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Cronaca

Trivelle: la mappa di Legambiente delle piattaforme in Emilia Romagna

47 piattaforme collegate a 319 pozzi. Gli ambientalisti: "Coprono a malapena l'1,7% del fabbisogno di gas nazionale. Titoli già rilasciati entro le 12 miglia senza scadenza: una normativa che non vale per nessun'altra concessione e lascia la possibilità di appropriarsi di una risorsa pubblica a tempo indeterminato"

Si avvicna il referendum del 17 aprile per dire sì o no alle trivelle. Per la prima volta dai tempi della scelta sul nucleare, i cittadini italiani hanno la possibilità di incidere sulle decisioni strategiche del Paese in materia di energia.
Votando Sì al quesito proposto, si abrogherà infatti la possibilità che la scadenza delle concessioni in essere per l’estrazione e la ricerca di idrocarburi entro le 12 miglia marine dalla costa, venga estesa. "All’infinito. Possibilità mai concessa prima, di cui il nostro Paese ha tutt’altro che bisogno", così Legambiente, che ripercorre le tappe: "Il governo, infatti, con un emendamento alla legge di Stabilità 2016 (che modifica il decreto legislativo 152/2006) ha sì vietato tutte le nuove attività entro le 12 miglia marine, ma ha deciso che i titoli già rilasciati possano rimanere vigenti “fino a vita utile del giacimento”.

Gli ambientalisti sottolineano invece che "mettere una scadenza alle concessioni date a società private che svolgono la loro attività sfruttando beni appartenenti allo Stato, è una precisa regola comunitaria. Non si capisce quindi  perché, in questo caso, le compagnie petrolifere debbano godere di una normativa del tutto speciale che non vale per nessun’altra concessione, perché azzera ogni scadenza temporale e lascia loro la possibilità di appropriarsi di una risorsa pubblica a tempo indeterminato".

trivelle-3LA SITUAZIONE IN EMILIA ROMAGNA. Entro le 12 miglia, lungo le coste della nostra regione ci sono ad oggi 15 concessioni di estrazione di gas (nessuna di petrolio) per un totale di 47 piattaforme collegate a 319 pozzi di estrazione. E' questa la mappa tracciata da Legambiente, che parla di un "numero enorme, pari quasi alla metà di tutte quelle presenti sul territorio nazionale, che però contribuisce in maniera insignificante al fabbisogno nazionale e nulla potrebbe in caso di crisi energetica". (qui la mappa interattiva con i dati e la posizione delle piattaforme in regione). 
Dati "inconfutabili  - sottolineano gli ambientalisti - stimano che le riserve certe sotto i fondali italiani sarebbero sufficienti (nel caso dovessimo contare solo su di esse) a soddisfare il fabbisogno nazionale di petrolio per sole 7 settimane e quello di gas per appena 6 mesi".

La produzione di Gas degli impianti attivi entro le 12 miglia in Emilia Romagna, nel 2015, è stata infatti di 1,15 miliardi di Smc. Se si confronta il dato la quantità di gas estratto a livello nazionale, pari a circa 62 miliardi di Smc nel 2014, si evince che l’incidenza della produzione delle piattaforme regionali ricadenti nel quesito referendario, è pari a poco più dell’1,8% dell’intera produzione nazionale di gas, e copre non più dell’ 1,7% dei consumi nazionali lordi.

"Oltre al loro contributo irrisorio - denuncia Legambiente - per l’indipendenza energetica del paese, le attività estrattive nella zona dell’Alto Adriatico sono però la principale causa antropica del fenomeno della subsidenza, l’abbassamento del suolo dovuta alla perdita di volume del sedimento nel sottosuolo. Gli effetti più rilevanti della subsidenza si registrano in particolare sulla fascia costiera dell’Emilia Romagna che negli ultimi 55 anni si è abbassata di 70 cm a Rimini e di oltre 100 cm da Cesenatico al Delta del Po". 
Alcuni studi -aggiungono gli Ambientalisti - "riportano come l'abbassamento di 1 centimetro all'anno comporta, nello stesso periodo, una perdita di 1 milione di metri cubi di sabbia su 100 km di costa, che significa spendere annualmente 13 milioni di euro per il ripascimento delle spiagge, contro i 7,5 milioni di euro all’anno ottenuti come Royalties dalle compagnie petrolifere. La subsidenza aumenta inoltre l’impatto delle mareggiate e delle piene fluviali, favorendo l’erosione costiera, con perdita di spiaggia ed effetto negativo sulle attività turistiche rivierasche. Non vi è quindi alcun dubbio che il costo per la collettività sia di gran lunga maggiore del vantaggio che ne potrebbe derivare. Senza considerare il fatto che i consumi di questa fonte fossile negli ultimi dieci anni sono diminuiti del 21,6%, passando dai 86 miliardi di metri cubi del 2005 ai 67,5 miliardi del 2015". 

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