Terza ondata in corsia, il racconto: "Mai vista una cosa così neppure nelle missioni umanitarie"
Maria Silvia Braccini, rianimatrice al reparto Covid del Sant'Orsola: "Stremati dalla lontananza dai nostri cari e nel sentire persone ricoverate che chiedono di salutare le famiglie perché non sanno se ne usciranno"
Maria Silvia Braccini è medico di anestesia e rianimazione al Sant'Orsola, nel reparto Covid della dottoressa De Luca, al Padiglione 25. Fa la pendolare da Modena pur lavorando dalle 7 del mattino fino e a tarda sera per contrastare quel "mostro che sì, conosciamo meglio rispetto alle prime ondate, ma che ancora non riusciamo ancora a distruggere". Lei, come altre colleghe e colleghi, ha potuto usufruire degli alloggi gratuiti offerti dalla Fondazione Sant'Orsola dormire qualche ora di più tornando in corsia senza levatacce e viaggi alle spalle già la mattina presto, ma lo stress resta alto, così come l'impegno e la passaione per il proprio lavoro: "Siamo distrutti dopo un anno del genere anche un conforto così semplice fa la differenza, sia per chi come me abita distante dalle corsie, sia per chi ha a casa dei familiari positivi. Non ci siamo mai fermati e siamo stanchi, ma il supporto che ci è stato dato attraverso le tante donazioni e la grande organizzazione nel gestirle ci ha sollevato molto".
Com'è realmente questa terza ondata? Come la state vivendo? "E' devastante. Sono medico da missione e vi assicuro che non ho visto nulla del genere nè in Africa, nè in Cambogia, nè in altre parti del mondo in cui io sia stata. La cosa più dura, oltre a una stanchezza che dura da 12 mesi, è che non se ne vede la fine. E adesso, con un'età media che si è abbassata e un crescente coinvolgimento dei giovani a fronte di una maggiore aggressività del virus, c'è più preoccupazione. Ma noi ci siamo e non ci siamo mai fermati anche se siamo siamo stanchi. E' diventata una crescente tragedia emotiva che si somma alla paura per il futuro".
Quanto è difficile lavorare bardati come vi vediamo? Lo abbiamo già detto, ma è un elemento che acutisce ulteriormente la stanchezza di voi medici, infermieri e operatori sanitari in generale? "Il nostro modo di lavorare è completamente cambiato con la pandemia. Ci schermiamo a dovere e restiamo bardati per tutto il giorno, spesso anche fino a 16 ore. Per noi della rianimazione è ancora più dura perchè se scattano delle emergenze e magari noi ci siamo appena svestiti, dobbiamo tornare ad indossare tutti gli strati perfettamente e tanto velocemente da poter salvare anche delle vite quando un minuto è un'eternità".
Qual è la cosa più dura? "Stare lontani dai nostri cari, anche per la paura di infettarli. Ma è dura anche sentirci chiedere dalle persone che entrano in terapia intensiva e che pensano che non ce la faranno, di portare ai familiari il loro saluto".
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Caos vaccino Astrazeneca, che ripercussioni sta avendo il ritiro dei sieri sul clima dei pazienti in ospedale per quanto ne può vedere? "Vorrei rispondere a questa domanda focalizzando l'attenzione sulla responsabilità che anche i media hanno in tutto questo perchè l'influenza sull'opinione pubblica non è cosa da poco. Ascoltiamo solo dei bollettini di morte e tutto questo influisce sulle decisioni di ogni individuo. Nella prima ondata siamo stati definiti eroi (cosa che a me per esempio non trovava d'accordo) e poi sono arrivate le denunce. Adesso ci chiamano in continuzione per sapere se facciamo gli anticorpi monoclonali. Ma non è il momento per altre paure e il vaccino è sicuro".