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Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca Piazza dei Colori, 21

Torna da Londra con un progetto sociale: "Bologna ama le startup, ma c'è anche la solidarietà"

Dopo 4 anni sul campo, il progetto no-profit piazzadeicolori21 è pronto per il crowdfunding: dalla periferia di Bologna un modello di supporto e riqualificazione dei quartieri

Molti rinfacciano ai giornalisti che di cose belle non parlano mai. Denunce, degrado, problemi di convivenza in alcuni quartieri difficili della città il pane quotidiano; solo raramente soluzioni, progetti, aggregazioni. Ma se si cerca, nel cuore di Bologna, effettivamente molte cose belle accadono ogni giorno, ed è il caso di Piazza dei Colori (che esiste davvero: è all'inizio di via Mattei, al Quartiere San Vitale), un luogo 'riscoperto' e oggetto di un piano di riqualificazione da parte del Comune, dove dal 2011, al civico 21 esiste un centro che aiuta famiglie e bambini in difficoltà. Doposcuola, lezioni di Italiano, percorsi di reinserimento per chi ha perso il lavoro o la casa: si chiama semplicemente piazzadeicolori21 ed è nato per mano della trentenne Annabella Losco, che dopo un periodo a Londra è rientrata nella sua Bologna con una 'folgorazione', ispirata da una campagna di sensibilizzazione inglese.

Come, quando e da chi nasce il progetto piazzadeicolori21?
C’era una volta una ragazzina di ventitré anni che non aveva ancora capito che cosa voleva fare da grande. Allora per scoprirlo un giorno prende un aereo e va a lavorare a Londra. Da sola, lontana da casa e dagli affetti. Ha nostalgia di Bologna, però inizia a capire cosa le piace davvero. E nei momenti di libertà dal lavoro, si chiude nella sua cameretta londinese e scrive un progettino. Quel progettino è diventato realtà nel 2009 e si chiama piazzadeicolori21.

Chi è quella ragazzina? Come si chiama?
Quella ragazzina si chiama Annabella, e dietro alla favola ci sono io che nel 2008 fuggo in lacrime da Bologna per reagire a una delusione straziante (ah, l’amour…) che mi aveva spezzato il cuore e tolto ogni slancio ed entusiasmo. Si dice che nelle situazioni estreme ci siano solo tre modi per reagire: “fight, flight or freeze”. Io la forza per lottare non ce l’avevo, restare immobile a leccarmi le ferite non potevo permettermelo, e allora ho scelto l’opzione di mezzo: volare via. Così ad agosto 2008 ho preso un volo di sola andata per Londra, e ci sono restata un anno intero: lavoravo come babysitter e nel tempo libero scrivevo la tesi di laurea, facevo volontariato per uno dei charity shop dell’associazione Cancer Research UK, frequentavo il mio corso d’inglese oppure andavo a zonzo per la città. Una domenica mattina, credo fosse gennaio, ero nella metro che aspettavo il mio treno per andare alla Tate Modern e mi è caduto l’occhio su un cartellone pubblicitario della metropolitana che ospitava una campagna di sensibilizzazione di Kids Company www.kidsco.org.uk Folgorazione! Tornata a casa ho cercato informazioni su Google e ho capito che era esattamente quello che volevo fare da grande. E volevo farlo a Bologna. L’occasione per concretizzare questa idea mi si è presentata qualche mese dopo: ero ancora a Londra quando mi è arrivata una newsletter del Comune di Bologna in cui si invitava la cittadinanza a presentare progetti per la riqualificazione della zona di Piazza dei Colori, alla periferia est della città. E’ stata l’occasione per mettere per iscritto le idee che mi frullavano per la testa. Così mentre ancora ero a Londra ho scritto il mio progetto, anche ispirandomi a Mo’martre, una realtà fantastica che avevo visitato a Parigi durante un viaggetto in solitaria. E a Giugno 2009 ho presentato la mia proposta. Ho vinto il bando, e sono rientrata a Bologna.

Piazza dei Colori 21

Che cos’è piazzadeicolori21?
Innanzitutto è uno spazio fisico. E’ un ex locale in disuso (sito al civico 21 di Piazza dei Colori, appunto) messo a disposizione dal Comune di Bologna tramite un bando per la riqualificazione della zona.  Ma soprattutto, piazzadeicolori21 è un progetto solidale: il nostro obiettivo è essere un riferimento per chi vive nella zona e il nostro impegno consiste nell’aiutare i bambini e le famiglie in difficoltà a reagire a un momento difficile, offrendo loro gli strumenti per affrontare (e superare) anche le situazioni più dolorose.

