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Giovedì, 28 Marzo 2024
Ambiente e cambiamento climatico

Siccità, temperature bollenti e crisi idrica: "Siamo un hot spot del cambiamento climatico"

INTERVISTA Il climatologo Stefano Materia spiega: "Il primo rapporto sul clima risale al 1990. Nel nostro territorio la temperatura aumenta più velocemente rispetto al resto del pianeta"

Ondate di calore potentissime, siccità, una crisi idrica fra le più gravi di sempre e il crollo dei ghiacciai: uno scenario preoccupante quello a cui ci mette davanti quest'estate più ancora che in passato. Quanto è grave la situazione e quali sono le criticità del nostro territorio che nel frattempo è entrato in stato di emergenza? Cosa possiamo fare e cosa ci si può aspettare realmente dal futuro? Non c'è spazio per le opinioni visto che ci sono studiosi che a questo tema ci si dedicano da decenni, facendo però forse troppo poco notizia. Il climatologo bolognese Stefano Materia, operativo al Dipartimento di Scienze della Terra del Supercomputing Center di Barcelona e al Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici di Bologna affronta il tema analizzando il tema e facendo delle previsioni, sfatando anche qualche mito. L'intervista. 

Siccità e desertificazione: per voi esperti di ambiente, geologia e cambiamenti climatici lo scenario davanti al quale ci troviamo è una sorpresa? L'allarme era già stato lanciato? Raccolto poco o affatto? 

"La comunità scientifica mondiale che si occupa di clima, riunita nel foro scientifico noto come IPCC, rilasciò il suo primo rapporto nel 1990. In quel documento già si indicava il Mediterraneo come un'area dove, in estate, le temperature sarebbero aumentate di 2-3°C e le piogge sarebbero diminuite del 5-15% rispetto alle medie pre-rivoluzione industriale, entro il 2030. Sebbene gli stessi scienziati ammonissero sulla bassa affidabilità di queste proiezioni, nei successivi cinque rapporti questi numeri sono stati sempre confermati non solo dalle simulazioni climatiche, ma anche dalle misure.

Ad ogni rapporto dell'IPCC (il sesto è uscito tra l'anno scorso e l'inizio di quest'anno), la spia sul Mediterraneo viene costantemente accesa dagli scienziati perché la nostra regione è un hot spot del cambiamento climatico, dove la temperatura aumenta più velocemente del resto del pianeta, e le piogge estive stanno diminuendo (e diminuiranno) in maniera sensibile. Quindi sì, l'allarme è stato lanciato da molto tempo. Siamo molto vicini al 2030, e possiamo dire che le osservazioni attuali confermano in modo sorprendente quella previsione di 30 anni fa. Purtroppo, nel frattempo si è fatto ben poco in termini di adattamento, e quasi nulla in termini di mitigazione dei cambiamenti climatici".

Quali sono le caratteristiche e le condizioni del nostro territorio (Bologna ed Emilia-Romagna in particolare) in questo momento e le previsioni sui prossimi 10 anni? 

"Pochi giorni fa è stata accolta la richiesta di stato di emergenza per l’Emilia-Romagna. Quest'estate la situazione è particolarmente allarmante in regione, per tre motivi: 1) nell'ultimo anno e mezzo la quantità di pioggia caduta è di poco superiore alla metà di quella attesa. 2) l'inverno scorso è stato molto mite e secco, con pochissime nevicate, per cui il Po e i fiumi regionali sono entrati in secca molto presto durante la primavera, secca che ora sta diventando eccezionale. 3) Il bimestre maggio-giugno è stato tra i più caldi mai registrati, e luglio è sugli stessi livelli: la traspirazione delle piante è quindi esagerata, agricoltura ed ecosistemi hanno bisogno di acqua come non mai. In Emilia-Romagna, dal 2000 ad oggi solo due estati sono state più piovose della media di fine Novecento. Non possiamo dirlo con certezza, ma è molto probabile che questa tendenza continuerà nei prossimi dieci anni. Quello che è praticamente sicuro è che da qui al 2030 le estati saranno calde come o più delle ultime già bollenti. Questi due fattori accoppiati sono un mix devastante per agricoltura ed ecosistemi".

Problemi e soluzioni nell'immediato e a lungo termine: cosa è "recuperabile" e cosa no? Esistono paesi in qualche modo paragonabili al nostro che hanno adottato sistemi potenzialmente efficaci anche per noi? Quali? 

"Nell'immediato si può soltanto agire sull'emergenza: l'autorità di bacino del Po ha chiesto di limitare i prelievi di acque dal fiume e probabilmente arriverà a chiederne il divieto, per contrastare la risalita del cuneo salino (acqua salata dell'Adriatico che risale il letto del fiume abbassato di quasi otto metri alla foce). Per il futuro bisogna agire sull'adattamento: sappiamo che i cambiamenti climatici sono in atto, bisogna trovare il modo di minimizzare i loro impatti. Le decisioni vanno pianificate: contrastare la dispersione dalla rete idrica, utilizzare tecniche di irrigazione che limitino gli sprechi, investire in ricerca tecnologica per il monitoraggio delle aree più sensibili, incentivare il riciclo delle acque in ambito industriale, sono solo alcune delle azioni che si devono mettere in atto con urgenza".

