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Giovedì, 25 Aprile 2024

Gianluca Notari

Collaboratore Cronaca

Bologna città aperta, e quel 2 agosto che l’ha segnata per sempre

Storia di una città che non si spezza, che calamita i ragazzi di ieri e di oggi. E di destini con capolinea in stazione

Trasferirsi in una nuova città non è mai facile. Quando arrivi cerchi di capire gli atti fondativi e le regole sottostanti che le danno forma. Io, almeno, con Bologna ho fatto così. Ho cercato di capire. Lentamente. La sua cultura, il modo di presentarsi al mondo e il modo di vivere, ciò che è veramente. Mi sono avvicinato in punta di piedi, piano, e lei si è avvicinata a me. Io sono nato e cresciuto a Roma,  una città profondamente diversa da Bologna. Roma è una città ai miei occhi incomprensibile, nonostante gli oltre venti anni di onorata carriera. È una città divisa in tutto: dalla politica al cibo, dalla cultura alla geografia. Di strada in strada, di quartiere in quartiere, l’unica certezza che Roma sa dare è l’essere restìa al cambiamento. È una città che cambia costantemente per non cambiare mai. Questa mattina un amico mi chiedeva come fosse il quartiere di Trastevere e l’unica definizione che mi ha convinto tanto da fornirgliela è stata: “Trastevere è quel quartiere dove trovi i panni stesi sopra l’insegna di un bistrot”. Ecco: Roma è una grande Trastevere. 

Bologna, la città che (non) cambia

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Diametralmente opposta, ai miei occhi, è Bologna. Bologna la Dotta, Bologna la Rossa, Bologna di cantanti, di poeti e di osterie aperte ma con le serrande abbassate. Un incrocio di persone diverse fra loro, una città capace di accogliere come poche volte ho visto in vita mia. La città dove gli amori di una sera durano per sempre e dove il ‘per sempre’ è un tempo troppo piccolo. Bologna, al contrario di Roma, è una città che cambia. E in fretta. Nella manciata di anni che sono passati dal mio trasferimento qui, Bologna ha cambiato faccia almeno cento volte. Eppure, Bologna rimane Bologna. È una città difficile da spiegare a chi non l’ha vissuta, ma se dovessi spiegare Bologna ad un alieno gli parlerei della memoria. Città decorata al valore militare per la Resistenza, come Roma, Bologna è la città che più di tutte, a mio avviso, capisce il valore della memoria. Il sindaco Lepore, in occasione delle celebrazioni per la liberazione della città dall’occupazione nazifascista dello scorso 21 aprile, ha detto che Bologna è sempre stata in grado, negli anni, di tramandare ai suoi cittadini il valore della coscienza politica e della memoria. Sebbene tante cose siano cambiate, non posso far altro che confermare queste parole. Come scritto nell’introduzione di questo articolo, per capire Bologna bisogna per forza capire gli atti che hanno fondato e formato la comunità bolognese per come è oggi: la Resistenza, l’eccidio di Marzabotto, l’uccisione di Marco Biagi e tante altre. Tra queste è impossibile non citare la Strage del 2 agosto. 

Il 2 agosto a Bologna e quel “certo silenzio”

Il mio punto di vista è certamente parziale, ma quello che posso dire è che quando arrivai per la prima volta alla Stazione Centrale di Bologna due cose mi colpirono: il freddo e la targa in memoria delle vittime della Strage di Bologna. 
Ogni anno, quando il 2 agosto si avvicina, sembra che a Bologna ci sia sempre un certo silenzio. Sarà che d’estate la città si svuota, gli studenti tornano a casa e chi può si gode le meritate vacanze. Ma mi piace pensare che quel silenzio sia una forma di quieto rispetto verso uno degli eventi che più ha formato lo spirito e la memoria di questa città. Una ricorrenza avvertita da tutti: cittadini nati a Bologna e chi, bolognese, c’è diventato. Forse la più grande forza di Bologna, negli anni, è stata questa: rappresentare non un semplice punto di passaggio, ma un centro importante nella vita di tutti quelli arrivati nel tempo e che vivono ricorrenze come quella del 2 agosto al pari di un bolognese di origine protetta.  Una capacità resa possibile solo dalla più incredibile delle capacità di Bologna: quella di attrarre persone. Sono le persone ad aver reso questa città un punto di riferimento artistico e culturale a livello internazionale. È così da sempre – come testimonia la più antica università del mondo – e lo era anche nel 1980, quando rimasero coinvolti nella Strage dei ragazzi che, da fuori Italia, avevano scelto di visitare Bologna. Ad esempio, John Kolpinski e la sua fidanzata Catherine Mithcell.

