"O si cambia o chiudiamo", la lenta agonia delle sale prova di quartiere
Privati e tagli stanno piegando ciò che rimane delle sale prova pubbliche. Un viaggio tra i mini-vivai musicali, dove la passione sboccia in periferia
Un pezzo di città sta morendo. Questo almeno è il grido di allarme lanciato da chi gestisce le sale prova musicali pubbliche nei quartieri bolognesi. Tagli e ridimensionamenti, uniti a un mondo musicale che nel tempo è cambiato, stanno mettendo a rischio l'esistenza di questi luoghi di aggregazione giovanile storici. Veri e propri vivai culturali, dove si suona e ci si incontra, posti che ogni suonatore bolognese -originario o acquisito- ha incrociato almeno una volta, in adolescenza. Situazioni che hanno visto anche grandi band muovere i primi passi. Sul portale Informagiovani della Regione sono recensite in città 13 attività che forniscono locali e servizi ai musicisti, ma ben poche di queste possono vantare una tradizione.
E così, dopo il travagliato trasloco che ha visto il "Laboratorio Mazzacorati" lasciare in fretta e furia la storica sede nella omonima Villa (pare sia stata trovata sistemazione temporanea nei locali della piscina Sterlino), anche le 5 sale prova del "Vecchio Son" rischiano la chiusura.
«Non possiamo essere trattati come imprese a tutti gli effetti, svolgiamo una funzione sociale nel quartiere» è lo sfogo di Stefano "Steno" Cimato, presidente dell'Associazione e storico fondatore della band punk hardcore "Nabat". «Siamo rimasti in pochi -prosegue Steno- e la conseguenza è che i gruppi suonano di meno, e quindi dopo un poco mollano il colpo». Da circa 50 band che attraversavano i locali di via Sacco, ora il "giro" si è ridotto a una ventina di complessi. Vero, ora esistono le sale prova private, dove con pochi denari in più si noleggiano sala e attrezzature di qualità. «Non è questo il punto -conclude Steno- i privati non sono un problema, diciamo solo che però manca l'atmosfera, l'humus che ha fatto di Bologna una città vivace in fatto di cultura musicale». E' una questione di qualità, direbbe qualcuno.
Senza un aiuto da parte della comunità, posti come il Vecchio Son rischiano di chiudere. Anche la sala "Stefano Cervellati" in zona Scandellara non se la passa bene. I locali sono da ristrutturare e l'associazione che gestisce le sale non può permettersi tali spese. Diverso tempo fa, durante l'estate, i soci organizzavano "Scandellara Festival", grande kermesse all'aperto al cui palco approdarono anche Manuel Agnelli e gli Afterhours. «No, la gente suona ancora, ma la comunità è in calo» osserva Riccardo, insegnante di piano 47enne mentre trafelato si muove da un corso all'altro in diversi punti della città. Al quartiere Navile invece la "Scuola popolare di musica Ivan Illich" si è concentrata sui corsi di musica per grandi e piccini, oltre che a dibattiti e incontri. «Da noi sono passati come ospiti jazzisti di spessore come Phil Minton, Dave Warren, Tristan Honsinger» dice il presidente Alessandro Sorrentino, che racconta come un accordo con il quartiere abbia permesso la prosecuzione negli anni del progetto.
In generale però rimane grande incertezza sulle realtà pubbliche di accesso alla musica da suonare. E proprio per questo Vecchio Son ha avviato una serie di incontri tra gli "addetti ai lavori": obiettivo, una piattaforma «Perché no, intitolata a Roberto "Freak" Antoni» per dare voce al disagio che ciclicamente affiora dalle periferie in tema di musica. «Ci riuniamo già da due settimane -conclude- e chiediamo che le istituzioni si rendano conto che così non si può più andare avanti».