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Cronaca

Shopping consapevole: quello che le etichette non dicono

Saper leggere correttamente le etichette dei prodotti da acquistare è importante per un consumo consapevole: ecco il primo vademecum online

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di BolognaToday

Guida Acquisti, la Wikipedia italiana dei prodotti con oltre 500 mila contatti unici mensili (www.guidaacquisti.net), ha messo appunto una guida per leggere correttamente le etichette. Un piccolo vademecum per leggere cosa "veramente" dicono e soprattutto cosa non dicono al consumatore.

Saper leggere correttamente le etichette è molto importante per un consumo consapevole. Per conoscere davvero cosa si "mette in bocca", o indossa, o se un prodotto è veramente ciò che rappresenta. Le etichette, se ben lette, sono una vera fucina di informazioni, ma anche, talvolta, di disinformazione. Ecco perché Guida Acquisti ha deciso di stilare un vademecum per leggere e comprendere le etichette e i loro "trucchi".

LE ETICHETTE ALIMENTARI.

Dal 1982 devono indicare tutti gli ingredienti del prodotto, in modo visibile e chiaro. Oltre all'elenco degli ingredienti (in ordine decrescente per peso e anche l'acqua se supera il 5%), devono avere la denominazione di vendita (la descrizione del prodotto: "olio", "maionese", ect.), l'elenco degli additivi, il loro quantitativo e i termini di scadenza e le modalità di conservazione, nonché le norme di utilizzo. Di un prodotto alimentare dobbiamo sapere, e l'etichetta lo deve riportare, il nome del produttore, inoltre a quale lotto appartiene. Una nota a parte la merita, riguardo l'elenco ingredienti, la dicitura "in proporzione variabile", significa che la presenza degli ingredienti è pressoché identica. Attenzione, sempre riguardo la lista ingredienti, è molto importante verificare le diciture, nel senso che più sono generiche più il prodotto rischia di essere scadente. Se non viene indicato il tipo di formaggio o il tipo di olio usato per confezionare una salsa, per esempio, siamo sicuramente di fronte a un prodotto di serie B. Un caso a parte lo meritano anche gli "aromi". Questa voce è da sempre molto sibillina. Non pensate a un "aroma" dalla provenienza esotica, o da coltivazioni biologiche, in genere sotto quel nome si celano sintesi chimiche di produzione industriale che ci ricordano o arricchiscono "quel" sapore. Se invece gli aromi sono "naturali" allora provengono, perdonateci l'eufemismo, direttamente dalla campagna. Altra voce da leggere oculatamente: gli additivi. Sono sostanze legali, ma di origine chimica, in genere servono per dare un dato colore al prodotto o per garantirne la morbidezza (nel caso di creme, salse, formaggi morbidi, ect.) anche dopo un lungo periodo di tempo. Alcuni impediscono che si ossidi, altri ne modificano alcune caratteristiche. Gli additivi sono le famose sigle intellegibili che spesso troviamo nelle etichette. Quasi sempre iniziano con la lettera E seguita da un numero. Per esempio tutte le cifre tra E100 ed E199 indicano l'utilizzo di coloranti. Se la cifra è E200 in su indica invece l'impiego di altri generi di edulcoranti. Gli additivi sono legali in tutta Europa, ma è sempre meglio, viste le controversie medico-scientifiche a loro carico, preferire prodotti senza additivi o con una loro presenza molto bassa. Il peso. E' molto importante che l'etichetta riproduca il peso netto, o il volume netto, del prodotto. Per quanto riguarda i prodotti conservati in liquidi, come le olive, o la mozzarella, l'etichetta deve indicare anche il peso sgocciolato. Se ciò non accade l'"incuria" dà il diritto di lasciare il prodotto sullo scaffale e di segnarlo persino alla direzione del punto vendita. Una cosa che quasi tutti guardiamo: la data di scadenza. A parte in alcuni casi, come il latte, dove è tassativa, in genere si usa la formula "da consumarsi preferibilmente entro". Ciò significa una cosa molto importante: non è che dopo quella data il prodotto è nocivo, ma che alcune sue caratteristiche possono essere alterate. Quindi non è più "buono" come appena comprato. In realtà, molti prodotti sono consumabili anche dopo la data di scadenza, tanto che stanno nascendo, soprattutto nel nord Europa, commerci di prodotti "scaduti" a prezzi più bassi. Vi sarà infatti capitato più volte, magari nello spaccio di quartiere, di avere la commessa di fiducia che vi regala, o vi vende a metà prezzo, la confezione d'insalata o di tonno che scade domani ma che può essere consumata tranquillamente anche dopo qualche giorno. L'unica attenzione è da prestare ai prodotti "freschi", con le loro date di scadenza non c'è da scherzare (uova, latte, carne, pesce, ect.), in questi casi la dicitura dovrebbe parlare chiaro, sparisce il "preferibilmente", e c'è scritto "da consumarsi entro". Altra cosa importante è la sua di facile lettura. Questa è purtroppo una regola che non viene sempre seguita. Nello specifico la data deve indicare: giorno, mese e anno per i prodotti da consumare entro tre mesi, mese e anno per i prodotti a conservazione più lunga, meno di 18 mesi. L'anno di scadenza per alimenti come verdure in scatola, come pelati, fagioli, ect. Parrà singolare ma l'indicazione della data non è obbligatoria per i prodotti dell'orto freschi, aceto, vino, supercolici, sale e zucchero. L'etichetta deve inoltre contenere un'altra informazione importante: come consumare il prodotto. Un esempio sono i surgelati o le carne, che se etichettati correttamente contengono la dicitura "consumare previa cottura". Informazioni importanti perché indicano la filiera del prodotto, il suo produttore e se l'etichetta non le contiene è diritto del consumatore segnalare agli organi competenti l'alterazione di esso o le indicazioni mendaci.

