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Cronaca

Mappa della Bologna del sesso a pagamento: “Boom online, rischio sfruttamento invisibile”

Donne, transessuali, ma anche uomini, che si prostituiscono per strada. Il mercato della prostituzione bolognese sta cambiando, come raccontano gli operatori di strada monitorando il fenomeno

Sono circa un centinaio le persone – donne, transessuali, ma anche uomini – che si prostituiscono per strada nel circondario di Bologna. Le zone sono quelle del grande transito pendolare in città: Via Rigosa e via Roma, al confine con Zola Predosa, Borgo Panigale, vicino via Marco Emilio Lepido. Oppure dietro la Fiera, nelle strade che collegano via Stalingrado con viale Europa.

E anche nella zona Est della città, tra via degli ortolani e viale Roma. Da anni in calo, infine, rimane presente ma saltuaria la presenza di lucciole sui viali di circonvallazione. Ogni zona è diversificata secondo differenti appartenenze nazionali, ma non mancano le zone franche. La tratta “nigeriana” sfrutta le ragazze sull’asse di ponente, mentre a est si notano soprattutto ragazze dei balcani. I transessuali che stazionano con i camper dietro i padiglioni fieristici invece sono quasi tutti italiani. A differenza dei trans spagnoli di Zola Predosa.

Un mercato del sesso a pagamento bolognese che sta cambiando, secondo gli operatori di strada che monitorano il fenomeno. «Stiamo assistendo allo spostamento  verso territori ancora più periferici» osserva Porpora Marcasciano, presidente di Mit – Movimento Identità Transessuale. «La presenza in città sta calando lentamente, e si dirige verso località più remote e appartate, ma comunque collegate con i centri di trasporto e di affari». Forse non è un caso che l’ultimo triste capitolo di cronaca con vittima una prostituta abbia avuto luogo in un albergo di S.pietro in Casale, vicino l’autostrada.

«Il 95% delle donne che si prostituiscono per strada subiscono una qualche forma di sfruttamento, o da una rete criminale o da un fidanzato o connazionale, che le controlla da vicino» è lo sfogo di Aurelia Perini, fondatrice di “Via Libera”, che assieme a Mit assiste e monitora le strade battute dalle lucciole. «I clienti dovrebbero saperlo, e sforzarsi di procurarsi altrove le prestazioni». Già, ma dove? Le alternative non mancano. Il mercato del sesso a pagamento è stato uno dei primi influenzati dalla globalizzazione, e ora subisce del pari l’influenza della cultura digitale. Sempre più escort infatti, scelgono di prostituirsi in casa e di entrare in contatto con i clienti telefonicamente attraverso forum e portali internet. Un mercato digitale che soddisfa tutti, anche i clienti, che rilasciano perfino recensioni. Si viene così a sapere che a Bologna esistono escort molto conosciute e famose, che esercitano a casa: come Carmen “la mitica”, da qualche parte in zona autostazione, oppure Vittoria, zona Berti, professionista brasiliana con “qualche anno in più, ma molto capace”. Anche le tariffe cambiano: da una fascia di 30-60 euro per la prestazione in strada, si passa ai 100-200 euro l’ora, a seconda del servizio, in casa.

Prostituzione in città

Negli ultimi anni, secondo gli addetti ai lavori, il fenomeno della prostituzione in casa sotto le due torri è quasi raddoppiato. Una dinamica che se da un lato migliora igiene e sicurezza delle prostitute dall’altro le rende invisibili agli occhi di terzi. “Teniamo costantemente monitorati i siti di incontri e teniamo conto dei numeri di telefono” ribadisce Marcasciano “ma è molto più difficile senza l’approccio dal vivo. Le ragazze al telefono non si confidano, è comprensibile. E smascherare lo sfruttamento diventa così più difficoltoso”.

Le attività di assistenza e monitoraggio in strada e online, finanziate da Comune e Regione, rientrano nel programma “Oltre la strada”, che cerca di trovare vie d’uscita alle ragazze e alle donne che decidono di uscire da sfruttamento e tratta. A occuparsene, la “Casa delle donne per non subire violenza”, “Mondodonna”, e la Comunità Papa Giovanni XXIII°. 

«In più di metà dei casi si tratta di donne giovanissime» spiega Silvia Ottaviano, responsabile di Casa delle donne di Bologna. «La maggior parte di esse, oltre il 60 per cento, proviene dai paesi dell’est, mentre una donna su quattro viene dalla Nigeria». Dopo una prima assistenza preliminare, le ragazze che decidono di denunciare vengono inserite in un percorso volto anche a regolarizzarne la posizione, e fornire quindi un alloggio sicuro e anonimo. I percorsi di recupero sono difficili, ma tutto sommato efficaci. Alla Casa delle donne ad esempio, circa tre donne su quattro riescono a recuperare autonomia e indipendenza economica.

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