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Cronaca

Processo Strage di Bologna: scontro tra imputato e testimone, spunta un verbale con Roberto Savi

l testimone identificò il capo della banda della Uno bianca dopo aver guardato le fotografie di sei persone diverse che gli furono sottoposte dagli investigatori

Scontro al calor bianco in aula durante il processo bis alla Strage di Bologna nel giorno della nuova deposizione di Sergio Picciafuoco nella sua deposizione a confronto con Paolo Bellini, imputato per concorso nel procedimento che mira in ultima istanza a risalire ai mandanti della strage del 2 agosto 1980.

In Corte d'Assise, le schermaglie tra i due hanno ricalcato quelle andate in scena durante la precedente testimonianza di Picciafuoco, lo scorso 1 ottobre, ma nella deposizione odierna è emerso un episodio in cui potrebbe essere stato coinvolto Roberto Savi, il capo della banda della Uno bianca.

In particolare, è stato richiamato un verbale del gennaio 1996 in cui Picciafuoco, parlando con il pm bolognese Paolo Giovagnoli di un'aggressione da lui subita ai primi di novembre del 1990 mentre usciva dal lavoro a Castelfidardo, in provincia di Ancona, riconobbe in foto Savi come uno degli aggressori. Il testimone identificò il capo della banda della Uno bianca dopo aver guardato le fotografie di sei persone diverse che gli furono sottoposte dagli investigatori.

"Io non lo conoscevo, avevo visto la sua foto sui giornali", dice Picciafuoco riferendosi a Savi, aggiungendo poi che "mi caricarono su una Lancia bianca e volevano sapere dove prendevo le armi, perché pensavano che fossi dei Nar". Questo perché "durante i processi di primo e secondo grado sul 2 agosto a Bologna era uscita questa cosa che ero nei Nar, poi smentita", spiega Picciafuoco, che riguardo a Savi conclude affermando che "io ho semplicemente detto che questa persona l'avevo riconosciuta dai giornali, ma diciamo che la cosa mi è stata un po' imbeccata".

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Quanto alle vicende relative al rapporto tra lui e Bellini, il testimone ribadisce di non aver mai incontrato l'imputato a Reggio Emilia nell'ottobre del 1990, circostanza peraltro confermata da un rapporto della Polizia, oltre che dallo stesso Bellini. Quest'ultimo, infatti, sostiene che l'incontro ci fu e che Picciafuoco gli chiese soldi e una pistola, accusandolo di lavorare per conto dei Servizi.

Come già avvenuto lo scorso ottobre, Bellini attacca il testimone con frasi come "tu sei un provocatore e devi dirmi chi ti ha mandato, ma chi ti conosce?", mentre Picciafuoco dà apertamente del bugiardo all'imputato ("Dici solo falsità", esclama a un certo punto) e invita la Corte a "chiedere a lui perché si inventa queste cose".

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Come già avvenuto in occasione della sua precedente testimonianza, anche oggi Picciafuoco si è mostrato molto insofferente, alzandosi a più riprese con l'intenzione di andarsene e dicendo anche, senza precisare a chi si riferisce: "Temo per la mia vita, in qualsiasi momento la gente può pensare che sono coinvolto in queste cose e può farmi del male".

Un'affermazione a cui il presidente della Corte, Francesco Caruso, replica chiedendogli di "dirci chi potrebbe farle del male, perché lei non sta collaborando con nessuna indagine, anzi è reticente e verrà denunciato per questo". (Ama/ Dire)

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