Infatti secondo la legge le etichette non devono essere ingannevoli, ovvero non debbono contenere indicazioni non veritiere sul prodotto. Un'etichetta può infatti decantare delle caratteristiche che il prodotto non possiede, come accade per esempio nel vasto mondo dei prodotti "dimagranti". Lo stesso se indicano proprietà curative che il prodotto non ha oppure evidenziando un ingrediente che in realtà contiene in maniera minima. Un discorso a parte va fatto per le etichette nutrizionali. Molto spesso i produttori vogliono far apparire dietetici alimenti che non lo sono. L'unico modo per evitare questo inconveniente è fare sempre attenzione alla quantità a cui le calorie sono riferite. Se un prodotto apporta 30 Kcal per 100 gr allora è veramente dietetico, mentre se un prodotto ne apporta 30 per 100 ml non è dietetico. Ma spesso, nel secondo caso, viene reclamizzato come dimagrante. Una fatto simile accade per gli zuccheri. Come abbiamo detto, nella lista ingredienti dovrebbero essere riportati in ordine decrescente per quantità. Molto sovente accade che bevande, o cibi, zuccherati non appaiano tali nell'etichetta. Questo perché il produttore ha usato un escamotage. Ha suddiviso gli zuccheri per tipologia (tipo fruttosio, destrosio, zucchero di canna, ect.) e li ha "sparpagliati" per l'elenco. In questo modo può vantare un prodotto non ad alto contenuti di zuccheri quando invece lo è. Se unito al trucco di indicare le calorie riferite ai 100 millilitri, nelle bibite accade spesso, l'alimento potrà sembrare dietetico mentre invece apporta molte calorie.