2 agosto 1980, il ricordo: "I miei genitori in stazione, il babbo ritrovò la mamma tra le macerie"

John e la fidanzata Catherine. Iwao e Brigitte. Attratti dalla città turrita, i loro destini si sono fermati in stazione  

John e Catherine, entrambi ventiduenni, si erano laureati all’Arts Court di Birmingham, in Inghilterra. Avevano deciso di viaggiare per l’Europa con lo zaino in spalla, blu quello di Catherine e Arancione quello di John. Tra le varie mete che avevano scelto c’era anche Bologna, ma alle 10.25 di quel 2 agosto 1980 rimasero entrambi uccisi. 

Come loro Iwao Sekiguchi, appena venti anni, studente giapponese iscritto alla Waseda di Tokio, una delle università più prestigiose di tutto il lontano oriente. Si trovava in Italia dopo aver vinto una borsa di studio al Centro Culturale Italiano di Roma e, con l’arrivo dell’estate, aveva deciso di visitare alcune città italiane. La mattina del 2 agosto aveva lasciato Firenze per raggiungere Bologna. Sarebbe poi andato a Venezia, come scritto nel suo diario, ma la morte lo colse prima di realizzare i suoi sogni.

E ancora: Brigitte Drouhard, ventunenne francese in visita in Italia, anche lei uccisa nell’attentato di quel 2 agosto. O Francisco Martinez, ventitreenne catalano in visita a Bologna insieme ad un amico. L’amico di Francisco era fuori dalla stazione quando l’ordigno esplose mentre lui, Francisco, era rimasto nella sala d’attesa per scrivere una lettera alla sua fidanzata in cui immaginava le vacanze dell’anno successivo insieme a lei. La bomba lo uccise prima che la lettera fosse terminata.

Bologna città aperta

La storia di questi ragazzi e ragazze potrebbe essere la storia di migliaia di studenti e giovani viaggiatori che ogni anno scelgono di venire a Bologna. Chi per qualche giorno, chi per qualche anno, chi per il resto della propria vita. Lo zaino blu di Catherine o quello arancione di John potrebbe essere lo stesso zaino che ogni giorno giovani da tutto il mondo portano sulle spalle passando in via de’ Carracci o per Piazzale delle Medaglie d’Oro. Potrebbe essere lo stesso zaino che io avevo sulle spalle quando arrivai per la prima volta a Bologna. 

La capacità di attrarre persone di Bologna, come si vede, è ancora intatta. Inalterata, nonostante tutto. Le stragi fasciste ad oggi non sembrano essere più una minaccia, ma altri problemi appesantiscono le vite dei giovani di oggi. Eppure, ragazzi e ragazze da ogni parte del mondo continuano ad arrivare a Bologna ogni giorno, ragazzi come me e come tantissimi altri e altre ancora. La capacità di resilienza di Bologna forse risiede proprio qui: andare avanti, nonostante tutto, senza mai perdere la propria natura. 
Quello squarcio nel muro della stazione è ancora oggi presente e ben visibile: ma Bologna, come e più di ieri, tutti i giorni si dimostra una città aperta. Come la “Roma città aperta” di Rossellini, però bolognese: Bologna città aperta.

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