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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca Centro Storico / Piazza Maggiore

Addio a Renato Zangheri chiusa la camera ardente, Merola: 'Interprete originale del socialismo municipale'

Il primo cittadino ha dato inizio al suo saluto leggendo alcune righe del romanzo "Il Gattopardo": 'Un Politico realista determinato a cambiare in meglio la società e la Repubblica'

Con l'orazione funebre del Sindaco Virginio Merola, si è chiusa alle 17 la camera ardente a Palazzo D'Accursio per Renato Zangheri, che guidò la città dal 1970 al 1983. 

"Noi  fummo  i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti,  le  iene.  E tutti quanti, Gattopardi, sciacalletti e pecore continueremo a crederci il sale della terra": il primo cittadino ha dato inizio al suo saluto leggendo alcune righe del romanzo "Il Gattopardo". 

Politici e cittadini da questa mattina hanno affollato la Sala Rossa (Sala Cevenini); da Casini all'ex segretario PD Bersani, l'ex Governatore Errani, i parlamentari Cuperlo, Zavoli, che ha letto il messaggio di Giorgio Napolitano e l'ex sindaco Guazzaloca. 

L'ORAZIONE DI VIRGINIO MEROLA "Cara Claudia, caro Renato, caro Lapo e famigliari tutti, cittadine e cittadini, compagni e amici, oggi abbiamo dato l'estremo saluto a Renato Zangheri e lo abbiamo fatto uniti da un profondo dolore per la sua scomparsa. Ho voluto premettere a questo mio breve commiato la famosa citazione dal romanzo il Gattopardo. Certo Zangheri è stato anche un leone, un protagonista della storia della nostra città e del nostro Paese. Ma di questa abusata citazione letteraria io sento meglio appartenere a Zangheri la seconda proposizione, che spesso viene censurata e sulla quale immagino applicare la sua ironia più tagliente: continueremo a crederci il sale della terra. Per me Renato Zangheri, studioso di Andrea Costa, dell'anarchia e del socialismo ci ha consegnato, con l'esempio dei suoi studi e della sua azione politica, l'idea che dimensione ideale e pragmatismo devono essere un binomio indissolubile, che un partito o un governo è quello che fa, non cercare di imporre quello che è. Altrimenti la politica degenera in utopia massimalistica o pragmatismo senza ideali, mera e trasformistica gestione del potere. Per Renato Zangheri, la politica può e deve essere il sale della terra se è partecipata, se è affidata al consenso e al conflitto attivo dei cittadini, del popolo. O è questo o non c'è moderno principe che tenga. Serve, più che una avanguardia, la costruzione di un popolo, di una comunità intesa come insieme di persone e non come masse da asservire attraverso un consenso passivo. Perciò Zangheri è stato un umanista, un colto lucido e ironico interprete dell'umanesimo socialista. Un politico realista determinato a cambiare in meglio la società e la Repubblica, attraverso successive e graduali riforme. Riforme che per essere tali devono incidere sulla cultura e nella mentalità, trasformarsi in cittadinanza attiva e democratica nello spazio pubblico. Non è di Zangheri, l'idea di Bologna come un modello. Non è di Zangheri, l'accettazione della definizione di Bologna come isola rossa. Nel momento della massima risonanza del buon governo dei comunisti bolognesi in Italia e nel mondo, in quegli anni settanta, Zangheri certo rivendicava i risultati di governo della città, ma sottolineava il fatto che serviva un quadro di riforme nazionali, altrimenti anche il Comune sarebbe entrato in difficoltà. Sottolineava la necessità di riforme istituzionali che fossero fondate sul decentramento e l'autonomia effettiva dei comuni. E' stato, dunque, un interprete originale del socialismo municipale, pensiero che identificava come capacità di tenere insieme dimensione locale e dimensione nazionale ed europea, contro i limiti ancora oggi così pesanti ed evidenti, del localismo e del centralismo statalistico. Anche per questo, voglio ricordare che fu il primo assessore alla cultura del nostro comune e forse d'Italia. Per questo voglio ricordare che gli dobbiamo un ampliamento inedito del welfare cittadino. Cultura e diritti sociali e insieme quartieri, come protagonisti della partecipazione pluralistica e attiva. Questa idea praticata di comunità venne selvaggiamente aggredita dallo stragismo neofascista e dai suoi mandanti, con le stragi di Ustica, del 2 agosto, dell'Italicus. E Zangheri seppe rappresentare il sentimento collettivo della nostra città e tenere uniti i bolognesi nella richiesta di verità e giustizia, nella difesa delle istituzioni democratiche e nella proposta di una loro riforma. Così come comprese che il '77 e la rivolta giovanile potevano segnare una frattura irreparabile tra migliaia di giovani e l'idea stessa della politica come convivenza tra diversi. Con capacità autocritica cercò di evitare che anche il PCI e il suo governo cittadino venissero identificati con la repressione e l'establishment. Voglio inoltre ricordare il suo impegno per i diritti umani e civili, ad esempio a fianco della nostra comunità ebraica o del nascente movimento gay.Nel suo pensiero, emancipazione e liberazione sono intrecciati, democrazia progressiva significa redistribuire non solo reddito, ma anche potere. Ecco, ora che ti salutiamo, compagno Zangheri, lo facciamo con la stima immensa e con il rispetto che dobbiamo a un maestro di umanità, di signorilità e di discrezione. La tua attenzione non esibita per i cambiamenti e per le persone che li interpretavano, lo stile con il quale ti sei astenuto da commenti sui tuoi successori, mi fa aggiungere che leoni sciacalletti e pecore sono occasioni di ironia, mentre resta e dura la possibilità per la nostra comunità cittadina di contribuire ad essere il sale della terra per il nostro paese. Se sapremo fare tesoro della definizione che ci hai lasciato di Bologna come città dell'incontro e del dialogo. Addio e grazie Sindaco Zangheri. Addio nostro severo e ironico compagno e gentiluomo. Non ti dimenticheremo". 

Renato Zangheri: politici e cittadini alla camera ardente

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