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Venerdì, 19 Aprile 2024

Alla scoperta di Ulisse Aldrovandi con un'app-videogioco immersiva | VIDEO

La nuova app ideata dal Comune di Bologna, in collaborazione con il Sistema museale di Ateneo e la Biblioteca universitaria, in occasione dei 500 anni dalla nascita

Sei tappe per una caccia al tesoro che porta alla scoperta del naturalista Ulisse Aldrovandi a 500 anni dalla nascita. Si chiama 'Aldrovandi Experience', la nuova app ideata dal Comune di Bologna, in collaborazione con il Sistema museale di Ateneo e la Biblioteca universitaria.

Si tratta di un'estensione del videogioco 'WunderBo', creato nel 2018, disponibile gratuitamente (anche in inglese) in versione Ios e Android. Ufficialmente sarà lanciata a partire da domenica, giorno del compleanno di Aldrovandi, in contemporanea con un trekking guidato organizzato dal Comune con Fantateatro, Associazione Azalai e Sistema museale di Ateneo.

Lo scopo del videogioco, spiega Lara Oliveti di Melazeta, lo studio che ha realizzato l'app, è "inquadrare, in ognuno dei sei luoghi legati ad Aldrovandi che costituiscono le diverse tappe del percorso, l'oggetto indicato dagli indizi che vengono forniti al giocatore e fotografarlo per ottenere, attraverso la realtà aumentata, un'illustrazione storica dello stesso oggetto".

Una volta completato il percorso, nel corso del quale vengono svelati anche aneddoti e curiosità su Aldrovandi, si ottiene come premio "una raccolta stampabile dei sei simboli tratti dalle xilografie originali del naturalista". In questo modo, auspica il presidente del Sistema museale di Ateneo, Roberto Balzani, "sarà possibile fornire, soprattutto ai giovani, un primo impatto con Aldrovandi, e magari invogliarli ad approfondire la sua figura".

Chi era Ulisse Aldrovandi 

Ulisse Aldrovandi nacque a Bologna nel 1522 da una nobile e prestigiosa famiglia locale. Presto orfano di padre, il giovane dimostrò un’esuberanza insolita che lo spinse precocemente ad allontanarsi da casa in cerca di avventure e conoscenze. Tornato in patria, nel 1539 intraprese studi umanistici e giuridici, ma invece di addottorarsi in Diritto, nel 1548 preferì trasferirsi a Padova per seguire nuovi corsi di Filosofia, Matematica e Medicina.

L’anno seguente, fu per lui capitale l’incontro a Bologna con l’imolese Luca Ghini, che a Pisa aveva creato, nel 1543, il primo Orto dei semplici ad uso universitario. Da allora Aldrovandi intraprese un percorso indirizzato al mondo naturalistico, che avrebbe proseguito fino alla fine dei suoi giorni.

Sempre nel 1549, il giovane scienziato venne accusato di eresia e dovette abiurare pubblicamente in San Petronio. Nonostante ciò venne chiamato a Roma per essere nuovamente sottoposto a giudizio ma, con la salita al soglio pontificio di Giulio III, suo conoscente, il tribunale lo prosciolse definitivamente.

Durante il periodo romano, Aldrovandi conobbe il medico francese Rondelet, dalle cui ricerche sui pesci venne affascinato e sedotto, iniziando anch’egli a raccoglierne vari esemplari, presto divenuti il primo nucleo del suo museo. Il soggiorno nella capitale, gli diede anche modo di ammirare dal vivo le rovine classiche, sulle quali scrisse il suo primo trattato pubblicato (“Le statue antiche di Roma” 1556).

Tra il 1551 e il 1554 si susseguirono numerose spedizioni che crearono e arricchirono il suo famoso Erbario.

Finalmente, nel 1553, all’età di 31 anni, Aldrovandi si decise a prendere la laurea in Medicina e Filosofia, ottenendo l’anno seguente la lettura di Logica. Nel 1555, fino al 1559, passò alla cattedra di Filosofia, alla quale si aggiunse dal 1556 quella di Botanica, tenuta fino al 1561.

In quell’anno, infatti, venne appositamente creata per lui la nuova disciplina di Filosofia Naturale (“de simplicibus”) che Aldrovandi avrebbe ricoperto in cattedra fino al 1600.

Bisognoso di uno spazio da dedicare alla coltivazione delle sue piante, il docente ottenne dal Senato l’usufrutto del giardino del Palazzo Comunale, dove creò nel 1568 il primo Orto Botanico bolognese (il quinto in Italia), che personalmente curò fino alla fine dei suoi giorni. Tranne per una breve parentesi (1587-1600), durante la quale venne trasferito nei pressi di Porta S. Stefano, l’Orto rimase a disposizione dei cittadini così come dello Studio, fino al 1803, quando venne spostato nell’attuale sede su via Irnerio. L’antica area venne invece destinata ad armeria, a sede postale e poi bancaria, mentre oggi è adibita a Biblioteca (Sala Borsa).

Nel ruolo di protomedico del Collegio dei medici (in realtà non praticò mai la professione), nel 1574 Aldrovandi si schierò contro la produzione farmaceutica della ‘teriaca’, composto ai tempi creduto miracoloso. Per tale motivo si aprì un contenzioso, durante il quale solo l’intervento di Gregorio XIII, il bolognese Ugo Boncompagni, cugino di sua madre, riuscì a far riavere allo scienziato la sua cattedra.

Ormai stanco e quasi ottantenne, nel 1600, Aldrovandi mantenne la sola direzione del Giardino dei semplici, avendo così modo di dedicarsi alla pubblicazione dei suoi scritti. Solo i volumi di Ornithiologiae e del De animalibus insectis uscirono quando ancora era in vita, mentre tutti gli altri videro la luce dopo la sua scomparsa, curati in gran parte dal discepolo Bartolomeo Ambrosino (De reliquis animalibus…Mollibus, Crustaceis, Testaceis et Zoophytis 1606, De piscibus 1612, De quadrupedibus 1616, Quadrupedum 1621, De quadrupedibus digitatis viviparis … et oviparis 1637, Serpentum et Draconum 1639, Monstrum 1642, Pomarium curiosum 1642, Musaeum metallicum 1648, Dendrologiae naturalis silicet Arborum Historiae 1667)

Rimasto senza eredi, nel 1603, Aldrovandi redasse il suo testamento, nel quale lasciò al Senato bolognese il suo immenso patrimonio di ricerca: 18.000 esemplari naturalistici e di manufatti archeologici ed esotici, 7.000 piante essiccate conservate in 15 tomi (il più antico al mondo), 17 volumi di acquerelli e 14 armadi contenenti matrici xilografiche.

Questo immenso patrimonio cittadino venne messo a disposizione, nel 1742, dell’Istituto delle Scienze, subendo poi manomissioni e smembramenti con la venuta del Bonaparte. Dal 1907, tuttavia, l’Università ne ha ricostituito il nucleo più importante, conservandolo nel museo di Palazzo Poggi, nella sua Biblioteca e nel suo Erbario.

Questa straordinaria raccolta analitica, più che sintetica, frutto della curiosità e dell’erudizione scolastica più che della scientificità e dello spirito critico, è il dono di uno dei massimi esponenti di quella cultura enciclopedica cinquecentesca, che ancora accoglieva, accanto alle speculazioni averroisto-aristoteliche e alle osservazioni più dettagliate del mondo naturale, storie, leggende e credenze ritrovate nei testi classici, scoperte nei bestiari medievali e giunte dalle storie del lontano Oriente

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