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Lavoro: mobbing per maternità, a Bologna colpite un milione di donne

Con il jobs act- denuncia la consigliera Campana- il demansionamento, se giustificato, diventerà legittimo e la vita delle lavoratrici vessate potrebbe farsi ancora più complicata. UDI: "Il tema della conciliazione tra lavoro e maternità va affrontato subito"

Il mobbing per maternità colpisce mezzo milione di lavoratrici ogni anno. E parecchie sono a Bologna. Secondo l'Osservatorio nazionale sul mobbing, sono infatti 926 (in 5 anni) le madri, nella provincia di Bologna, che si sono viste costrette alle dimissioni per colpa di atti persecutori "post partum". A richiamare l'attenzione su questo dato è stato il consigliere Corrado Melega (Pd), ex primario di Ostetricia e Ginecologia dell'ospedale Maggiore, intervenendo qualche giorno fa sul tema, a Palazzo D'Accusio.

"Nel corso della mia attività- dichiara Melega- avevo ovviamente incontrato diverse volte casi come questi, ma ora le cifre sono veramente preoccupanti: negli ultimi cinque anni i casi di mobbing per maternità sono aumentati del 30%, e quattro donne su 10 si dimettono a causa di azioni di questo tipo". Sono storie di donne che, una volta tornate al lavoro dopo il parto, si sono ritrovate ad avere a che fare con discriminazioni e vessazioni sistematiche, perchè considerate ''meno produttive" di prima; casi di ordinaria ingiustizia che finiscono quasi sempre in due modi: con un demansionamento o con una vera e propria azione di mobbing da parte di datori di lavoro e colleghi. Probabilmente i numeri delle mancate denunce o le rinunce a proseguire sono molto più alti, sia per la difficoltà e la lunghezza delle cause, che per la paura di perdere il lavoro o di subire nuove pressioni. Anche perchè, come è stato spiegato detto oggi al seminario sulle politiche di contrasto al mobbing organizzato dal consigliere provinciale di parità, dimostrare la persecuzione sistematica sul posto di lavoro non è semplice, soprattutto perchè l'onere della prova spetta alla lavoratrice.

"Ad oggi non esiste una disciplina normativa organica e unitaria sul mobbing- spiega la consigliera di parità Giorgia Campana- il requisito essenziale per parlare di mobbing è la durata e la reiterazione nel tempo della molestia. Ma essendo un elemento ''soggettivo'' è quasi impossibile da dimostrare". Nel 90% delle cause andate a buon fine infatti, il datore di lavoro viene condannato solo per demansionamento (più semplice da provare). "Ma con il jobs act- denuncia la consigliera- il demansionamento, se giustificato, diventerà legittimo e la vita delle lavoratrici vessate potrebbe farsi ancora più complicata. Le nostre risorse sono sempre meno e non riusciamo nemmeno a rispondere a tutte le donne che ci chiedono aiuto".

E mentre il precariato diventa terreno fertile per il mobbing e rende le dipendenti più ricattabili, i fondi nazionali per le attività dei consiglieri di parità (che forniscono alle madri aiuto e assistenza legale) vengono tagliati e ridotti a poche migliaia di euro. "Tutto cio' porta all'Italia- dice Melega in Consiglio citando le parole del presidente dell''osservatorio nazionale sul mobbing Vento- un primato: il costo più basso dei licenziamenti. Ancora una volta la legge 194, il cui titolo è Legge a tutela della maternità con quel che segue, viene disattesa come del resto molti di noi non obiettori abbiamo sempre rivendicato".

"Le donne, soprattutto se madri, devono poter lavorare. Il tema della conciliazione tra lavoro e maternità va affrontato subito, è prioritario se si vuole combattere la discriminazione di genere". Lo sostiene Katia Graziosi, presidente dell'Unione Donne in Italia a Bologna, commentando i numeri allarmanti del mobbing "post-partum" nel bolognese. "Gli strumenti per combattere il mobbing ci sono- continua- ma troppo spesso mancano le risorse economiche e culturali per farlo". Oggi, provare questo tipo di vessazioni in sede giudiziaria è complicato ma possibile. In più sono state istituite figure come quelle dei consiglieri di parita'', che dovrebbero essere punti di riferimento per le donne e le lavoratrici in cerca di sostegno. "Troppo spesso però c'è un gap tra le buone decisioni prese e la loro messa in pratica. Se non ci sono soldi e se non c'è una diffusa cultura di parità, questi mezzi restano delle scatole vuote".

Ad esempio: il congedo di paternità è riconosciuto dalla legge, ma ad usufruirne secondo l'Istat è oggi solo il 7% circa dei papà. In un anno l'ufficio del consigliere di parità dell'ex Provincia di Bologna, oggi Città metropolitana, viene interpellato 400 volte su problemi connessi alla concretizzazione di una vera par condicio tra i sessi, ma appunto, come detto dall'Udi, il tallone d'Achille sono le risorse economiche: i finanziamenti non sono sufficienti per dare supporto legale a tutte le donne che lo richiedono. "In questo modo- riprende Graziosi- siamo in uno stato di diritto solo a parole e l''articolo 3 della Costituzione rimane costantemente inapplicato. Vogliamo aprire una piattaforma politica su questi temi, parlare dei servizi necessari perchè questi diritti diventino concreti nella vita reale: turni, part time, congedo parentale e asili aziendali sono i primi della lista".

(agenzia Dire)

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