Altre affermazioni da verificare. Se un alimento viene definito come "a basso contenuto calorico" non può avere più di 40 Kcal per 100 grammi, e non superare le 20 calorie per 100 millilitri. Altrimenti ha un apporto calorico normale. Se è a "ridotto contenuto calorico", la riduzione effettiva deve essere di almeno del 30% rispetto a un prodotto analogo (basta confrontarlo con un altro presente nello "scaffale") e devono essere indicate, per legge, le azioni compiute per ottenere questa riduzione. Lo stesso per i "senza zuccheri". Per essere correttamente definito così un alimento non deve averne più di 0,5 grammi per 100 grammi o 100 millilitri. Se la dicitura è "senza zuccheri aggiunti" non deve contenere lattosio, fruttosio, glucosio, destrosio, maltosio e tutti i prodotti con proprietà dolcificanti come, per esempio, il miele. Va precisato che le etichette nutrizionali non sono obbligatorie anche se ormai le grandi catene di distribuzioni le applicano ai loro prodotti alimentari. Raramente una confezione di lardo di colonnata conterrà l'etichetta nutrizionale, allora sarà buona norma andare a verificare consultando testi o Internet i valori "medi" di quel prodotto. Le tabelle nutrizionali diventano obbligatorie quando la pubblicità stessa ne indica delle proprietà quali "snellente", "dimagrante", "tonificante", ect., in questo caso deve riportare il perché il prodotto ha queste caratteristiche. Una corretta tabella nutrizionale deve documentare oltre all'apporto calorico la quantità di carboidrati, grassi e proteine; inoltre zuccheri, fibre alimentari, acidi grassi saturi e sodio.

Un altro mercato molto fiorente ma spesso culla di "truffe" è quello dei prodotti biologici. Spesso vengono infatti venduti come tali cibi che non lo sono. Anche in questo caso l'etichetta "parla" perché la legge ha stabilito dei criteri ferrei. Non è biologico un alimento che contiene nella lista ingredienti Ogm, o che è stato sottoposto durante la lavorazione a particolari radiazioni per aumentarne la crescita o evitare la nascita dei germogli (come per le patate e le cipolle). Un cibo biologico non ha additivi. Detto questo, le etichette sono di tre tipi: "prodotto da agricoltura biologica" che viene applicata su alimenti composti da ingredienti per il 95% provenienti da tale cultura. Alla dicitura va aggiunto il "regime di controllo Cee": la Comunità europea ha verificato il tipo di lavorazione, biologica, degli ingredienti. A ciò si deve aggiungere la sigla dell'ente che ha effettuato il controllo, la sigla del Paese produttore, la lettera "F" per i prodotti freschi e la "T" per i prodotti trasformati. Solo quando sono presenti tutte queste indicazioni possiamo essere certi che il prodotto sia veramente biologico. Un discorso a parte va fatto per i vini. Pur essendo spesso soggetti a sofisticazioni, in Europa l'unica etichetta possibile è "vino da uve di agricoltura biologica", indicazione un po' generica perché non descrive cosa accade durante la trasformazione del prodotto. Questo perché c'è un vuoto normativo e non esistono disciplinari che identificano la vinificazione biologica. Quindi se leggete in un'etichetta "vino biologico" è un'affermazione mendace. Un'altra indicazione è: "prodotto con almeno 70% di alimenti da agricoltura biologica". In questo caso non si può ritenere l'alimento a pieno titolo "naturale". Nell'elenco degli ingredienti devono essere indicati con un asterisco, compresa la loro presenza in percentuale, quelli provenienti da coltivazioni "bio". Anche in questo tipo di etichetta è obbligatorio segnalare l'organismo di controllo. L'ultimo caso è quello del "Prodotto in conversione all'agricoltura biologica". In poche parole il prodotto è biologico, è stato fatto rispettando i disciplinari, ma l'azienda è in attesa della certificazione ufficiale dell'organismo di controllo.

Un altro mercato che "tira" molto ed è spesso all'origine di inganni è quello dell'Equosolidale. Spesso la gente che si appresta a "fare del bene" e scegliere un alimento o manufatto prodotto nelle parti povere del mondo, non guarda l'etichetta ma si fida del venditore. E dire che in questo caso le cose sono più semplici. I prodotti del Commercio Equo e Solidale hanno, infatti, il loro marchio: Fairtrade, che funge da garanzia. Fairtrade Italia è una Onlus senza scopo di lucro che diffonde i prodotti del mercato equo e fa parte di un consorzio di altre 20 realtà internazionali che si occupano di tale commercio. La presenza di questo marchio è fondamentale per sapere che quello che stiamo comprando è stato prodotto senza sfruttare nessuno, rispettando ambiente e biodiversità e a un prezzo, appunto, equo.

