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Cronaca

"Doveva scegliere tra paga e figlia": mamma-barista vince la causa in tribunale

A comunicarlo la Filcams-Cgil, che esulta: "Sentenza che farà scuola"

Orari stravolti rispetto a quelli previsti dal contratto, e la barista madre di una bimba di nove anni ha avuto infine ragione dal tribunale del lavoro di Bologna. E' la storia che viene dalla tavola fredda interna a una casa di riposo del bolognese, segnalata dalla Filcams-Cgil, che commenta positivamente l'esito della vicenda.

La lavoratrice -ricostruiscono i rappresentanti sindacali in una nota-  era costretta fin dal 2019 a svolgere la propria prestazione lavorativa secondo turni completamente diversi da quelli previsti in contatto, nei fatti degli orari spezzati, con disponibilità anche sabato e domenica.

La sentenza: illegittimi quegli orari spezzati

Il mancato rispetto degli orari della lavoratrice, madre di una bimba di 9 anni, "aveva completamente stravolto la vita della nostra assistita, rendendole impossibile la conciliazione dei tempi di vita e lavoro, e costringendola di fatto a scegliere fra l'accudire la propria figlia e il percepire un salario". Tutto questo malgrado la donna avesse accettato quel lavoro proprio in virtù di un orario che le avrebbe consentito di poter svolgere il suo ruolo di madre.

Nei giorni scorsi la sentenza, con la causa patrocinata dai legali Mara Congeduti e Sabrina Pittarello dello Studio Piccinini. Il giudice del tribunale Marchesini, ha infine accolto le richieste della ricorrente, ritenendo illegittimo il comportamento della società e nulle le generiche “clausole elastiche” inserite nel contratto di lavoro, e condannando la società al risarcimento del danno per la condotta perpetrata negli ultimi anni nei confronti della lavoratrice.

"Sentenza che farà scuola in tema di lavoratrici madri"

Soddisfatto il sindacato. La sentenza in questione "assume grande rilevanza per il principio generale che -questo il commento del sindacato del terziario Cgil- riconosce la possibilità di rendere nulle le “clausole elastiche” in mancanza di specificità di condizioni, modalità, limiti massimi e distinto consenso della lavoratrice. Ciò, a maggior ragione, anche in connessione con la condizione di lavoratrice madre della nostra iscritta, e dell’utilizzo spregiudicato del contratto part-time, proprio nei confronti delle donne".

“A causa della disparità di genere profondamente radicata nella nostra cultura e nel mondo lavorativo, precipitano nella condizione di lavoratrici povere una grande parte delle donne – sottolinea la sindacalista Daniela Dessì, che ha seguito la vicenda per la Filcams-Cgil. Le donne vivono in bilico tra la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, e sono dedite alla cura della famiglia in una percentuale di ore completamente iniqua rispetto agli uomini”.

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