Come riuscite in questo proposito?
Le attività sono diverse: innanzitutto abbiamo un punto d'ascolto informale per le famiglie in difficoltà, di cui mi occupo io in prima persona, poi ci sono i momenti di supporto psicologico e pratico per i nuclei familiari più fragili, i percorsi di reinserimento per chi ha perso il lavoro o la casa, il laboratorio "compiti insieme" per contrastare la dispersione scolastica e restituire ai nostri ragazzi la motivazione allo studio, il corso di italiano con cui favoriamo l'integrazione delle mamme migranti e dei loro bimbi. Abbiamo anche una boutique del riciclo solidale, che ho creato ispirandomi ai charity shop di Londra: (www.facebook.com/laboutiquedelriciclosolidale). A queste attività si aggiungono la collaborazione costante con le scuole e i servizi sociali del territorio, con cui lavoriamo per affrontare i casi più delicati, e gli interventi di mediazione interculturale (dall’accompagnare dal medico una mamma che non parla italiano, alle procedure per la richiesta di cittadinanza italiana) e poi eventi conviviali con cui, in collaborazione con le altre realtà del territorio, possiamo migliorare con piccole cose la qualità della vita di chi abita il quartiere.

piazzadeicolori21 è anche il nome dell’associazione?
No, è il primo nato tra i progetti della nostra piccola organizzazione nonprofit, che si chiama angoloB (perché angoloB? Provate a leggerlo al contrario, partendo dall’ultima lettera…). Dal 2011 la nostra associazione gestisce anche il centro giovanile del comune di Monterenzio, per cui curiamo inoltre il punto Informafamiglie, cioè lo sportello di orientamento per le famiglie del territorio.

Siete di rientro dalla pausa estiva, quando ripartiranno le attività dell’associazione?
Non si sono mai interrotte, nemmeno durante l’estate. Anche quando le serrande del civico 21 di Piazza dei Colori sono abbassate, noi ci siamo. I bimbi ci chiamano “angeli” perché ci siamo sempre anche quando non ci vedono. Ad esempio, hanno il mio numero di cellulare, e per loro sono sempre reperibile fino a che spengo il telefono prima di andare a dormire. Anche d’estate, pure la domenica.

Le telefonate che ricevo sono le più disparate: dai fratellini che mi chiedono di aiutarli nei compiti di inglese alla coppia che ha appena ricevuto una notifica di sfratto, dalla signora sola che si annoia e vuole fare due chiacchiere, alla bimba che mi confessa un abuso in famiglia. Essere reperibile sembra una piccola cosa ma è importantissima, perché mi permette di prevenire l’aggravarsi di situazioni di disagio e intervenire nelle emergenze. Per quel che invece riguarda le nostre attività più strutturate, a settembre abbiamo fatto ripartire le attività del centro giovanile che gestiamo a Monterenzio, e lo sportello Informafamiglie. Le attività in Piazza dei Colori invece ripartiranno a novembre, perché a ottobre concentrerò i miei sforzi su #freeannabella, la nostra prima campagna di crowdfunding, e sulla partecipazione a bandi che ci permetteranno di trasformarci in impresa sociale.

Vi autofinanziate… come si può contribuire?
In questi ultimi anni si parla moltissimo di start-up in termini di “fatti venire in mente un’idea fichissima e troverai qualcuno che la finanzi”. Sinceramente io mi sentirei a disagio a chiedere a terzi di scommettere economicamente su un’idea che non abbia radici solide. Perciò in questi anni non ho fatto fundraising (se non in casi sporadici) e ho finanziato di tasca mia le attività dell’associazione, pur non avendo risparmi da parte. Semplicemente, per cinque anni mi sono destreggiata tra quattro o cinque lavori contemporaneamente e ho così potuto autofinanziare e far crescere le attività poco per volta (di recente ho scoperto che questa modalità di fare start-up ha un nome: si chiama bootstrapping!). Per questo oggi posso presentarmi con orgoglio ai potenziali sponsor e finanziatori, perché il fatto di averci investito in prima persona per cinque anni è una garanzia di determinazione e serietà. Ed è questo il motivo per cui posso permettermi di proporre una campagna di crowdfunding (www.buonacausa.org/cause/freeannabella)

Cercate volontari?
Assolutamente sì! In questo momento abbiamo bisogno di un commercialista esperto di nonprofit che ci aiuti nella gestione amministrativa. E poi abbiamo la possibilità di accogliere tre tirocini universitari: due nel campo pedagogico, e uno nella comunicazione e fundraising (appello a chi ci legge: se siete interessati scrivetemi su piazzadeicolori21@gmail.com e sappiate che se decideremo di lavorare insieme avrete un capo - cioè me - estremamente esigente e pignola e antipaticissima, quindi vi garantisco che sarà un’ottima palestra).

