La mostra di Francesco Giuliari a Casa Saraceni
Da venerdì 14 gennaio a domenica 1 maggio le sale di Casa Saraceni, sede della Fondazione Carisbo, ospiteranno la mostra Francesco Giuliari "Le cose non stanno che a ricordare".
Curata da Angelo Mazza e Mirko Nottoli, la mostra nasce dal gesto generoso della moglie di Francesco Giuliari, Laura Coppi Giuliari, la quale ha donato alla Fondazione ventiquattro dipinti, distribuiti tra il 1968 e il 2008, e quarantacinque incisioni che bene illustrano la produzione dell’artista.
Si tratta di una donazione che trova motivazione nei forti legami di Francesco Giuliari con la città di Bologna, dove ha abitato a lungo e dove ha frequentato il Dams laureandosi nell’anno accademico 1975-1976.
La Fondazione Carisbo ha dato alle stampe il catalogo dei dipinti donati e preannuncia una seconda esposizione dedicata esclusivamente alla grafica, con la pubblicazione del catalogo generale della produzione di Francesco Giuliari in questo specifico settore dell’espressione artistica.
Francesco Giuliari (Verona, 1929 – Forlì, 2010)
Francesco Giuliari nasce a Verona. Frequenta il collegio dei Salesiani e, ottenuta la maturità classica, parte come volontario nell’esercito per la Somalia. La guerra è da poco finita e presso il Protettorato italiano, insieme ad una banda di dubat, pattuglia gli ancora fragili confini somali. Rimane in Africa una decina d’anni, dove – racconta – ha disegnato moltissimo; ma nulla è rimasto.
Al ritorno a Verona si iscrive al Liceo Artistico e frequenta lo studio del pittore Dino Lanaro. A quel periodo risalgono probabilmente i due paesaggi qui esposti, tra le rare opere giovanili superstiti. Apprende contemporaneamente la tecnica dell’incisione all’acquaforte. Ottiene la cattedra al Liceo Artistico e poi all’Accademia di Belle Arti Cignaroli dove insegnerà per oltre vent’anni Storia dell’arte e tecniche pittoriche.
Nel 1971 torna studente: si iscrive al Dams appena fondato e si trasferisce a Bologna. Si laurea nel 1976 con una tesi sulla pittura caravaggesca a Verona. È un periodo felice e fecondo durante il quale lentamente mette a punto il linguaggio che caratterizzerà il suo stile pittorico. Rimanendo estraneo al circuito ufficiale del mercato, dipinge su commissione ritratti o nature morte disseminati di enigmi da decodificare, ricordi personali, citazioni e allusioni tratte dall’arte, dalla storia, dalla filosofia, dalla letteratura.
È socio fondatore dell’AIER, Associazione Incisori Emiliano Romagnoli (oggi ALI). Le sue opere nascono da una lunga gestazione, un periodo di riflessioni, letture e approfondimenti. L’esecuzione invece è rapida, realizzata di getto, senza un disegno preparatorio.
Nel 2001 si trasferisce a Forlì. Qui continua a dipingere e incidere fino al 2008 quando una malattia agli occhi lo conduce progressivamente alla cecità. “Post caecitatem” sono infatti sottoscritti i suoi ultimi lavori. Impossibilitato a dipingere si dedica alla poesia. Non amava le biografie, ricorda la moglie. A chi gliele chiedeva era solito rispondere con la poesia di un’amica, Daria Menicanti, che invita il lettore a non indugiare sui fatti privati, ma ad osservare le opere. Muore nel 2010