Una settimana in terapia intensiva accanto ai malati Covid: "Non avevo capito si soffrisse così tanto"
Il racconto di Giulia Zagnoni, fisioterapista di supporto all'equipe dell'area critica Covid del Policlinico Sant'Orsola-Malpighi
In terapia intensiva, quando le condizioni dei pazienti affetti dalla Covid migliorano, entrano anche i fisioterapisti. Sono loro a trattare i malati in via di guarigione e il loro lavoro consiste nel valutare i danni riportati durante il periodo di intubazione. Cercando di limitare il più possibile i danni secondari, provando posizioni nelle quali si possa alleviare la fatica respiratoria dovuta alle polmoniti da Covid-19.
Giulia Zagnoni è una di loro e la scorsa settimana, per la prima volta, ha affiancato i medici e gli infermieri del reparto di terapia intensiva del Sant'Orsola. Di solito lavora nel Polo cardio-toraco-vascolare dell'ospedale, eppure, pur lavorando di fianco, finché non ha varcato la soglia del reparto Covid, non si è resa conto di cosa volesse dire mettere piede lì dentro.
Qual è stato l'impatto di questa prima settimana di lavoro?
"Vedere dall’interno quello che sta succedendo nella mia città mi ha davvero sconvolta. Non avevo minimamente compreso l’entità del problema e, soprattutto, non avevo compreso la sofferenza legata a questo particolare tipo di malato. Ho trattato spesso malati molto critici ma non avevo mai visto niente del genere. Quello che mi ha sconvolta sono state le camerate, i box pieni di pazienti intubati e attaccati a tutti i macchinari possibili. Sono malati che non riescono a parlare perché sono tracheotomizzati, malati collegati al respiratore, alla circolazione extracorporea, nudi e immobili nei letti, debolissimi, spessissimo sono pronati, ovvero sdraiati a pancia in giù per moltissime ore".
Che ruolo ha il fisioterapista in un reparto Covid?
"Noi lavoriamo con i pochissimi malati coscienti, i pochi in grado di collaborare anche in minima parte e il nostro intervento consiste del valutare i danni riportati durante il periodo di intubazione e allettamento, cercare di riguadagnare la posizione seduta, ricercare i movimenti possibili, limitare i danni secondari e provare posizioni nelle quali gli scambi gassosi migliorino e quindi si possa alleviare la fatica respiratoria, questo terribile sintomo che accomuna i malati con polmonite da Covid-19. In più c'è il lato umano, la difficoltà nel comunicare, la ricerca di strappare un sorriso, le carezze e le mani strette per cercare di alleggerire la paura negli occhi di queste persone. Nei servizi in tv i volti sono oscurati e non si vedono le piaghe da decubito nel naso, nelle labbra e nel mento dovute alla postura prona nella quale trascorrono tantissime ore perché così l'ossigenazione e il reclutamento polmonare sembrano migliorare. Si formano piaghe anche nel seno e nei genitali e i danni provocati da questa postura, e in generale dall'allettamento, sono frequentissimi, come per esempio la paralisi della muscolatura anteriore del piede".
Lei che percezione aveva fino ad una settimana fa?
"Sono stati ricavati posti letto in tutti gli anfratti dell’ospedale, nelle sale operatorie, nelle mansarde. Non avevo capito, quando si parlava di stress sul sistema sanitario non visualizzavo niente del genere. Dunque, raccontare tutto ciò è doveroso, soprattutto raccontarlo a quelli che continuano a pensare che il Covid sia poco più di un’influenza o a chi continua ad essere scettico sui vaccini. La grande fatica non è lavorare chiusi negli scafandri sudati per ore, non è la visione quotidiana della sofferenza e della morte di persone sempre più giovani, la fatica più grande è scontrarsi con la saccenza di amici e conoscenti, convinti di essere informati, e sentire frasi del tipo 'ma perché non li trattano a casa?' o sentire lamentele sulla privazione della propria libertà. Fanno più paura gli ipotetici effetti collaterali a lungo termine dei vaccini (oltretutto non plausibili) rispetto ai danni devastanti provocati dal Covid".
Qual è il messaggio che vuole mandare?
"Vacciniamoci. Io stessa non ho fatto il vaccino con leggerezza: ero in allattamento – sono tornata dalla maternità a settembre – e sono allergica, ma mi sono affidata al parere dei professionisti i quali mi hanno consigliato di vaccinarmi. Penso sia un dovere morale che abbiamo tutti quanti nei confronti del prossimo, specialmente dei più deboli. Sono sempre stata contestatrice, spesso controcorrente, ma in questo momento c'è bisogno di coesione e soprattutto di affidarci alla scienza ascoltando i pareri della comunità scientifica, delle associazioni professionali, dei primari delle terapie intensive. E speriamo che tutto questo finisca presto".