa. Ma minacciare qualcuno o augurargli di tornare in carcere per il commento su una partita non è neanche paragonabile. È incivile, è barbaro. E non considerare la detenzione di Zaki e l’inferno che il ragazzo sta vivendo da oltre due anni denota una mancanza di empatia che fa rabbrividire.

Commento social su Juventus-Bologna, valanga di insulti per Patrick Zaki

Zaki e gli altri: quale ruolo per il calcio?

Infine, mi concedo un’ultima riflessione: mi dispiace che la cornice di tutto ciò sia il calcio. I tifosi delle squadre di calcio sono spesso demonizzati e situazioni come queste rappresentano un rigore a porta vuota per chiunque voglia schierarsi contro il movimento calcio tout court, senza invece mai notare quanto il calcio possa rappresentare una forza incredibilmente positiva per il contesto entro cui si inquadra.
“Parli troppo”, “Torna in carcere”, “Pagare per cosa, il tuo riscatto?”: sono convinto che il calcio e i suoi supporters siano meglio di questo. Sta ai tifosi dimostrarlo, sta ai cronisti sottolinearlo.

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