Le etichette più complete, sembrerà un paradosso, sono quelle delle acque minerali che devono contenere almeno 48 parametri. Mancano all'appello, nel senso che sono facoltative, solo alcune cose. Una è la data di scadenza (perché anche l'acqua imbottigliata scade) e l'altra è il consiglio di non disperdere l'involucro nell'ambiente. E ora passiamo alle etichette non alimentare.

ABBIGLIAMENTO

L'etichetta deve riportare innanzitutto il marchio di fabbrica e l'indicazione di chi distribuisce il prodotto. Inoltre, deve essere chiara la composizione del tessuto con l'elenco delle fibre presenti e le istruzioni per la manutenzione del capo (pulitura e stiratura). Se viene indicata solo un fibra, come per esempio "cotone", ciò significa che questa è presente nel capo di abbigliamento per almeno l'85% del peso totale. Però in tal combinazione, se non è indicato "100% cotone", il capo non è interamente fatto di cotone. In caso di più fibre, come per gli alimenti, la percentuale presente è decrescente. Per quanto riguarda la manutenzione, l'etichetta deve indicare se il capo va lavato a secco o ad acqua, se deve essere stirato e a che temperatura, se è possibile candeggiarlo. I simboli sono abbastanza noti e comprensibili a prescindere della nazione di appartenenza. Se c'è una X sul simbolo il trattamento non è consigliato, pena il deterioramento del capo.

CALZATURE

L'etichetta è obbligatoria su almeno una del paio di scarpe e deve contenere l'indicazione dei materiali che compongono l'80% della tomaia, del suo rivestimento e della suola. Se nessun componente raggiunge tale percentuale allora basta indicare i due componenti principali.

DETERSIVI

Sono etichette molto importanti da leggere perché permettono un uso consapevole di prodotti che, se usati male, hanno a che fare direttamente con la salute del nostro Pianeta. Oltre al nome commerciale del prodotto, il suo utilizzo (per lavare piatti, vestiti, auto, ect.) è obbligatoria la sua composizione, la segnalazione o meno di ingredienti considerati pericolosi. Va indicata anche la quantità degli ingredienti, il produttore o il nome della ditta che commercia il prodotto. Importante è la segnalazione di fragranze che possono essere allergizzanti (se sono presenti oltre lo 0,01%).

COSMETICI

Leggere le etichette dei cosmetici è rilevante. In particolare la data di scadenza, infatti molti problemi alla pelle, piccole lesioni, irritazioni, potrebbero essere evitate se questa pratica diventasse comune. Se la durata del prodotto è inferiore a 30 mesi deve essere indicata con la dicitura "da usare preferibilmente entro…", se invece è superiore ai 30 mesi deve essere indicata una data in cui da quel punto in avanti il prodotto può diventare dannoso. Una sorta di "una volta aperto deve essere consumato entro il…". Per il resto le indicazioni sono simili a quelle delle etichette alimentari: lista degli ingredienti, precauzioni d'uso, nome del produttore e/o di chi commercializza il cosmetico, cosa vi è contenuto ("cipria", "rossetto", ect.) e numero di lotto di produzione. Vi sono poi alcune diciture che possono essere ingannevoli. Per esempio quella di "naturale", spesso i prodotti fatti con essenze naturali sono nocivi, infatti queste potrebbero procurare allergie. Discorso più complesso per il "testato dermatologicamente", è una indicazione che dice tutto e niente perché non ci sono dei disciplinari di legge che spiegano cosa significhi e non c'è stata una omologazione dei test a cui i cosmetici debbono rispondere. Attenzione anche al "non testato su animali", spesso seguito da marchi molto esplicativi, l'affermazione è vera se è valida per tutti gli ingredienti del prodotto, anche in questo caso può a volte non essere così. In questo caso l'unica soluzione è informarsi sui produttori e sulla loro affidabilità ed etica.

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