Un appello per potervi supportare?
L’obiettivo per il 2014 è tagliare il cordone ombelicale che lega l’associazione a me, per far sì che possa reggersi sulle sue gambe. Chi ha voglia di affiancarci in questa svolta può aderire alla nostra campagna di crowdfunding: www.buonacausa.org/cause/freeannabella
Confesso che sono molto divertita dalle reazione che ha avuto la campagna #freeannabella nella mia cerchia di conoscenze: sta suscitando sia critiche feroci che adesioni appassionate. Senza vie di mezzo. Da un lato c’è chi mi rinfaccia l’autoironia e la leggerezza, c’è chi si rifiuta di contribuire perché è una campagna che sostiene il mio lavoro e non direttamente i progetti (al che io rispondo: come si realizzano i progetti se non c’è chi li immagina, ci lavora, li coltiva e li realizza?) e infine c’è chi critica senza motivazioni valide, forse perché un po’ invidia il fatto che io abbia avuto il coraggio di mollare tutti i miei lavoretti per dedicarmi a tempo pieno al lavoro dei miei sogni. Manco avessi fatto una roba da supereroe. E’ una scelta alla portata di tutti. Basta rinunciare alle certezze di cartapesta del posto fisso, dello stipendio garantito, del contratto a tempo indeterminato. Dall’altro lato ci sono le persone che mi sostengono entusiaste e addirittura mi ringraziano (commozione!) perché con la mia iniziativa ho dato loro l’ispirazione per tornare a coltivare i propri sogni. Quando mi riferiscono queste cose un po’ sono felice e un po’ mi sento una pessima persona: e se poi mi rendessi conto di aver involontariamente ispirato delle scelte azzardate? D’altronde io ho fatto la follia di lasciare Londra dove l’associazione per cui facevo volontariato, Cancer Research UK www.cancerresearchuk.org  mi aveva proposto di assumermi in uno dei loro charity shop con uno stipendio che a Bologna mi sogno. Quindi sono una pessima consigliera.

Buoni propositi per il futuro?
Penso che la mia sfida più impegnativa sia superare un limite mio personale che però è diventato un limite anche alla crescita della associazione, e cioè: il fatto che io detesti farmi promozione. Ogni volta che devo farlo ripenso a quella scena da La Grande Bellezza, quando si rivolgono alla suorina missionaria, le chiedono di descrivere il suo lavoro e lei risponde “la povertà si vive, non la si racconta”. Con la solidarietà è lo stesso (e premetto che la parola “solidarietà” mi fa venire l’orticaria, mi sa tanto di cena benefit al yacht club tra gente che fa beneficienza per noia) perché penso che la solidarietà andrebbe vissuta, non raccontata. Poi io sono un po’ Pollyanna e penso che una buona causa, se davvero è nobile, non dovrebbe aver bisogno di farsi pubblicità. Nella mia ingenuità pensavo anche che fosse sufficiente lavorare sodo, per conquistarsi la fiducia altrui: ma proprio in questi giorni ho scoperto che qualcuno ha messo in giro voci agghiaccianti sul mio conto, col chiaro intento di screditarmi. Chi mi conosce sa che sono falsità, ma cosa penserà chi non mi conosce? Ecco allora che farmi promozione non è più un gesto di arroganza ma semplicemente un modo per difendere la dignità del mio lavoro e di quello della mia associazione. Questi pettegolezzi mi hanno fatto capire che è tempo di dedicarmi a una cosa che rimando da troppo tempo: la redazione di un bilancio sociale, dove rendere disponibili quante più informazioni possibili sull’associazione, sui suoi flussi economici e sui risultati dei progetti, per creare anche in chi non mi conosce quella fiducia che genera poi la voglia di sostenere, anche economicamente, un progetto come piazzadeicolori21.

Un’ultima riflessione prima di salutarci?
Nei giorni scorsi riflettevo sul fatto che mi hanno consigliato di coinvolgere dei testimonial che possano farsi portavoce di piazzadeicolori21, amplificandone il messaggio. Però a me l’idea di testimonial posticci che prestano il volto ma non il cuore sinceramente mi ripugna. Mi piacerebbe piuttosto creare delle collaborazioni, delle partnership vere basate sulla fiducia e sulla stima reciproche. E mi piacerebbe crearle con alcuni dei miei bolognesi preferiti: penso a Danilo Masotti (a sua insaputa uno dei più grandi filosofi italiani contemporanei) e penso a tutta la famiglia di Garrincha Dischi, da Matteo Romagnoli (adoro il suo modo di gestire la sua piccola casa discografica, trasuda amore in tutto quello che fa) ai ragazzi de Lo Stato Sociale (di cui mi sono innamorata ascoltando Cromosomi, una canzone che mi accompagna nei momenti di sconforto dandomi una grinta enorme). Ancora non li conosco personalmente, ma sono le persone che rappresentano la Bologna che più mi piace, quella per cui ho lasciato Londra e sono tornata a casa.

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