Quanto la politica ha seguito questi temi e quanto dovrebbe fare?

"Faccio un esempio per l'Italia. Nel 2018, il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici ha presentato il Piano Nazionale di Adattamento, che è ancora fermo tra i dossier del Ministero della Transizione Ecologica. Siamo in un ritardo inspiegabile rispetto agli altri paesi europei. Il Piano identifica le azioni più rilevanti, i ruoli e le fonti di finanziamento, gli indicatori di rischio e di monitoraggio, e offre le linee guida per l'attuazione su scala locale. Manca la parte che spetta alla politica, quella della pianificazione finanziaria con allocazione di fondi dedicati, e l'identificazione di una governance efficiente con uno schema di monitoraggio e valutazione. Se i decisori politici non si sbrigano, il piano rischia di dover essere aggiornato già in partenza.
Anche il Piano Nazionale per l'Energia e il Clima va migliorato. Bisogna prendere al più presto decisioni importanti: incrementare l’uso delle rinnovabili, l’efficienza energetica, l’economia circolare, la decarbonizzazione dei trasporti, la riduzione del consumo del suolo. Un piano del genere deve avere come obiettivo l’uscita dalle fonti fossili e il rafforzamento della resilienza della società e degli ecosistemi italiani. Ascoltiamo molti proclami sui media, ma osserviamo scelte spesso ambigue o controproducenti, questo non va bene".

Siccità e desertificazioni avranno delle ripercussioni anche a livello economico?

"Gli eventi estremi meteo-climatici in Europa hanno comportato una perdita economica di circa 500 miliardi negli ultimi 40 anni. Uno studio della RFF-CMCC ha stimato una perdita media dell'8% del PIL al 2050 a causa dei cambiamenti climatici, a causa della minore produzione agricola, dell'incremento dei costi industriali (si pensi al raffreddamento degli impianti) e di produzione dell'energia. La siccità in particolare ha e avrà un enorme impatto in agricoltura, che dovrà adattarsi ai cambiamenti spostando le produzioni: sarà ancora possibile e remunerativo coltivare riso in Polesine o in Piemonte? Quanto diminuirà la produzione di energia dagli impianti idroelettrici, se l'acqua a disposizione sarà inferiore? È utile investire in impianti sciistici che avranno sempre più bisogno di neve artificiale, quando l'acqua per produrla potrebbe essere utilizzata per irrigare? Sono queste le domande che dobbiamo porci, e dobbiamo pretendere risposte a livello locale e nazionale".

Nel nostro piccolo, nelle nostre case e a livello culturale, cosa potremmo/dovremmo cambiare? Ci sono piccoli gesti che potrebbero fare la differenza?

"Certamente sì, piccoli gesti come spegnere l'acqua mentre ci si insapona sotto la doccia, o mentre ci si spazzola i denti, moltiplicati per milioni di persone ogni giorno dell'anno fanno la differenza. Un impianto di recupero delle acque grigie può ridurre i consumi di acqua domestica del 30%, e chi ha un giardino dovrebbe dotarsi di una vasca di riempimento dell'acqua piovana da usare per l'irrigazione (un recente progetto europeo ne ha mostrati i benefici anche su più ampia scala).

Anche a livello culturale si dovrebbe cambiare approccio: il prato inglese va bene appunto in Inghilterra, dove la pioggia non è (quasi) mai un problema. Da noi il prato va tenuto più alto, perché le radici trattengono l'umidità del terreno e gli steli lo ombreggiano, cosicché il suolo si dissecca molto più lentamente. E inoltre l'erba alta accoglie fiori, farfalle e altri impollinatori, perché mai dovrebbe piacerci un suolo secco e spoglio? In Germania, dove sto lavorando per un breve periodo, lo hanno capito da decenni, e infatti a maggio nessuno sfalcia i prati, e anche gli sfalci estivi sono molo limitati. Risultato? Un sacco di fiori e di biodiversità anche sui cigli delle strade, e nessuna morìa di alberi e arbusti come succede nelle nostre città alla fine di ogni estate".

Ci sono delle fake news che circolano su questi temi?

"Troppe. La più fastidiosa? Il clima è sempre cambiato e l'uomo non ha nulla a che fare con questi cambiamenti. Questa è un'enorme bugia, sul cui fuoco soffiano gli interessi delle grandi lobby che vedono la transizione energetica come un pericolo per i loro interessi economici. Eppure, la quasi totalità degli scienziati non ha dubbi sul ruolo giocato dall'uomo e sulle azioni da intraprendere per invertire la tendenza. Purtroppo queste false informazioni permeano nella società civile e a livello politico, e le iniziative da intraprendere urgentemente vengono costantemente rallentate, superate in priorità da altri avvenimenti".

Stefano Materia è climatologo al Dipartimento di Scienze della Terra del Supercomputing Center di Barcelona e al Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici di Bologna.

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